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Stava calando la sera quando il nuovo padrone di Harrenhal finalmente arrivò. Aveva una faccia qualsiasi, senza barba, con i lineamenti ordinari. C’era un’unica cosa che si notava in lui: gli occhi, così stranamente pallidi. Non era né grasso, né magro, né muscoloso. Indossava una cotta di maglia nera con sopra una tunica rosa a macchie. L’emblema della sua casa era un uomo che sembrava essere stato immerso nel sangue.

«In ginocchio davanti al lord di Forte Terrore!»

A urlarlo fu il suo scudiero, un ragazzino che non poteva essere più vecchio di Arya.

E Harrenhal andò in ginocchio.

Vargo Hoat si fece avanti: «Mio lord, Harrenhal è voschtra».

Il lord rispose qualcosa, ma a voce troppo bassa perché Arya potesse udirla, Robett Glover e ser Aenys Frey, lavati, ripuliti e con indosso farsetti e mantelli nuovi, andarono a prendere i loro posti presso il padrone. Dopo un breve colloquio, ser Aenys condusse il gruppo da Rorge e Mordente. Arya fu sorpresa di vederli ancora al castello. Per qualche ragione, si era aspettata che fossero svaniti anche loro insieme a Jaqen H’ghar. La voce raschiante di Rorge parlò, ma ancora una volta Arya non riuscì a udire quello che disse. Poi, Shagwell le piombò addosso, trascinandola al centro del cortile.

«Mio lord, mio lord, mio lord» saltellò continuando a tirarla per il polso. «Eccola qua, la donnola che ha fatto la zuppa!»

«Lasciami andare!» Arya cercò di divincolarsi.

Il lord la osservò. Soltanto i suoi occhi si mossero. Erano stranamente lividi, dello stesso colore del ghiaccio. «Quanti anni hai, piccola?»

Arya fu costretta a pensarci su un momento per ricordare: «Dieci».

«Dieci… mio signore» le ricordò il lord. «Ti piacciono gli animali?»

«Alcuni sì, mio signore.»

«Ma non i leoni, si direbbe» un esile sorriso increspò le sue labbra sottili. «E nemmeno le manticore.»

Arya non sapeva che cosa dire, così non disse nulla.

«Mi hanno detto che ti chiamano Donnola. Non va bene. Quale nome hai avuto da tua madre?»

Arya si morse il labbro, andando disperatamente alla ricerca di un altro nome. Lommy l’aveva chiamata Bitorzolo, Sansa preferiva Faccia di cavallo, gli uomini di suo padre scherzavano con Piededolce. Ma nessuno di quei nomi poteva andare bene per il lord.

«Nymeria» disse alla fine. «Ma lei mi chiamava Nan.»

«Tu ti rivolgerai a me chiamandomi “mio signore”, Nan» disse il lord quietamente. «Sei troppo giovane per diventare uno dei Guitti sanguinari, penso, e anche del sesso sbagliato. Hai paura delle sanguisughe, piccola?»

«Sono soltanto delle sanguisughe, mio signore.»

«Avresti qualcosa da insegnare al mio scudiero, si direbbe. Salassi frequenti sono il segreto di una vita lunga. Un uomo deve purgarsi del sangue cattivo. Tu andrai bene, credo. Per il tempo che rimarrò ad Harrenhal, Nan, tu sarai la mia coppiera. Mi servirai al mio desco e nei miei alloggi.»

Arya aveva imparato la lezione: questa volta, si guardò bene dal dire che avrebbe preferito lavorare nelle stalle. «Sì, vostro signore. Voglio dire, mio signore.»

Il lord fece un gesto vago: «Rendetela presentabile» disse a nessuno in particolare. «E siate certi che sia in grado di versare del vino senza sprecarlo.» Si girò, indicando qualcosa in alto. «Lord Hoat, provvedi tu a quegli stendardi sulla torre del ponte levatoio.»

Quattro Bravi Camerati andarono ad arrampicarsi sui merli e tirarono giù il leone dei Lannister e la manticora nera di ser Amory. Al loro posto, innalzarono i vessilli con l’uomo scuoiato di Forte Terrore e con il meta-lupo degli Stark.

Quella sera, un paggio di nome Nan versò vino per Roose Bolton e per Vargo Hoat mentre stavano sul ponte coperto, intenti a osservare i Guitti sanguinari che spingevano ser Amory Lorch, nudo come un verme, nel cortile intermedio. Ser Amory implorò e singhiozzò e si aggrappò alle gambe dei mercenari. Sforzi patetici, sforzi sprecati. Rorge tagliò i lacci e Shagwell il Giullare delle teste mozzate sbatté con un calcio ser Amory Lorch nella fossa dell’orso.

“È tutto nero, quell’orso” pensò Arya. “Tutto nero come Yoren.”

E riempì la coppa di Roose Bolton senza farne traboccare neppure una goccia.

DAENERYS

In quella città di grandiosi splendori, Daenerys Targaryen si era aspettata che la Casa degli Eterni fosse la dimora più splendida di tutte. Invece, ciò che si trovò di fronte emergendo dal palanchino fu un’antica rovina grigiastra.

La struttura bassa e allungata, priva di torri, priva di finestre, si contorceva come un serpente di pietra in mezzo a un bosco di alberi dalla corteccia nera. Dalle loro foglie blu inchiostro veniva ricavata la bevanda magica che gli abitanti di Qarth chiamavano “ombra della sera”. Non c’era nessun altro edificio vicino al palazzo. Il tetto era coperto da tegole, nere anch’esse, molte cadute, molte altre spezzate. L’intonaco tra le pietre esterne era secco, crepato. Ora Dany capiva per quale ragione Xaro Xhoan Daxos lo chiamava il Palazzo di Polvere. Alla sua vista, perfino Drogon sembrava inquieto. Il drago nero sibilò, emettendo fumo tra i denti acuminati.

«Sangue del mio sangue» le disse Jhogo in lingua dothraki. «È un luogo malvagio, questo. Un groviglio di sortilegi e maegi. Vedi come beve la luce del giorno? Andiamocene prima che beva anche noi.»

Ser Jorah Mormont si avvicinò a loro: «Ma quanto potere possono mai avere se vivono in un posto simile?».

«Ascolta la saggezza di coloro che più ti amano, mia dolce regina» aggiunse Xaro Xhoan Daxos, mollemente sdraiato nel palanchino. «Gli stregoni sono aspre creature, che mangiano polvere e bevono ombre. Nulla ti daranno. Perché nulla hanno da dare.»

Aggo spostò la mano sull’impugnatura del suo arakh : «Khaleesi, è risaputo che molti entrano nel Palazzo di Polvere, ma pochi ne escono».

«È risaputo» fece eco Jhogo.

«Noi siamo sangue del tuo sangue» riprese Aggo. «Abbiamo giurato di vivere e di morire con te. Lasciaci camminare al tuo fianco in questo luogo oscuro, in modo da tenerti al sicuro dal pericolo.»

«Ci sono luoghi nei quali perfino un khal deve camminare da solo» obiettò Daenerys.

«Allora prendi me» insisté ser Jorah. «Il rischio…»

«La regina Daenerys deve entrare da sola» Pyat Pree, lo stregone, emerse dagli alberi scuri. «O non entrare affatto.» “Sarà sempre stato qui?” non poté fare a meno di chiedersi Dany.

«Dovesse voltare le spalle ora» riprese Pyat Pree «per lei le porte della saggezza si chiuderanno per sempre.»

«Mia regina, il mio scafo da diporto ti attende a ogni istante» proclamò Xaro Xhoan Daxos. «Rinuncia a questa follia, mia troppo ostinata splendida sovrana. Ho flautisti che allieteranno la tua anima tanto turbata con suadenti melodie. E una giovane fanciulla la cui lingua sapiente ti farà sospirare e commuovere.»

Ser Jorah Mormont lanciò al mellifluo principe-mercante nel palanchino un’occhiata astiosa: «Mia regina, ricordati di Mirri Maz Duur».

«La ricordo bene.» Daenerys non avrebbe mai dimenticato la maegi degli uomini-agnello che aveva causato la morte di khal Drogo. «Ricordo che aveva conoscenza. E che era soltanto una maegi.»