«Partiamo a mezzogiorno» disse Qhorin. «È meglio che tu vada a cercare quel tuo meta-lupo.»
TYRION
«La regina intende allontanare il principe Tommen.»
Erano inginocchiati l’uno accanto all’altro nella silenziosa penombra del tempio, circondati dal baluginare delle candele, assediati dalle ombre. La voce di Lancel Lannister era un sussurro appena percettibile.
«Lord Gyles lo porterà con sé a Rosby, celandolo sotto le spoglie di un paggio. Gli tingeranno i capelli e diranno a tutti che è il figlio di qualche cavaliere.»
«È la folla che lei teme… o me?»
«Entrambi.»
«Ah» Tyrion non aveva avuto sentore di questo nuovo complotto. Che gli uccelletti di Varys, per una volta tanto, avessero fallito? Perfino i ragni tessitori potevano sbagliare una tela… O forse il gioco dell’eunuco era molto più sottile, molto più in profondità di quanto lui potesse immaginare? «I miei ringraziamenti, cavaliere.»
«Mi concederai quanto ti ho chiesto?»
«Forse.»
Quello che Lancel aveva chiesto era un comando di truppe nella battaglia a venire. Proprio uno splendido modo per crepare ancora prima di essersi fatto crescere del tutto quei bei baffetti biondi. Ma i giovani cavalieri pensano sempre di essere invincibili.
Tyrion si attardò nel luogo sacro anche dopo che suo cugino si fu discretamente ritirato. All’altare del Guerriero, usò una candela per accenderne un’altra. “Veglia su mio fratello, razza di dannato bastardo. Jaime è uno di voi.” Accese una seconda candela, allo Sconosciuto. L’accese per se stesso.
Quella notte, quando la Fortezza Rossa fu immersa nelle tenebre, Bronn si presentò a lui. Tyrion era intento ad apporre il sigillo del Primo Cavaliere a una lettera: «Porta questa a ser Jacelyn Bywater». Il Folletto finì di far colare lacca dorata sulla pergamena.
«Che cosa dice?» Bronn non sapeva leggere, il che lo portava a porre domande impudenti.
«Che deve raggruppare cinquanta delle sue migliori spade e andare in esplorazione sulla strada delle rose» Tyrion impresse il sigillo nella cera che stava raffreddandosi.
«È più probabile che Stannis avanzi dalla Strada del Re.»
«Lo so bene. Ed è per questo, infatti, che dirai a Bywater d’ignorare il contenuto della lettera e quelle cinquanta spade invece di portarle a nord. Il loro compito è preparare un’imboscata sulla strada di Rosby. Tra un giorno o due, lord Gyles lascerà il castello con una dozzina di armati, alcuni servi e mio nipote. Il principe Tommen potrebbe essere vestito come un paggio.»
«E tu vuoi che lo riportino indietro, è così?»
«Al contrario. Io voglio che lo portino al castello di Rosby sotto ancora maggiore scorta.»
Togliere il ragazzo da Approdo del Re era stata una delle migliori idee di sua sorella, aveva deciso Tyrion. A Rosby, non solo Tommen sarebbe stato al sicuro dalle folle inferocite, ma anche lontano da Joffrey, il che avrebbe creato un ulteriore problema a Stannis. Se anche il lord della Roccia del Drago fosse riuscito a prendere Approdo del Re e a decapitare Joffrey, sarebbe stato comunque costretto a fare i conti con un altro legittimo erede Lannister al Trono di Spade.
«Lord Gyles è troppo malato per scappare e troppo codardo per combattere» riprese Tyrion. «Darà ordine al suo castellano di aprire le porte. Una volta dentro, le cappe dorate di Bywater dovranno espellere la guarnigione e proteggere Tommen a ogni costo. Ah, e chiedigli anche se gli piace come suona lord Bywater.»
«Lord Bronn suonerebbe molto meglio» ribatté il mercenario. «Potrei prenderlo io il ragazzo. Per il titolo, me lo tengo sulle ginocchia e gli canto perfino la ninna-nanna.»
«Tu mi servi qui» tagliò corto Tyrion. “E certo non mi fido a consegnarti mio nipote” pensò tra sé e sé. Se Joffrey fosse finito male, la pretesa dei Lannister al Trono di Spade sarebbe ricaduta interamente sulle giovanissime spalle di Tommen. Gli uomini di ser Jacelyn avrebbero difeso il ragazzo fino allo stremo, mentre le spade a cottimo di Bronn sarebbero state più che pronte a svenderlo ai suoi nemici.
«E il nuovo lord Bywater che cosa dovrebbe fare con il vecchio lord Gyles?»
«Quello che gli pare. Basta che si ricordi di dargli da mangiare. Non voglio che Rosby muoia» Tyrion si scostò dal tavolo. «È certo che mia sorella distaccherà un cavaliere della Guardia reale a custodia del principe.»
Bronn non parve preoccupato: «Il Mastino è il cane di Joffrey, quindi non si staccherà da lui. Le cappe dorate di Mano-di-ferro saranno in grado di sistemare gli altri senza troppi problemi».
«Se si dovesse arrivare a delle uccisioni, di’ a ser Jacelyn che vorrei non avvenissero di fronte a Tommen» il Folletto indossò una cappa di pesante lana marrone. «Mio nipote ha il cuore tenero.»
«Sei proprio certo che sia un vero Lannister?»
«Sono certo solo dell’inverno e della guerra. Ora vieni con me, Bronn. Facciamo un pezzo di strada insieme.»
«Chataya?»
«Mi conosci troppo bene.»
Se ne andarono per una delle garitte nelle mura nord.
Tyrion diede di speroni e fece scendere il cavallo lungo l’acciottolato della Strada delle Ombre nere. Allo scalpiccio degli zoccoli, alcune sagome furtive cercarono riparo negli androni e nei vicoli trasversali. Nessuno osò avvicinarsi. Il Concilio ristretto aveva esteso il coprifuoco imposto da Tyrion, e la pena per chiunque fosse stato trovato nelle strade dopo i rintocchi delle campane del tramonto era la morte immediata. Il provvedimento aveva riportato una sorta di pace ad Approdo del Re, riducendo di molto il numero di cadaveri che si rinvenivano sul selciato ogni alba. Varys però insisteva che la popolazione malediceva quel nuovo ordine. “Invece dovrebbero essere grati di avere ancora il fiato per maledire qualcosa.” Nella Via dei Ramaioli, due cappe dorate intimarono loro di fermarsi, ma poi, quando si resero conto con chi avevano a che fare, implorarono la clemenza del Primo Cavaliere e li lasciarono passare. Bronn svoltò verso sud, in direzione della Porta del Fango. Fu là che le loro strade si divisero.
Tyrion si diresse al bordello di Chataya. D’improvviso, la sua pazienza ebbe fine. Si girò sulla sella, esplorando con lo sguardo la strada alle sue spalle. Nessuna traccia di eventuali pedinatori. Tutte le finestre erano buie, o sprangate. L’unico suono era il mormorio del vento nelle strade vuote. “Se Cersei mi ha mandato dietro qualcuno, deve trattarsi di un ratto sotto mentite spoglie.”
«Alla malora» Tyrion aveva la nausea della pazienza. Ma soprattutto della cautela. Diede duramente di speroni, partendo al galoppo. “Qualcuno mi segue? E allora vediamo se cavalca bene.” Volò lungo le strade illuminate dalla luna, con gli zoccoli che pestavano sull’acciottolato, affrontando strade ripide e curve insidiose. Stava galoppando per raggiungere la donna che amava.
Mentre bussava con forza alla porta della magione, udì della musica che oltrepassava la barriera delle mura di pietra irte di rostri. Fu uno dei tagliagole del Porto di Ibben a farlo entrare.
Tyrion gli consegnò il cavallo. «E quello chi è?» chiese.
Le finestre della sala lunga all’interno, con i vetri a losanga, erano soffuse di un chiarore giallastro. Qualcuno stava cantando.
«Un cantante panciuto» rispose l’ibbenese scrollando le spalle.
Nel tragitto dalle stalle alla casa, la melodia crebbe d’intensità. A Tyrion Lannister, i cantastorie non erano mai andati a genio. E senza nemmeno averlo visto, questo cantastorie in particolare gli andava ancora meno a genio della sommossa del pane. Quando aprì la porta, l’uomo s’interruppe.
«Mio lord, Primo Cavaliere» il cantante, un pelato dal ventre prominente, s’inginocchiò, con fare servile. «Un onore, un onore.»