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«Più forte, Bran. E chiamami principe.»

Bran alzò la voce: «Ho ceduto Grande Inverno al principe Theon. Ognuno di voi obbedirà ai suoi ordini».

«Maledetto me se lo faccio» ringhiò Mikken.

Theon si limitò a ignorarlo. «Lord Balon Greyjoy mio padre ha indossato nuovamente la sua antica corona di sale e di roccia. E si è proclamato re delle isole di Ferro. Il Nord è suo per diritto di conquista. Tutti voi adesso siete suoi sudditi.»

«In culo!» Mikken si tolse il sangue dalla bocca. «Io servo gli Stark! Non un pesce marcio traditore… aaah!» L’impugnatura della picca lo centrò alla testa, scaraventandolo nuovamente sul pavimento di pietra.

«I fabbri hanno braccia forti e teste deboli» rilevò Theon. «Ma se tutti voi mi servirete con la stessa lealtà con cui avete servito Ned Stark, scoprirete che sono il lord più generoso che potete desiderare.»

Mikken, ancora carponi, sputò una boccata di sangue. Bran cercò di fargli un cenno: “Mikken, no, ti prego…”. Inutile.

«Se credi di impossessarti del Nord con questa massa di straccioni…»

L’uomo pelato affondò la punta della lancia nel retro del collo del fabbro. L’acciaio si aprì la strada nella carne, uscì dalla gola in una fontana di sangue. Una donna urlò. Meera coprì con le sue braccia Rickon.

“Nel sangue” Bran aveva la risposta, adesso. Gliel’avevano data i sogni dell’oltre. “È nel suo stesso sangue che sta annegando…”

«Qualcun altro ha qualcosa da dire?» chiese Theon Greyjoy.

«Hodor Hodor Hodor Hodor» urlò il ragazzo dalla mente semplice, con gli occhi sbarrati.

«Per favore, fate tacere quell’idiota.»

Due uomini di ferro si misero a picchiare Hodor con le aste delle lance. Il ragazzo cadde a terra, cercando di proteggersi dai colpi con le mani.

«Sarò un lord molto migliore di Eddard Stark» riprese Theon a voce più alta, in modo da farsi udire al di sopra dei tonfi, del legno contro la carne. «Ma se oserete tradirmi, vi pentirete di averlo fatto. E non crediate che gli uomini che vedete qui siano tutta la mia forza. Presto, anche Piazza di Thorren e Deepwood Motte saranno mie. E mio zio sta navigando lungo il fiume del Sale per prendere il Moat Cailin. Se Robb Stark riuscirà a battere i Lannister, che regni pure come re del Tridente. Ma per adesso, è la Casa Greyjoy che tiene il Nord.»

«I lord degli Stark ti vinceranno» gridò Reek. «Quel maiale rigonfio a Porto Bianco per primo. E anche gli Umber e i Karstark. A te servono uomini. Se mi liberi, io sono uno di quegli uomini.»

Theon ci pensò sopra per un momento: «Sei più furbo di quanto puzzi, ma non credo di riuscire a sopportare il tuo tanfo».

«Bene» fece Reek. «Mi lavo un po’, se sono libero.»

«Uomo di raro buon senso» sorrise Theon. «Sottomettiti.»

Uno degli uomini di ferro diede a Reek una spada. Lui la pose ai piedi di Theon e giurò obbedienza alla Casa Greyjoy e a lord Balon. Bran non poté guardare. Il sogno dell’oltre… Tutto vero.

«Milord Greyjoy!» Osha si fece avanti a sua volta, scavalcando il cadavere di Mikken. «Anch’io sono stata portata qui come prigioniera. Tu c’eri il giorno in cui è successo.»

“Io pensavo tu fossi nostra amica” pensò Bran con dispiacere.

«Sono guerrieri che voglio» disse Theon. «Non puttane da cucina.»

«È stato Robb Stark a mettermi nelle cucine. Per più di un anno mi hanno lasciato a grattare pentole, a lavare via grasso e a tenere caldo il pagliericcio di questo qua» Osha lanciò uno sguardo duro a Gage. «Non ne posso più. Metti di nuovo una picca nel mio pugno.»

«Ce l’ho qua io, la picca per te» sghignazzando, il pelato che aveva ucciso Mikken si afferrò lo scroto.

Osha gli assestò una solenne ginocchiata tra le gambe.

«Quella te la puoi anche tenere» gli strappò la lancia dalle mani e lo colpì con l’asta. «Io preferisco il legno e il ferro.»

Il pelato crollò sul pavimento, mentre il resto dei predoni esplose in una fragorosa risata.

«Tu mi stai bene» anche Theon rise con loro. «Tienila pure, quella picca. Stygg può trovarne un’altra. Ora sottomettiti e giura.»

Nessun altro si fece avanti per mettersi al suo servizio, quindi Theon rimandò tutti a casa, ordinando che continuassero a fare il loro lavoro senza causare altri guai. Hodor riportò Bran nella sua stanza da letto. La sua faccia era deformata dalle botte, un occhio chiuso, il naso gonfio.

Sollevò Bran tra le braccia coperte di sangue: «Hodor» singhiozzò tra le labbra spaccate.

Il giovane dalla mente semplice e il ragazzo spezzato si allontanarono nelle tenebre e nella pioggia.

ARYA

«Ci sono i fantasmi, qui. Io lo so che ci sono» Frittella, le braccia imbiancate di farina fino ai gomiti, stava preparando delle trecce di pane. «Pia ha visto qualcosa nella dispensa, ieri notte.»

Arya commentò con un suono volgare. Pia vedeva sempre cose nella dispensa. Di solito, si trattava di uomini.

«Me la daresti una pasta?» chiese a Frittella. «Ne hai fatto un intero vassoio.»

«Mi serve tutto. Ser Amory Lorch ne è ghiotto.»

Arya lo odiava, ser Amory Lorch. Era stato lui a comandare quelli che li avevano attaccati nel fortino abbandonato, uccidendo Yoren e tutti gli altri.

«Sputiamoci sopra» propose.

Frittella si guardò intorno nervosamente. Le cucine erano piene di ombre pesanti, piene di echi. Tutti gli altri cuochi e gli sguatteri stavano dormendo negli spazi cavernosi sopra i forni.

«Se ne accorgerà.»

«No invece» insisté Arya. «Non puoi sentire il sapore dello sputo.»

«Ma se lo sente, è a me che mi frustano» Frittella fece una pausa. «Tu non devi nemmeno essere qui. È notte fonda.»

Lo era, ma ad Arya non importava. Perfino nel cuore della notte, c’era sempre attività nelle cucine di Harrenhal. C’era sempre qualcuno che preparava la pasta per il pane della mattina dopo, che rimestava in un pentolone con un lungo mestolo di legno, che macellava un maiale per la pancetta della colazione di ser Amory. Quella notte, quel qualcuno era Frittella.

«Se Occhio moscio si sveglia e scopre che tu non ci sei…»

«Occhio moscio non si sveglia mai» ribatté Arya. Il suo vero nome era Mebble ma, visto che i suoi occhi lacrimavano in continuazione, tutti lo chiamavano Occhio moscio. «Non una volta che è partito.»

Ogni mattina, Mebble Occhio moscio faceva colazione a base di birra. E ogni sera dopo cena crollava in un sonno da ubriaco, con la bava color del vino che gli colava lungo il mento. Arya aspettava di udirlo russare, poi, a piedi nudi, saliva la scala della servitù, senza fare più rumore del piccolo topo che era stata. Non aveva bisogno né di candele né di torce. Un tempo, Syrio Forel le aveva detto che l’oscurità poteva essere sua amica. Aveva ragione. Ad Arya bastavano il chiarore della luna o la luce delle stelle per muoversi.

«Scommetto che potremmo anche scappare» disse a Frittella «e Occhio moscio nemmeno si accorgerebbe che ce ne siamo andati.»

«Io non ho nessuna voglia di scappare. È molto meglio qua che in quei dannati boschi. Io non li voglio più mangiare i vermi. Qui, dammi una mano, spargi un po’ di farina sulla…»

«Aspetta…» Arya inclinò il capo di lato. «Che cos’è stato?»

«Cosa? Io non…»

«Ascolta con le orecchie, non con la bocca. Era il suono di un corno da guerra. Due volte, non lo hai sentito? Ecco, ecco… Queste erano le catene della grata del portale: qualcuno sta entrando. O sta uscendo. Vieni a vedere?»

Era dalla mattina in cui lord Tywin era tornato in guerra con il suo esercito che le porte di Harrenhal non venivano più aperte.