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«Questa del brodo» stava dicendo l’uomo di nome Glover. «Una mossa astuta. Non me l’ero aspettata. Idea di lord Hoat?»

Rorge scoppiò a ridere. Una risata talmente sbracata che grumi di muco fetido schizzarono fuori dalla voragine che aveva in mezzo alla faccia. Mordente sedette su uno dei cadaveri, sollevò la mano del morto e l’addentò. Scricchiolio di ossa, il sangue gli colò sul mento.

«Ma voi chi siete?» Era apparsa una ruga profonda sulla fronte di lord Glover. «Non eravate con Hoat quando ha attaccato il campo di lord Bolton. Siete con i Bravi Camerati?»

Rorge si pulì il muco dal mento con il dorso della mano: «Lo siamo adesso».

«Quest’uomo ha l’onore di essere Jaqen H’ghar, della Libera Città di Lorath. Gli scortesi compagni di quest’uomo si chiamano Rorge e Mordente. Il mio lord già sa qual è Mordente.» Jaqen fece un cenno verso Arya. «E qui c’è…»

«Donnola» esclamò Arya, bloccandolo prima che Jaqen rivelasse chi era lei in realtà. Non voleva che il suo nome fosse pronunciato qui, dove Rorge poteva udirlo, e anche Mordente, e tutti quegli altri che lei non conosceva. Vide Glover che si limitava a ignorarla.

«Molto bene» disse il lord. «Ora poniamo fine a questa sanguinosa questione.»

Tornarono su nel cortile. Le due guardie giacevano sulla soglia della Torre della Vedova, in una pozza del loro stesso sangue. I guerrieri del Nord correvano attraverso il cortile. Arya udì delle grida. La porta dei baraccamenti si aprì di schianto e un uomo ferito si trascinò fuori barcollando. Altri tre uomini gli furono addosso e lo ridussero al silenzio con le spade e le lance. Stavano combattendo anche attorno al corpo di guardia. Rorge e Mordente corsero via insieme a Glover, gettandosi a loro volta nella mischia.

Jaqen H’ghar mise un ginocchio a terra di fronte ad Arya: «La ragazza riesce a comprendere?».

«Sì, comprende» anche se invece non comprendeva, non completamente.

Jaqen glielo lesse in faccia: «Non c’è lealtà in un caprone nero. Presto, un vessillo di lupo sventola su Harrenhal. Ma prima, quest’uomo vuole udire che un certo nome viene cancellato.»

«Il nome è cancellato» Arya si morse il labbro. «Ho ancora la terza morte?»

«La ragazza è avida.» Jaqen toccò uno dei corpi e le mostrò la punta del dito coperta di sangue. «Questo è il tre, quello il quattro, altri otto giacciono nelle segrete. Il debito è pagato.»

«Il debito è pagato» ammise Arya con riluttanza. E adesso si sentiva triste. Perché adesso, lei non era più lo spettro di Harrenhal. Era tornata a essere un topo.

«Un dio ha avuto ciò che al dio era dovuto. E ora…» un sorriso enigmatico affiorò sulle labbra di Jaqen H’ghar. «Quest’uomo deve morire.»

«Morire?» esclamò confusa. Ma che cosa stava dicendo Jaqen? «Ma io l’ho cancellato, il nome. Non devi più morire!»

«Il mio tempo è concluso.»

Jaqen H’ghar si passò una mano sul volto, dalla fronte scivolando fino al mento. E dove quella mano passò, ogni cosa subì un mutamento. Le gote si fecero più rotonde, gli occhi più ravvicinati, il naso divenne a uncino, una cicatrice apparve sulla guancia destra, là dove nessuna cicatrice era mai esistita. E quando l’uomo di Lorath scosse il capo, i suoi lunghi capelli lisci, metà rossi e metà bianchi, si dissolsero. Al loro posto, apparvero corti riccioli, neri come l’inchiostro.

«Ma tu chi sei?» Arya era a bocca aperta, troppo stupefatta perfino per avere paura. «Come hai fatto? È difficile?»

«Non più difficile che cambiare nome» lui sorrise, rivelando uno scintillante dente d’oro. Anche la sua voce, il suo modo di parlare, erano mutati. «Basta sapere come fare.»

«Insegnami!… Voglio farlo anch’io.»

«Se vuoi imparare, dovrai venire con me.»

Arya esitò: «Dove?».

«Molto lontano, al di là del mare Stretto.»

«Non posso. Devo tornare a casa, a Grande Inverno.»

«Allora le nostre strade si dividono. Anch’io ho dei doveri.» Le prese una mano e premette nel palmo una piccola moneta. «Ecco, prendi.»

«Che cos’è?»

«Una moneta di grande valore.»

Arya vi diede un morso. Era talmente dura che avrebbe potuto essere ferro. «Vale abbastanza da comprarci un cavallo?»

«Il suo scopo non è comprare cavalli.»

«E allora a che cosa serve?»

«Tanto vale che tu chieda a che cosa serve la vita di un uomo. O la morte. Se mai verrà il giorno in cui le nostre strade torneranno a incontrarsi, da’ questa moneta a qualsiasi uomo della Città Libera di Braavos, e pronuncia queste parole: vaiar morghulis.»

«Vaiar morghulis» ripeté Arya. Non era difficile. Serrò le dita attorno alla moneta. Dall’altra parte del cortile, poteva udire altri uomini morire. «Ti prego, Jaqen, non andare.»

«Jaqen è morto, come Arry» disse lui con tristezza «e io ho delle promesse da mantenere. Vaiar morghulis, Arya Stark. Ripetilo ancora.»

«Vaiar morghulis.»

Lo sconosciuto che si era chiamato Jaqen H’ghar, che ancora indossava gli abiti di Jaqen H’ghar anche se aveva cessato di esserlo, fu inghiottito dalle tenebre, con il mantello che turbinava nel vento freddo. Arya rimase sola, insieme agli uomini morti. Le tornarono alla mente Yoren e Koss e tutti quelli che ser Amory aveva ucciso nel fortino sul lago. “Meritavate di morire.”

Le celle sotto la Torre del Rogo del Re erano vuote. Arya tornò al suo pagliericcio. Contro il cuscino, sussurrò i nomi dell’odio: «Dunsen, Polliver, Raff Dolcecuore, Messer sottile e il Mastino, ser Gregor, ser Amory, ser Ilyn, ser Meryn, re Joffrey, regina Cersei». E quando li ebbe pronunciati tutti, aggiunse: «Vaiar morghulis».

Lo disse in un bisbiglio appena percettibile, chiedendosi che cosa significasse.

Occhio moscio e gli altri tornarono alle prime luci. Tornarono tutti tranne un ragazzo delle cucine rimasto ucciso nei combattimenti per nessuna ragione comprensibile. Occhio moscio salì nel cortile, da solo, in modo da rendersi conto di quale fosse la situazione alla luce del giorno, lamentandosi di quanto le sue vecchie ossa scricchiolavano su tutti quei gradini di pietra. Quando tornò, disse che Harrenhal era stata presa.

«I Guitti sanguinari hanno ucciso molti degli uomini di ser Amory nei loro letti. Il resto, li hanno sgozzati attorno alla tavola, quand’erano ubriachi. Il nuovo lord sarà qua prima del tramonto, e con tutto il suo esercito. È uno di lassù nel Nord, dove ci sta quella Barriera, e dicono che sia uno duro. Questo lord, quel lord, c’è sempre lavoro da fare uguale. Voi fate qualche schiocchezza, e io vi strappo la pelle dalla schiena a frustate.»

Guardò fisso Arya nel pronunciare quella sua minaccia che non metteva mai in atto, ma non le chiese dove era stata la notte prima.

Per tutta la giornata Arya rimase a guardare i Guitti sanguinari che spogliavano i caduti dei loro averi e delle loro armi, trascinando poi i cadaveri su una pira eretta nel Cortile di Granito, sulla quale sarebbero stati bruciati.

Shagwell il Giullare mozzò la testa a due dei cavalieri morti e saltellò da tutte le parti della fortezza facendole ballonzolare per i capelli e facendo finta che si parlassero. «Ehi, tu di che cosa sei crepato?» chiese una delle teste mozzate. «Zuppa calda di donnola» rispose la seconda testa.

Ad Arya venne dato il compito di lavare via il sangue rappreso. Nessuno le disse una parola di più del solito, ma ogni tanto si rendeva conto che erano in parecchi a guardarla in modo strano. Robett Glover e gli altri uomini del Nord che lei aveva liberato dovevano aver detto qualcosa di quanto era accaduto nelle segrete sotto la Torre della Vedova. E poi Shagwell e le sue maledette teste mozzate avevano cominciato con quella storia balorda della zuppa di donnola. Avrebbe proprio voluto dirgli di piantarla, ma aveva paura a farlo. Il Giullare era mezzo matto e lei aveva sentito dire che una volta aveva ucciso uno che non aveva riso a uno dei suoi scherzi. “Farà meglio a chiudere quella sua maledetta bocca” rimuginò mentre continuava a raschiare via chiazze purpuree. “Se no metto anche lui nella mia lista.”