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«Ma tu sii prudente, figliola» la esortò Varys. «Approdo del Re non è per niente sicura, di questi giorni. Conosco bene queste strade, eppure esitavo a venire, così solo e disarmato. In questi tempi oscuri, uomini senza legge sono in agguato dovunque, oh, sì. Uomini che impugnano freddo acciaio, e dai cuori ancora più freddi.» “Dove io posso arrivare solo e disarmato, anche altri possono arrivare, ma con la spada in pugno” intendeva dire.

Shae rise di nuovo. «Se cercano di darmi fastidio, si ritroveranno con un orecchio in meno quando Chella li metterà in fuga.»

Varys rise forte, nemmeno fosse stata la battuta più divertente che avesse udito in vita sua. Ma quando si voltò verso Tyrion, non c’era alcuna traccia di allegria nei suoi occhi. «La tua giovane dama è quanto mai amabile. Al tuo posto, lord Tyrion, mi prenderei molta cura di lei.»

«È precisamente quello che intendo fare. Chiunque cercasse di farle del male… Ebbene, sono troppo piccolo per essere un Orecchio Nero, e non pretendo di essere un valoroso.» “Che te ne pare di questa, eunuco? Un linguaggio che capisci bene, o sbaglio? Tu falle del male, e io avrò la tua testa.”

«È ora che vada.» Varys si alzò. «So quanto dovete essere stanchi. Volevo solamente darti il benvenuto, mio lord, e dirti quanto sono lieto del tuo arrivo. C’è molto bisogno di te nel Concilio. Hai visto la cometa?»

«Sono piccolo, Varys, non cieco» rispose Tyrion. Sulla strada del Re, la cometa pareva invadere metà del cielo, addirittura più luminosa della luna crescente.

«I popolani la chiamano “il Messaggero rosso”» spiegò Varys. «Dicono che sia l’araldo che precede il re, un avvertimento di fuoco e di sangue a venire.» L’eunuco si fregò le mani incipriate. «Posso congedarmi da te con un piccolo indovinello, lord Tyrion?» Proseguì senza attendere una risposta: «Tre grandi uomini siedono in una stanza, un re, un prete e un ricco con il suo oro. Tra loro c’è un mercenario, un ometto di umili origini e senza troppo cervello. Ognuno dei tre grandi uomini ordina al mercenario di uccidere gli altri due. “Uccidili” dice il re “perché io sono il tuo signore.” “Uccidili” dice il prete “perché io te l’ordino nel nome degli dei.” “Uccidili” dice il ricco “e tutto quest’oro sarà tuo.” Per cui, dimmi, mio lord: chi sarà a vivere e chi a morire?».

Con un profondo inchino, l’eunuco si ritirò dalla sala comune ondeggiando sulle sue morbide pantofole.

Una volta che se ne fu andato, Chella sbuffò e Shae arricciò il naso ben fatto. «Il ricco, vive, giusto?» azzardò.

«Forse. E forse no.» Tyrion sorseggiò pensosamente il vino. «Dipende dal mercenario, mi pare.» Posò la coppa. «Vieni, andiamo di sopra.»

Shae fu costretta ad aspettarlo sulla sommità delle scale: le sue gambe erano snelle e forti, mentre quelle di lui rimanevano corte, deformi e piene di dolori. Quando il Folletto finalmente la raggiunse, Shae stava sorridendo. «Ti sono mancata?» gli domandò con fare scherzoso, prendendogli la mano.

«Disperatamente» ammise Tyrion. Shae era alta appena più di cinque piedi, eppure lui era comunque costretto a guardarla dal basso in alto. Ma nel caso di Shae, la cosa non lo disturbava. Era bella da guardare dal basso in alto.

«Continuerò a mancarti mentre starai in quella tua Fortezza Rossa» disse guidandolo nella sua stanza. «Tutto solo in quella tua Torre del Primo Cavaliere.»

«Come hai ragione…»

Tyrion l’avrebbe volentieri tenuta con sé, ma il lord suo padre gliel’aveva proibito. “Tu non porterai quella puttana a corte” aveva imposto lord Tywin. Averla condotta ad Approdo del Re era il massimo che Tyrion si sentiva di osare. Tutta la sua autorità emanava dal padre, e la ragazza questo doveva capirlo.

«Non sarai lontana» le promise. «Avrai una casa, con guardie e servitori, e io verrò a visitarti ogni volta che potrò.»

Shae chiuse la porta con un calcio. Oltre i vetri offuscati della stretta finestra, il Grande Tempio di Baelor era visibile in cima alla collina di Visenya. Ma in quel momento, Tyrion era distratto da un diverso panorama: chinandosi in avanti, Shae afferrò il bordo della tunica, se la sfilò dalla testa e la gettò di lato. Non portava mai biancheria intima.

«Non riuscirai a dormire» disse facendosi ammirare da lui, tutta rosa, nuda e adorabile, una mano su un fianco. «Ogni volta che andrai a letto, penserai a me. Poi ti verrà duro, ma non ci sarà nessuno ad aiutarti, così sarai costretto a…» Fece quel suo sorriso malizioso che a Tyrion piaceva tanto. «Torre del Primo Cavaliere la chiamano? Forse dovrebbero rinominarla “torre del cavaliere solitario”…»

«Smettila di parlare e baciami» le ordinò.

Il Folletto sentì il gusto del vino che ancora aleggiava sulle labbra di lei e la pressione dei suoi seni sodi contro di lui mentre le sue dita armeggiavano con i lacci delle brache.

«Mio leone» sussurrò Shae quando lui si scostò per spogliarsi. «Mio dolce signore, mio gigante di Lannister.»

Tyrion la spinse verso il letto. Quando entrò in lei, Shae urlò così forte da risvegliare Baelor il Benedetto dalla sua tomba. Le sue unghie gli affondarono nella schiena. Mai dolore era stato più piacevole.

“Stupido.” Fu questo che Tyrion pensò più tardi, mentre giacevano al centro del pagliericcio malconcio, circondati da lenzuola attorcigliate. “Riuscirai mai a imparare? È una puttana, maledetto te. Se ne frega del tuo cazzo, sono i tuoi soldi che vuole. Ti ricordi di Tysha?” Eppure, uno dei capezzoli di lei s’inturgidì al tocco delle sue dita e la traccia dei suoi denti, dove lui le aveva dato un morso nel pieno della passione, era ancora ben visibile sul suo seno.

«Che cosa farai, mio lord, adesso che sei Primo Cavaliere del re?» Shae gli domandò mentre lui accarezzava quella pelle liscia e morbida.

«Qualcosa che Cersei non si aspetterebbe mai» sussurrò piano Tyrion contro il suo collo affusolato. «Farò… giustizia.»

BRAN

Brandon Stark preferiva la dura pietra del sedile della finestra al conforto del materasso di piume e delle coperte calde. Quando giaceva nel letto, era come se le pareti lo opprimessero e il soffitto incombesse su di lui. Quando giaceva nel letto, la sua stanza si tramutava in una cella, e il castello di Grande Inverno in un carcere, mentre fuori della finestra il vasto mondo continuava a chiamarlo.

Non poteva più camminare, Brandon Stark. Non poteva più scalare, né cacciare, né combattere con la spada di legno come faceva un tempo. Ma poteva ancora osservare. Gli piaceva guardare le luci tenui apparire dietro le finestre ai quattro angoli di Grande Inverno, quando candele e focolari venivano accesi dietro i vetri a losanghe della torre e del salone. E amava ascoltare i meta-lupi ululare al cielo stellato.

Negli ultimi tempi, li sognava spesso, i lupi. “Mi stanno parlando, da fratello a fratello” questo diceva fra sé udendo il loro ululato. Poteva quasi capirli… non proprio del tutto, ma quasi. Come se stessero comunicando in un linguaggio che un tempo lui aveva conosciuto ma che ora aveva dimenticato. I giovani Walder avevano paura di loro, ma nelle vene degli Stark scorreva sangue di lupo. “E in alcuni” lo aveva avvertito la vecchia Nan “è più forte che in altri.”

Gli ululati di Estate erano prolungati e tristi, pieni di sofferenza, pieni della memoria di cose perdute. Quelli di Cagnaccio erano più ferali. Le loro voci rimbalzavano nei cortili e negli androni del maniero, e risuonavano in tutto il castello, come se un intero branco di famelici meta-lupi avesse invaso Grande Inverno. Ma i meta-lupi rimasti erano solamente due dei sei che erano stati un tempo. “Anche a loro mancano i loro fratelli e le loro sorelle?” si domandava Bran. “Li chiamano? Chiamano Vento grigio e Spettro? Chiamano Nymeria e lo spirito di Lady? Vogliono che tornino a casa, in modo da essere nuovamente un branco?”