S’infilò la spada nella cintura. Passò da un ramo all’altro fino a quando non fu nuovamente a terra. La luce della luna conferiva al tronco dell’albero-diga un colore argenteo. Andò verso di esso. Le foglie, però, le rosse foglie a cinque punte, apparivano completamente nere. Arya scrutò il volto scavato nel legno. Era una maschera terribile, la bocca distorta, gli occhi fiammeggianti pieni d’odio. Erano così i volti degli dei? E potevano soffrire, gli dei, nello stesso modo in cui soffrivano gli uomini? “Dovrei pregare…” Il pensiero la colse all’improvviso.
Arya si mise in ginocchio. Non sapeva bene come cominciare. Intrecciò le mani. “Aiutatemi, antichi dei” pregò silenziosamente. “Aiutatemi a far uscire gli uomini del Nord dalla segreta, in modo che possiamo uccidere ser Amory, in modo che io possa tornare a casa a Grande Inverno. Fate di me una danzatrice dell’acqua e un lupo. Fate che non abbia più paura, mai più.”
Che potesse bastare? Forse, se voleva che gli antichi dei la udissero, avrebbe dovuto pregare a voce alta. O forse pregare più a lungo. Ricordava di aver visto suo padre pregare per molto tempo. Ma gli antichi dei non lo avevano mai aiutato.
«Avresti dovuto salvarlo» disse con rabbia al livido volto nell’albero. «Pregava sempre, lui. Be’, non m’importa se non mi aiuterai. Non sono certa che potresti farlo, nemmeno se lo volessi.»
«Gli dei non s’ingannano, ragazza.»
Una voce, alle sue spalle. Arya schizzò in piedi, con la spada di legno in pugno. Immobile come uno degli alberi del parco degli dei, c’era un’ombra più profonda delle tenebre. Jaqen H’ghar.
«Quest’uomo viene per udire un nome. Uno, due e dopo c’è il tre. Quest’uomo poi avrà finito.»
Arya abbassò la punta scheggiata verso terra: «Come sapevi che ero qui?».
«Quest’uomo vede. Quest’uomo sente. Quest’uomo sa.»
Arya lo studiò con sospetto. Erano stati gli dei a mandarlo? «Come hai fatto a costringere il cane a uccidere Weese? E Rorge e Mordente… li hai evocati dagli inferi? Jaqen H’ghar è il tuo vero nome?»
«Alcuni uomini hanno molti nomi. Donnola. Arry. Arya.»
Lei fece un passo indietro. Alla fine, si ritrovò con la schiena contro l’albero del cuore: «È stato Gendry? Te lo ha detto lui?».
«Quest’uomo sa» ripeté Jaqen. «Mia lady di Stark.»
«Devi aiutarmi a fare uscire quegli uomini dalle segrete.» Forse gli dei lo avevano veramente mandato da lei, rispondendo alle sue preghiere. «Quel Glover e gli altri uomini del Nord, tutti quanti. Dobbiamo uccidere la guardie e aprire la cella in qualche modo…»
«La ragazza dimentica» rispose Jaqen quietamente. «Due la ragazza ha avuto, tre erano dovuti. Se una guardia deve morire, la ragazza deve pronunciare il suo nome.»
«Ma una sola guardia non basterà! Bisogna ucciderle tutte se vogliamo aprire la cella» per fermare le lacrime, Arya si morse duramente il labbro. «Voglio che tu salvi gli uomini del Nord come io ho salvato te.»
«Tre vite sono state strappate a un dio» lo sguardo di Jaqen era impietoso. «Tre vite devono essere ripagate.» La sua voce era seta, e acciaio. «Gli dei non s’ingannano.»
«Non li ho mai ingannati.» Arya pensò per un lungo momento. «Il nome… il nome della terza morte. Posso sussurrare qualsiasi nome voglio? E tu lo ucciderai?»
Jaqen H’ghar inclinò il capo: «Quest’uomo ha parlato».
«Qualsiasi nome?» insisté Arya. «Un uomo, una donna, un bambino… oppure lord Tywin, o l’Alto Sacerdote, o tuo padre?»
«Il sire di quest’uomo è morto da molto tempo. Ma se egli fosse vissuto, e se tu conoscessi il suo nome, dietro tuo comando lui morirebbe.»
«Giura, Jaqen. Giuralo sugli dei.»
«Nel nome di tutti gli dei del mare e dell’aria, nel nome del dio del fuoco, lo giuro» Jaqen H’ghar posò una mano sulla bocca del volto mostruoso scolpito nel legno livido. «Nel nome dei Sette Dei nuovi, e degli innumerevoli dei antichi, lo giuro.»
“Ha giurato!” «Perfino se pronunciassi il nome del re…»
«Pronuncia il nome, e la morte verrà. Domattina, al ciclo della luna, un anno da questo giorno, la morte verrà. Quest’uomo non vola come un uccello, ma muove un piede e poi l’altro. E un giorno quest’uomo è là. E un re muore.» Jaqen pose un ginocchio a terra di fronte a lei. «La ragazza sussurra se teme di dirlo a voce alta.» Erano faccia a faccia. «Sussurra. Ora. È… Joffrey?»
Arya si protese verso il suo orecchio, le labbra quasi a contatto. Sussurrò il nome della terza morte. «Jaqen H’ghar.»
Nemmeno nella stalla che bruciava, incatenato davanti alla ruggente muraglia di fiamme, Jaqen H’ghar era apparso così sconvolto come appariva in quel momento.
«La ragazza… fa uno scherzo.»
«Tu hai giurato! Gli dei ti hanno udito.»
«Gli dei hanno udito.» E di colpo, c’era un pugnale nella sua mano, la lama sottile quanto il mignolo di un bambino. Arya non fu in grado di dire chi di loro due quella lama avrebbe colpito. «La ragazza piangerà. La ragazza perde il suo solo amico.»
«Tu non sei mio amico. Un vero amico mi aiuterebbe.» Arretrò da lui, in equilibrio sulle punte dei piedi, pronta a scattare via se Jaqen avesse lanciato il pugnale. «Io non ucciderei mai un amico.»
Un sorriso, lo spettro di un sorriso, apparve sul viso di Jaqen H’ghar: «La ragazza potrebbe… sussurrare un diverso nome, se l’amico aiuta?».
«La ragazza potrebbe» confermò Arya. «Se l’amico aiuta.»
Il coltello svanì: «Vieni».
«Vuoi dire… adesso?» Non avrebbe mai pensato che lui avrebbe agito tanto in fretta.
«Quest’uomo ode il mormorio della sabbia che scende attraverso il cristallo. Quest’uomo non dorme fino a quando la ragazza sussurra un diverso nome. Sì, adesso, bambina malvagia.»
“Non sono una bambina malvagia. Sono un meta-lupo. E sono lo spettro di Harrenhal.” Arya ripose nel suo nascondiglio la spada di legno e seguì Jaqen H’ghar fuori dal parco degli dei.
Era notte fonda, ma ad Harrenhal ferveva l’attività.
La venuta di Vargo Hoat aveva sovvertito tutti i ritmi. Carri, buoi e cavalli erano spariti dal cortile, ma la gabbia con dentro l’orso era ancora là. Era stata appesa al centro dell’arcata del ponte tra il blocco esterno e quello intermedio della fortezza, e penzolava a circa un metro da terra. Un anello di torce gettava riflessi baluginanti sull’acciottolato. Alcuni ragazzi delle stalle lanciavano sassi contro l’orso per sentirlo ruggire. Dalla parte opposta del cortile, un alone di luce si diffondeva dai baraccamenti delle truppe. Si udiva il cozzare dei boccali e i Guitti sanguinari che reclamavano altro vino. Una mezza dozzina di voci diedero il via a una canzone in una strana lingua gutturale che ad Arya suonò del tutto sconosciuta.
“Mangiano e bevono prima di andare a dormire. Occhio moscio mi avrà di sicuro cercata. Ora sa che non sono a letto.” A quanto pareva, doveva avere il suo daffare a versare vino e birra per gli uomini di Hoat e per le guardie di ser Amory che si erano messi a gozzovigliare con loro. Tutto quel rumore sarebbe stata un’ottima distrazione.
«Gli dei affamati stanotte faranno festa con il sangue, se quest’uomo agisce» disse Jaqen. «Dolce ragazza, delicata e gentile. Sussurra un nome diverso e getta lontano questo folle sogno.»