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«Milord» Shae sorrise nel vederlo.

A Tyrion piacque quel suo sorriso, piacque il modo naturale, affatto premeditato, con cui era apparso sul bel viso di lei. Shae indossava un abito di seta viola, stretto in vita da una cintura di fili d’argento intrecciati: due colori che mettevano in risalto la sua pelle liscia, perfetta, e i suoi capelli scuri.

«Dolcezza» fece Tyrion. «E questo sarebbe?…»

«Mi chiamo Symon Lingua d’argento, mio signore» il cantastorie sollevò lo sguardo. «Fantasista, cantante, affabulatore…»

«E idiota totale» completò Tyrion. «Com’è che mi hai chiamato quando sono entrato qui?»

«Chiamato? Io ho solo…» di colpo, l’argento della lingua di Symon Lingua d’argento sembrava essersi tramutato in piombo. «Mio lord Primo Cavaliere, ho detto, un onore…»

«Un uomo più saggio avrebbe fatto finta di non conoscermi. Non che saresti riuscito a farmi fesso, ma avresti dovuto fare comunque il tentativo. E adesso che ne faccio di te? Sai della mia dolce Shae, sai dove vive, e sai che io vengo a farle visita di notte. Da solo.»

«Non lo dirò a nessuno! Lo giuro!…»

«Almeno su questo punto ci troviamo perfettamente d’accordo» Tyrion guidò Shae su per le scale. «Buonanotte e addio.»

«Potrebbe non essere più in grado di cantare» scherzò Shae. «Gli hai fatto talmente paura da fargli perdere la voce.»

«Io invece dico che un po’ di sana paura lo aiuterà a raggiungere le note alte.»

La ragazza chiuse la porta della loro stanza da letto: «Non gli farai del male, vero?». Accese una candela aromatica e si chinò a togliergli gli stivali. «Le sue canzoni allietano le notti in cui tu non ci sei.»

«Vorrei poter stare con te ogni notte, credimi» rispose il Folletto, mentre Shae gli massaggiava i piedi nudi. «Canta bene?»

«Meglio di alcuni. Ma non bene quanto altri.»

Tyrion le aprì la vestaglia e affondò la faccia tra i suoi seni. C’era sempre un buon odore su Shae, perfino nel lezzo costante che ammorbava la città.

«Puoi averlo, il tuo menestrello. Ma che non faccia scherzi. Non permetterò che se ne vada in giro per la città a raccontare certe storie nelle taverne.»

«Lui non farà…»

Tyrion le coprì la bocca con la sua. Avevano parlato abbastanza. Quello che voleva adesso era la semplicità del piacere che trovava tra le gambe di Shae. Un luogo, forse l’unico, in cui lui era benvenuto, desiderato.

Più tardi, fece scivolare le braccia da sotto la testa di lei, indossò la tunica e scese in giardino. La mezza luna scintillava tra le foglie degli alberi da frutta, riflettendosi sulla superficie dello stagno dalle pareti di pietra in cui era possibile bagnarsi. Tyrion sedette vicino all’acqua. Da qualche parte, un grillo cantava. Un suono stranamente tranquillizzante. “C’è così tanta pace qui… Ma quanto durerà?”

Una zaffata puzzolente gli fece voltare la testa. Shae era in piedi sulla soglia della porta alle sue spalle. Indossava la vestaglia di tessuto argenteo che lui le aveva regalato. “Ho amato una fanciulla bianca come l’inverno, con il chiaro di luna tra i capelli.” Dietro di lei c’era uno dei confratelli della Misericordia, un uomo corpulento, sulla cinquantina, con indosso un saio malamente rattoppato. Appesa al collo con una stringa di cuoio, là dove un septon avrebbe avuto un cristallo dei Sette Dei, il confratello portava una ciotola di legno. La puzza che emanava avrebbe fatto vomitare un topo di fogna.

«Lord Varys è venuto a trovarti» annunciò Shae.

Il confratello della Misericordia ammiccò, stupefatto dalla rivelazione.

«In effetti» rise Tyrion. «Come fai a sapere che è lui? Io non ci sarei mai arrivato.»

«È lui, è lui» Shae si strinse nelle spalle. «È solo vestito diversamente.»

«Aspetto diverso, odore diverso, modo di camminare diverso» Tyrion corrugò la fronte. «Molti uomini sarebbero stati tratti in inganno.»

«E anche molte donne. Ma non le puttane. Una puttana impara a vedere l’uomo, non i suoi abiti. Se no finisce sgozzata in un vicolo buio.»

Varys aveva un’aria sofferente. E non a causa delle piaghe finte ai piedi.

«Shae, ci porteresti del vino?» sogghignò Tyrion. Era certo di aver bisogno di qualcosa da bere: quale che fosse il motivo che aveva portato l’eunuco fino là, nel cuore della notte, non poteva trattarsi di buone notizie.

«Ho quasi paura a dirti perché mi trovo qui, mio signore» esordì Varys, una volta che Shae se ne fu andata. «Sono latore di cupe nuove.»

«Avresti dovuto vestirti di piume nere, Varys. Sei un uccellaccio del malaugurio proprio come i corvi messaggeri.» Tyrion si mise goffamente in piedi. Aveva quasi paura a porre la domanda successiva. «Si tratta di Jaime?» “Se gli hanno fatto del male, nulla potrà salvarli.”

«No, mio signore. Tutt’altra storia. Ser Cortnay Penrose è morto. Capo Tempesta ha aperto le porte a Stannis Baratheon.»

Nella mente di Tyrion, la rabbia cancellò qualsiasi altro pensiero. Shae tornò con il vino. Lui bevve appena un sorso, poi lanciò la coppa facendola esplodere contro l’esterno della casa. Sollevò un braccio per ripararsi dalla pioggia di schegge di creta. Il vino, completamente nero al chiarore della luna, ruscellò come dita sinuose tra le pietre del muro.

«Maledetto! Maledetto lui!…»

«Chi, mio lord?» Varys sorrise, scoprendo una chiostra di denti marci, finti anche quelli. «Ser Cortnay o lord Stannis?»

«Tutti e due.»

Capo Tempesta era forte. Avrebbe potuto reggere per sei mesi, o anche di più, dando a lui il tempo di chiudere i conti con Robb Stark. Ma adesso…

«Cos’è accaduto?»

«Mio lord» Varys scoccò un’occhiata a Shae. «Perché turbare i sonni della tua delicata signora con tetri, sanguinosi dettagli?»

«Una signora ne avrebbe paura» ribatté Shae. «Ma io non sono una signora.»

«Dovresti esserlo» replicò Tyrion. «Con la caduta di Capo Tempesta, è ad Approdo del Re che Stannis rivolgerà presto la sua attenzione.» Adesso rimpiangeva di aver sprecato tutto quel vino. «Lord Varys, concedici qualche momento. Poi tu e io faremo ritorno alla Fortezza Rossa.»

«Ti attenderò vicino alle stalle» l’eunuco fece un breve inchino e si congedò.

Tyrion attirò Shae a sé: «Non sei più al sicuro qui».

«Ho queste mura. Ho le guardie che tu mi hai dato.»

«Mercenari» insisté Tyrion. «Il mio oro piace loro quanto basta. Ma sono pronti a morire per esso? Quanto alle mura, è sufficiente che un uomo salga sulle spalle di un altro ed è al di qua in un attimo. Durante le sommosse del pane, una magione proprio come questa è stata ridotta in cenere. Hanno ucciso l’orafo che ne era il proprietario solo perché aveva la dispensa piena. Così come hanno fatto a pezzi l’Alto Sacerdote, stuprato Lollys Tanda in cinquanta e sfondato il cranio a ser Aron Santagar. Che cosa pensi che farebbero alla lady del Primo Cavaliere se riuscissero a metterle le mani addosso?»

«Vuoi dire la puttana del Primo Cavaliere» Shae lo guardò con quei suoi occhi grandi, decisi. «Anche se io vorrei essere la tua lady, certo. Mi vestirei con tutte le belle cose che tu mi hai dato, la seta e il satin e il tessuto dorato. Indosserei i tuoi gioielli e terrei la tua mano e siederei con te alle feste. Potrei darti dei figli, so che potrei… e giuro che non porterei mai vergogna al tuo nome.»

“Il mio amore per te basta e avanza a portare vergogna al mio nome.” «Un sogno dolce, Shae. Ma adesso, ti prego, mettilo da parte. Non potrà mai esistere.»

«A causa della regina? Non ho paura nemmeno di lei.»

«Io sì.»

«E allora uccidila, e che sia finita. Non c’è mai stato un grande affetto tra voi.»

«Cersei rimane mia sorella» sospirò Tyrion. «E chi uccide il sangue del suo sangue è maledetto per sempre agli occhi degli uomini e degli dei. Inoltre, qualsiasi cosa tu possa pensare di Cersei, è molto cara a mio padre e a mio fratello. Posso tessere inganni contro qualsiasi uomo dei Sette Regni, ma gli dei non mi hanno concesso gli strumenti per affrontare Jaime con una spada in pugno.»