«La delicata ragazza non lo fa.»
«E sia» Jaqen parve rassegnato. «La cosa verrà consumata, ma la ragazza deve obbedire. Quest’uomo non ha tempo per le parole.»
«La ragazza obbedirà» confermò Arya. «Che cosa devo fare?»
«Cento uomini hanno fame, devono essere nutriti. Il lord comanda brodo caldo. La ragazza deve correre nelle cucine e dirlo al ragazzino delle frittelle.»
«Brodo» ripeté lei. «E tu intanto dove sarai?»
«La ragazza aiuterà a fare il brodo caldo. E poi aspetterà nelle cucine fino a quando quest’uomo non viene a cercarla. Va’. Corri.»
Frittella era intento a tirare fuori dal forno le forme di pane quando Arya fece irruzione. Ma non era più solo nelle cucine. I cuochi erano stati svegliati per nutrire Vargo Hoat e i suoi Guitti sanguinari. Servitori andavano e venivano, portando via i vassoi con il pane e le paste preparati da Frittella. Ragazzi addetti alla cottura facevano girare sulle fiamme conigli infilzati in lunghi spiedi, mentre le sguattere li pennellavano con il miele. Altre donne affettavano cipolle e carote.
Il capocuoco, intento a tagliare grosse fette di prosciutto, vide Arya: «Che vuoi Donnola?».
«Brodo» annunciò lei. «Il mio lord vuole brodo.»
«Quello che cosa pensi che sia?» Con un gesto rabbioso, il cuoco puntò il coltello verso i calderoni neri appesi sul fuoco. «Anche se mi piacerebbe pisciarci dentro piuttosto che darlo a quel caprone. Nemmeno dormire in pace, si può.» Sputò con disprezzo. «Be’, non ci pensare, va’ dal caprone e digli che non si può cuocere più in fretta.»
«Devo aspettare qui fino a quando è pronto.»
«Allora sta’ fuori dai piedi. Anzi, renditi utile. Fai una corsa fino alla dispensa. Il lord caprone vorrà anche burro e formaggio. Sveglia Pia e dille che fa meglio a muoversi, se vuole tenerseli attaccati alle gambe, i suoi piedi.»
Arya corse a perdifiato. Pia era già sveglia nel piano della servitù. Sveglia e mugolante con le gambe aperte sotto il peso di uno dei Guitti. Ma quando udì il richiamo di Arya, si rivestì, in tutta fretta. Riempì sei ceste di vimini con blocchi di burro e fette di formaggio dall’odore acre.
«Dammi una mano con queste, Donnola.»
«Adesso no. Ma è meglio che ti sbrighi, se no Vargo Hoat ti taglia via i piedi.»
Arya schizzò via prima che Pia potesse afferrarla. Nel correre indietro, si domandò come mai a nessuno dei prigionieri fossero stati mozzati mani e piedi. Forse Vargo Hoat aveva paura della rabbia di Robb. Per quanto, non sembrava proprio tipo da avere paura di qualcosa o di qualcuno.
Rientrando nelle cucine, Arya trovò Frittella impegnato a rimescolare nei calderoni con un lungo mestolo di legno. Prese un secondo mestolo e si mise ad aiutarlo. Per un momento, pensò se non fosse il caso di dirgli quello che stava per succedere. Poi, però, le tornò in mente quanto era accaduto nel villaggio e decise di tenere la bocca chiusa. “Frittella si arrenderebbe ancora e basta.”
«Cuoco!»
Arya conosceva quella brutta voce raschiante. Apparteneva a Rorge, il brutale tagliagole dal naso mozzato. Lasciò andare il mestolo, sentendosi di colpo piena d’angoscia. “Non avevo detto a Jaqen di portare anche loro…”
«Lo prendiamo noi il tuo fottuto brodo.»
Rorge indossava il suo mezzo elmo di ferro munito della protezione nasale che nascondeva in qualche modo la mutilazione. Dietro di lui venivano Jaqen H’ghar e Mordente.
«Il fottuto brodo non è ancora fottutamente pronto» ribatté il cuoco. «Deve diventare ben denso. Le cipolle gliele abbiamo messe dentro solo da poco…»
«Chiudi quella fogna, se no ti pianto uno di quegli spiedi dentro il culo e ti do un paio di giri a fuoco lento. Voglio il brodo e lo voglio adesso.»
Emettendo uno di quei suoi suoni sibilanti, Mordente strappò dallo spiedo un coniglio cotto a metà e lo addentò con le sue zanne appuntite, e il miele fumante gli colò tra le dita.
«E allora prenditelo, il tuo fottuto brodo» cedette il cuoco. «Ma se poi il lord caprone vuol sapere perché è così acquoso, glielo dici tu.»
Mordente si leccò le dita impiastricciate mentre Jaqen H’ghar si faceva scivolare sulle mani un paio di grossi guanti imbottiti. Ne diede un secondo paio ad Arya: «La Donnola aiuterà».
Il brodo era una mistura gorgogliante, ribollente. I calderoni erano pesanti. Jaqen e Arya ne sollevarono uno in due. Rorge ne prese uno e Mordente addirittura due, sibilando di dolore nello scottarsi le mani sui manici roventi. In ogni caso, non li lasciò cadere. Trasportarono i calderoni fuori dalle cucine e attraverso il cortile. C’erano due guardie a sorvegliare la porta della Torre della Vedova.
«E questo cosa sarebbe?» una di loro apostrofò Rorge.
«Un bel pentolone di piscio bollente, ne vuoi un po’?»
Jaqen si esibì in un sorriso disarmante: «Un prigioniero deve mangiare anche lui, sì?».
«Nessuno ci ha detto di…»
«È per loro, non per te» lo interruppe Arya.
La seconda guardia fece cenno di passare: «Forza. Portateli di sotto».
C’era una scala a chiocciola che scendeva nelle segrete. Rorge fece strada, Jaqen e Arya lo seguirono. «La ragazza si terrà in disparte» avvertì Jaqen.
I gradini di pietra sfociavano in un’umida cripta di pietra. Uno spazio allungato, tetro e privo di finestre. Alcune torce ardevano nelle loro nicchie verso il fondo della segreta, dove un gruppo di uomini di ser Amory sedevano attorno a un malridotto tavolo di legno, parlando e giocando a domino. Spesse sbarre di ferro li separavano dai prigionieri, ammassati nel buio. L’odore del brodo caldo spinse molti, di loro verso le sbarre. Arya contò otto guardie. Anche loro sentirono l’odore del brodo.
«Mai vista una serva più brutta» il capitano sghignazzò all’indirizzo di Rorge. «Che cosa c’è lì dentro?»
«Il tuo cazzo e i tuoi coglioni. Vuoi mangiare o no?»
Una delle guardie passeggiava avanti e indietro, un’altra era in piedi vicino alle sbarre, una terza sedeva a terra con la schiena alla parete. Ma l’idea del cibo li portò tutti attorno al tavolo.
«Era tempo che ci davano da mangiare.»
«Cos’è, cipolle?»
«E il pane? Dov’è?»
«Merda, ci servono ciotole, cucchiai…»
«Non vi serve proprio un cazzo, invece.»
Rorge scaraventò l’intero contenuto del calderone oltre il tavolo, dritto in faccia al gruppo. Jaqen H’ghar fece lo stesso. Mordente lanciò anche le pentole, mandando brodo incandescente a piovere per metà della segreta. Uno dei calderoni colpì il capitano alla tempia mentre cercava di tirarsi su da terra. Crollò di nuovo e rimase immobile, come un sacco di stracci. Gli altri urlavano per le ustioni, pregando, cercando di strisciare via.
Arya si schiacciò con la schiena contro la parete mentre Rorge cominciava a tagliare gole. Mordente, invece, preferì prendere gli uomini da dietro e spezzare loro il collo con una secca torsione delle sue enormi mani pallide. Una delle guardie riuscì a sfoderare la spada. Jaqen H’ghar schivò il fendente, snudando la sua lama. In un vortice di colpi, costrinse il soldato in un angolo. Lo finì con un singolo affondo al cuore. L’uomo di Lorath si avvicinò ad Arya, con la spada ancora gocciolante. «Anche la delicata ragazza si sporca di sangue» disse ripulendo la lama sulla tunica di lei. «Questo chiede, questo riceve.»
La chiave della cella era appesa a un uncino sul muro, al di sopra del tavolo. Rorge la prese e aprì la porta a sbarre.
«Ben fatto» il primo uomo a uscire fu il lord con l’emblema del pugno coperto di maglia di ferro sulla tunica. «Sono Robett Glover.»
«Mio lord» Jaqen fece un perfetto inchino.
Una volta liberi, i prigionieri tolsero alle guardie morte le armi e si precipitarono su per le scale, con l’acciaio in pugno. I loro compagni si ammassarono dietro di loro, a mani nude. Si mossero in fretta, quasi senza dire una parola. E adesso, nessuno di loro sembrava più così seriamente ferito come quando Vargo Hoat li aveva condotti attraverso il portale di Harrenhal.