Pyat Pree fece un tenue sorriso. «La bambina parla con la saggezze delle anziane. Prendi il mio braccio e permettimi di guidarti.»
«Non sono una bambina» precisò Daenerys. Ma accettò comunque il suo braccio.
Era più scuro di quanto non avrebbe dovuto essere sotto le chiome degli alberi neri. E la via era più lunga. Il sentiero sembrava svilupparsi in linea retta dalla strada fino alla porta del palazzo, ma Pyat Pree fece una deviazione laterale. Dany volle sapere il perché.
«L’ingresso anteriore conduce all’interno» si limitò a dire lo stregone. «Ma mai nuovamente all’esterno. Ascolta le mie parole, mia regina. La Casa degli Eterni non venne eretta per i comuni mortali. Se hai cara la tua anima, abbi cura di essa e fa’ esattamente quanto ti dico.»
«Farò quanto mi dirai» promise Daenerys.
«Entrando, ti ritroverai in una stanza con quattro porte, quella da cui sei passata più altre tre. Prendi la porta alla tua destra. E continua a prendere sempre le porte alla tua destra anche in seguito. Se dovessi incontrare una scala, sali lungo di essa. Non andare mai verso il basso. E non varcare mai nessuna porta che non sia la prima porta alla tua destra.»
«La porta alla mia destra» ripeté Dany. «Ho capito. E quando me ne vado, la porta opposta?»
«Per nessuna ragione» rispose Pyat Pree. «Andare e venire sono la stessa cosa. Sempre verso l’alto. Sempre la porta a destra. Altre porte potrebbero aprirsi per te. Oltre di esse, potresti trovare visioni che ti turberebbero. Visioni di dolcezza e visioni di orrore, di meraviglia e di terrore. Immagini e suoni di giorni svaniti, di giorni a venire e di giorni che mai saranno. Abitatori e servitori del palazzo forse ti rivolgeranno la parola. Rispondi o ignorali come preferisci, ma non entrare in nessuna stanza fino a quando non avrai raggiunto la Sala delle Udienze.»
«Ho capito.»
«Quando sarai nella Sala degli Eterni, sii paziente. Per loro, le nostre insignificanti vite sono nulla più del battito d’ali di una falena. Ascolta bene, e annota ogni parola nel tuo cuore.»
Arrivarono all’ingresso, dove un’ampia bocca ovale si apriva in una parete scolpita come un viso umano. Ad aspettarla sulla soglia, c’era il nano più piccolo che Dany avesse mai visto. Le arrivava a stento al ginocchio, aveva la faccia spigolosa, il naso prominente. Indossava una delicata livrea nei colori viola e blu, e tra le pìccole mani rosate reggeva un vassoio d’argento. C’era un unico calice di cristallo su di esso, pieno di denso liquido blu: ombra della sera, il vino degli stregoni.
«Bevi» disse Pyat Pree.
«Farà diventare blu le mie labbra?»
«Questo calice servirà soltanto ad aprire le tue orecchie e a dissolvere la cortina davanti ai tuoi occhi, in modo che tu possa udire e vedere le verità che ti saranno offerte.»
Dany si portò il bicchiere alle labbra. Il primo sorso fu atroce. Ombra della sera sapeva d’inchiostro e di carne avariata. Eppure, man mano che la bevanda scendeva dentro di lei, parve acquistare una vita segreta. Daenerys sentì viticci invisibili dilatarsi nel suo petto, simili a tentacoli di fuoco intorno al cuore. E ora sulla sua lingua c’era il gusto del miele, dell’anice, della panna. Le parve il latte della madre e il seme di Drogo. Le sembrò carne succulenta e sangue caldo e oro fuso. Era tutti i sapori che Daenerys aveva conosciuto. E al tempo stesso non era nessuno di essi… e poi, il calice fu vuoto.
«Ora puoi entrare» concesse lo stregone.
Daenerys posò il calice sul vassoio d’argento e varcò la soglia del Palazzo di Polvere.
Era come Pyat Pree le aveva descritto: un vestibolo di pietra con quattro porte, una su ogni parete. Senza neppure un attimo di esitazione, Daenerys si diresse verso la prima porta alla sua destra e la superò. La stanza successiva era identica alla prima. Di nuovo, scelse la prima porta a destra. L’aprì, la varcò. Fu in un vestibolo più piccolo, con di nuovo altre quattro porte. “Sono in presenza di una stregoneria.”
La quarta stanza era di forma ovale invece che quadrata, con le pareti di legno corroso dai vermi. In essa, si aprivano sei passaggi, e non più quattro. Dany imboccò quello alla sua destra. Oltre la soglia, si dipanava un lungo corridoio dal soffitto alto, immerso nella penombra. Lungo la parete di destra, pulsava una fila di torce. E questa volta, tutte le porte si trovavano a sinistra. Drogon dispiegò le ampie ali nere e andò alla conquista dell’aria immobile. Il giovane drago riuscì a rimanere librato forse per una decina di metri prima di stramazzare goffamente a terra. Dany avanzò a sua volta.
Un tempo, il tappeto sotto i suoi piedi, ora divorato dall’umidità, doveva aver avuto colori splendidi. Tra chiazze di grigio smorto e tentacoli di verde corroso si intravedevano ancora ricami dorati ormai sfilacciati. Quel resto di tappeto fu comunque in grado di attutire i suoi passi, il che non era necessariamente una buona cosa. Da dietro le pareti venivano deboli suoni raschianti. Dany pensò a topi, ratti, intenti a correre nel buio. Anche Drogon li udì. La sua testa si spostava seguendo i rumori. Nel momento in cui cessarono, il drago lanciò un grido di rabbia. Altri suoni, addirittura più inquietanti, provenivano da dietro alcune delle porte chiuse. Una di esse si stava scuotendo, percossa da colpi all’interno, come se qualcuno stesse tentando di sfondarla. Da un’altra porta ancora veniva un suono distorto di strumenti a fiato. Drogon reagì, facendo schioccare violentemente la coda da una parte all’altra. Dany passò oltre in fretta.
Non tutte le porte erano chiuse. “Non guarderò” Daenerys impose a se stessa. “Non voglio farlo…” Ma alla fine, la tentazione fu troppo forte.
In una delle stanze, una bellissima donna giaceva nuda sul pavimento, e quattro piccolissimi uomini le stavano addosso da tutte le parti. Avevano faccette allungate, simili al muso di un topo, e minuscole mani rosa. Assomigliavano al servitore che le aveva offerto l’ombra della sera. Uno dei nanetti stava pompando la donna in mezzo alle gambe. Un altro le dilaniava i seni, la sua bocca rossa e gocciolante mordeva i capezzoli, addentando, lacerando.
Più oltre, Daenerys si ritrovò davanti a un’orribile carneficina. Cadaveri a mucchi giacevano gli uni sugli altri tra tavoli e sedie distrutti, in mezzo a laghi di sangue che andava raggrumandosi. Molti corpi erano mutilati, niente più arti, niente più teste. Mani mozzate si ostinavano a stringere coppe lorde di sangue, mestoli di legno, carne arrostita, fette di pane. Un sontuoso banchetto tramutato in un orrido mattatoio. Su un trono in posizione elevata sedeva un uomo morto. La sua testa era la testa di un lupo. Portava una corona di ferro. In pugno stringeva un cosciotto d’agnello, grottesca distorsione di un vero scettro. Gli occhi del relupo seguirono Dany in una muta, disperata invocazione.
Daenerys corse via da tutti quei cadaveri, ma arrivò soltanto fino alla porta aperta successiva. “Conosco questo luogo…” Ricordava bene i grandi architravi di legno, e le teste di animale scolpite che li ornavano. E fuori dalla finestra, c’era un albero di limoni! “È la casa con la porta rossa, la casa di Braavos!” Il luogo dove lei e suo fratello Viserys erano stati accolti da magistro Illyrio prima che lei andasse in sposa a khal Drogo.
«Eccoti qui, mia principessa» ser Willem Darry, l’anziano cavaliere che li aveva temerariamente portati via dalla Roccia del Drago, entrò nella stanza, appoggiandosi al suo bastone. «Vieni con me, piccola mia» la sua voce era ruvida ma anche piena di gentilezza. «Sei al sicuro, adesso. Sei a casa.»
Una delle sue grandi mani rugose si protese verso di lei, morbida come cuoio vecchio. Dany avrebbe voluto stringerla tra le sue, baciarla. Desiderò farlo più di qualsiasi altra cosa. Fece un passo verso di lui… “No, no… È morto, il dolce vecchio orso è morto da molto, moltissimo tempo.” Daenerys girò su se stessa e corse via.