“Non passeranno, Cat” diceva la sussultante calligrafia di Edmure. “Ora lord Tywin sta ripiegando verso sud est. Forse è una manovra diversiva, forse una vera e propria ritirata. Non ha importanza… non passeranno!”
Ser Desmond Grell esultò. «Se solo avessi potuto essere con lui» proruppe l’anziano cavaliere quando Catelyn gli lesse la lettera. «Ma dov’è quel guitto di Rymund? C’è da farci sopra una canzone, per gli dei! Una che perfino Edmure vorrà ascoltare. Il mulino che ha macinato la Montagna… Me le inventerei io, le parole, se solo avessi il dono del cantastorie!»
«Non intendo sentire nessuna canzone fino a quando i combattimenti non si saranno conclusi» Catelyn parlò forse con eccessiva asprezza.
Ma permise comunque a ser Desmond di far girare la voce, e fu anche d’accordo nell’aprire alcuni otri di vino in onore del Mulino di Pietra. A Delta delle Acque, il morale era stato teso e cupo, e tutti quanti sarebbero stati meglio dopo un po’ di vino. E con un po’ più di speranza.
«Delta delle Acque!…»
Quella notte, la fortezza echeggiò delle grida di giubilo del popolino che vi aveva trovato rifugio.
«Tully! Tully!…»
Erano venuti spaventati e indifesi, ma Edmure li aveva accolti quando la maggior parte dei lord avrebbero sollevato il ponte levatoio. Le loro voci dilagarono dalle alte finestre, scivolando sotto le spesse porte di legno d’acero. Rymund suonò la sua arpa, accompagnato da un paio di suonatori di tamburo e da un ragazzo con il flauto. Catelyn ascoltò le risate delle fanciulle, le chiacchiere eccitate dei ragazzi che suo fratello aveva lasciato a difendere il castello. Suoni buoni… eppure non riuscirono a commuoverla.
C’era uno spesso libro di mappe, rilegato in pelle, nel solarium di suo padre. Catelyn lo aprì dove c’erano le rappresentazioni delle terre dei fiumi. Il suo sguardo trovò il percorso della Forca Rossa del Tridente. Al vacuo chiarore della candela, lo seguì con il dito. “Lord Tywin sta ripiegando verso sud est.” A quel punto, doveva ormai aver raggiunto le sorgenti del fiume delle Rapide nere.
Richiuse il libro; dentro di lei, le ombre dell’incertezza si erano addensate ancora di più. Gli dei avevano concesso loro vittoria dopo vittoria: il Mulino di Pietra, Oxcross, la Battaglia degli Accampamenti, il bosco dei Sussurri…
“Ma se stiamo vincendo… perché ho così tanta paura?”
BRAN
Clink!
Nient’altro che un flebile tintinnio, acciaio che urta contro la pietra. Sollevò il muso dalle zampe, rimanendo in ascolto, annusando la notte.
La pioggia della sera aveva risvegliato centinaia di odori assopiti, rendendoli nuovamente pieni, forti. Erba e spine, more schiacciate sul terreno, fango, vermi, foglie putrescenti, un ratto che striscia tra i cespugli. Percepì l’odore aspro del manto nero di suo fratello, e il sentore metallico del sangue dello scoiattolo che aveva appena ucciso. Sopra di lui, altri scoiattoli si muovevano tra i rami. Sapevano di pelo bagnato e di paura, i loro piccoli artigli grattavano la corteccia. Il suono che aveva udito assomigliava a quel grattare.
Lo sentì di nuovo, clink, e poi qualcosa che raschiava. Si levò sulle quattro zampe. Drizzò le orecchie, sollevando la coda. Lanciò un ululato lungo e vibrante, un urlo che voleva risvegliare i dormienti. Ma i cumuli di roccia-uomo rimasero oscuri, morti. Era una notte umida e immota, una notte che spingeva gli uomini a rintanarsi nei loro buchi. La pioggia era cessata, ma gli uomini continuavano a nascondersi dall’umidità, raccogliendosi intorno al fuoco nelle loro caverne fatte di mucchi di pietre.
Suo fratello apparve tra gli alberi. Si muoveva quasi nello stesso modo silenzioso di un altro loro fratello, che lui ricordava molto bene. Quello bianco, con gli occhi rosso sangue. Gli occhi di questo fratello, invece, erano pozze di tenebre, ma la pelliccia sul suo collo era ritta. Anche lui aveva udito i suoni. E anche lui sapeva che significavano pericolo.
Questa volta, il tintinnio e il raschiare vennero seguiti dal fruscio rapido, soffice, di piedi nudi contro la roccia. Il vento portò l’odore quasi impercettibile di una presenza-uomo ignota. Estraneo. Pericolo. Morte.
Si avventò verso la fonte del suono e suo fratello correva con lui. Le pietre si sollevavano davanti a loro, muraglie viscide e bagnate. Denudò le zanne, ma la roccia-uomo rimase indifferente. Una grata incombeva poco più oltre, un nero rettile di ferro avviluppato strettamente attorno a sbarre e a pali. Si lanciò contro di essa. Impattò. Il rettile di ferro sussultò, cigolò. Ma non cedette. Oltre le sbarre, poteva vedere in basso, verso il fondo del lungo fossato di pietra che correva tra i muri, linea di divisione con la pietraia al di là. Non c’era modo di superare quella barriera. Era in grado di spingere tra le sbarre solo parte del muso affilato, ma niente di più. Molte e molte volte suo fratello aveva tentato di rompere con i denti le ossa nere della grata. Nulla da fare, impossibile spezzarle. Avevano anche cercato di scavare al di sotto della grata. Niente da fare nemmeno così: c’erano grandi pietre piatte parzialmente coperte dal terriccio e dalle foglie trascinate dal vento.
Ringhiando, si mosse avanti e indietro di fronte alla grata. Si lanciò contro di essa ancora una volta. Il metallo si spostò di poco e lo rigettò indietro. “Sbarrata” sentì sussurrare. “Incatenata.” Era la voce che lui non udiva, la traccia priva di odore. Anche tutte le altre aperture erano sbarrate, là dove le porte interrompevano la muraglia della roccia-uomo. Porte di legno spesso e robusto. No, nessuna possibilità.
“Invece una possibilità esiste.” Di nuovo il sussurro. Ebbe come l’impressione di vedere l’ombra di un grande albero ricoperto di aghi. Emergeva dalla terra scura, stranamente inclinato, alto più di dieci uomini. Si guardò attorno. Nessun albero. Non c’era e basta. “L’altro lato del parco degli dei, l’albero-sentinella. Presto… fa’ presto!”
Da qualche parte nell’oscurità della notte venne un grido soffocato, immediatamente troncato.
In fretta, molto in fretta, girò su se stesso e corse di nuovo tra gli alberi. Le foglie bagnate frusciarono sotto le sue zampe. I rami frustarono il suo corpo asciutto, lanciato nella corsa. Poteva udire suo fratello seguirlo da vicino. Arrivarono come arieti sotto l’albero del cuore, sul margine dello stagno dalle acque fredde. Superarono cespugli di more, passarono sotto un groviglio di rami di quercia, di ceneri di rovi. Furono dalla parte opposta del giardino invaso dalle tenebre…
“Eccolo!”
L’oggetto che non era stato in grado di vedere, simile a un’ombra obliqua, che puntava verso i tetti della roccia-uomo. “Albero-sentinella” tornò a dirgli il sussurro.
Tornò anche una diversa memoria: quella di come si faceva a scalarlo. Gli aghi da tutte le parti, che gli graffiavano la faccia scoperta, che scivolavano lungo il suo dorso. Le mani appiccicose di resina, l’acre odore di pino che emanava da essa. Il sentinella, così inclinato, contorto com’era, i rami talmente ravvicinati l’uno all’altro da formare una specie di scala naturale verso il bordo del tetto, era un albero facile da scalare per un ragazzo.