Quel corridoio sembrava non avere fine, a sinistra soltanto porte, a destra soltanto torce. Superò di corsa molte altre porte, fino a perdere il conto. Porte chiuse e porte aperte; porte di ferro, di legno, istoriate, anonime; porte munite di maniglie, di lucchetti, di battacchi. Drogon era appollaiato sulla sua schiena, frustandola con la coda, spingendola a non fermarsi. Daenerys corse e corse e corse. Alla fine, non ci fu più nessun posto dove correre.
Una doppia porta di bronzo era apparsa alla sua sinistra, molto più grandiosa, molto più imponente di tutte le altre. Quando lei si avvicinò, le due metà si spalancarono. Dany si fermò a osservare.
Oltre le porte di bronzo si apriva una cavernosa sala di pietra, la più grande che lei avesse mai visto. Dalle pareti incombevano teschi di draghi morti. Su un torreggiante trono irto di protuberanze acuminate, sedeva un vecchio riccamente vestito, dagli occhi neri e dai lunghi capelli grigio argentei.
«Lascia che diventi il re di ossa carbonizzate e di carne bruciata» disse l’uomo sul trono a un altro uomo più in basso. «Lascia che diventi il re delle ceneri.»
Drogon emise un urlo stridulo, i suoi artigli scavavano nella seta e nella pelle. Il re sul frastagliato scranno di metallo non parve udire. Dany avanzò verso di lui.
Viserys. Fu quello il suo primo pensiero. Ma non era così. L’uomo sul trono di lame d’acciaio aveva gli stessi capelli di suo fratello, ma i suoi occhi erano neri come ossidiana, non violetti.
«Aegon» disse il sovrano rivolto alla donna che stava allattando un neonato su un grande letto di legno. «Quale nome migliore di questo per un re?»
«Comporrai una canzone per lui?» chiese la donna.
«Ha già una canzone» rispose il re. «È il principe che venne promesso, e il suo canto è il canto del ghiaccio e del fuoco.»
Sollevò lo sguardo. I suoi occhi incontrarono quelli di Daenerys. Per un fugace momento, parve vederla, là in piedi oltre le porte di bronzo.
«Deve essercene un altro» fu impossibile dire a chi l’uomo sul trono di lame stesse rivolgendosi, se alla donna con il bimbo in braccio o a Dany. «Il drago ha tre teste.»
L’uomo si alzò, raggiunse il sedile vicino alla finestra, prese un’arpa e fece scivolare le dita sulle corde argentee dello strumento. Una delicata tristezza riempì la sala mentre le figure dell’uomo, della donna e del bimbo si dissolvevano nelle brume del mattino. Soltanto il suono dell’arpa rimase a guidare Dany mentre proseguiva.
Non aveva idea di quanto a lungo avesse camminato. Forse un’ora, forse più. Il corridoio finiva in una ripida scala di pietra, che sprofondava verso un’impenetrabile oscurità. Ogni porta, chiusa o aperta, rimaneva alla sua sinistra. Daenerys guardò dietro di se. “Le torce… le torce si stanno spegnendo!” Ormai, solo una ventina continuava a bruciare. Trenta al massimo. Un’altra si estinse con un fruscio. Le tenebre avanzarono ancora, strisciando verso di lei. Dany rimase in ascolto, sentendo il morso della paura. Qualcosa stava procedendo nel buio che dilagava, qualcosa che sembrava trascinarsi barcollando sul tappeto consunto. E adesso, in lei la paura era diventata terrore. Non voleva tornare da dove era venuta, e nemmeno poteva rimanere là. Da che parte? Da che parte? Non c’era nessuna porta alla sua destra. E la scala portava verso il basso, non verso l’alto.
Un’altra torcia si spense. E i suoni striscianti emessi da quella cosa che avanzava si fecero più vicini. Drogon allungò il collo sottile, spalancando la bocca per urlare, il fumo usciva tra le sue zanne. “Anche lui ha sentito.” Dany si girò nuovamente verso la parete di fondo. Ma non c’era niente. “Forse una porta segreta che non riesco a vedere?” Un’altra torcia si smorzò. E un’altra. “La prima porta a destra, ha detto Pyat Pree, sempre la prima porta a destra… La prima. A destra…”
La risposta emerse di colpo… “È l’ultima porta a sinistra!”
Daenerys si precipitò oltre la soglia. Fu in un’ennesima stanza quadrata con quattro porte. Andò a destra, e poi di nuovo a destra, e a destra, e a destra, e ancora a destra. Si ritrovò barcollante e senza fiato.
Si fermò. Era in un umido locale di pietra. Questa volta, la porta a destra era un’apertura tondeggiante, con la forma di una bocca aperta. E fuori, c’era Pyat Pree ad aspettarla, in piedi sull’erba, all’ombra degli alberi neri.
«Com’è possibile che gli Eterni ti abbiano lasciato andare così in fretta?» lo stregone era incredulo.
«Così in fretta?» Dany era più incredula di lui. «Ho camminato per ore, senza trovarne traccia.»
«Hai fatto una curva sbagliata» Pyat Pree tese una mano verso di lei. «Vieni, ti guiderò io.»
Dany esitò. C’era una porta alla sua destra, ancora chiusa…
«Non in quella direzione» dichiarò Pyat Pree con fermezza, le labbra blu serrate in segno di disapprovazione. «E gli Eterni non aspetteranno in eterno.»
«Per loro, le nostre vite insignificanti non sono nulla più del battito d’ali di una falena» ricordò Daenerys.
«Bambina testarda. Ti perderai, e non sarai più ritrovata.»
Dany si staccò da lui. E andò verso la porta a destra.
«No!» urlò Pyat Pree. «No: a me… a meeeeeeeee!»
Il volto dello stregone cominciò a mutare. Divenne qualcosa di pallido, di viscido, di brulicante.
Daenerys lasciò l’essere alle spalle, aprì la porta a destra e raggiunse la rampa di scale al di là. Cominciò a salire. Non ci volle molto perché i ripidi gradini di pietra le facessero dolere le gambe. Vista dall’esterno, la Casa degli Eterni sembrava priva di torri.
Finalmente la scala arrivò al piano superiore. Alla sua destra, larghe porte di legno erano spalancate. Erano fatte di ebano e acero, con venature bianche e nere che si attorcigliavano, si compenetravano le une nelle altre seguendo percorsi sconosciuti. Linee labirintiche, belle ma che mettevano paura. “Il sangue del drago non può avere paura.” Daenerys innalzò una rapida preghiera, implorando il Guerriero dei Sette Dei di darle coraggio e il dio-cavallo dei dothraki di darle forza. Si impose di proseguire.
Oltre la fila di porte, c’era un’immensa sala e una fantasmagoria di stregoni. Alcuni di loro indossavano sontuose cappe di ermellino, di velluto scarlatto, di tessuto dorato. Altri avevano preferito elaborate armature costellate di gemme, altri ancora avevano in capo il cappello conico disseminato di astri. C’erano anche donne tra loro, avvolte in abiti, di prodigioso splendore. Lame di luce solare penetravano in obliquo da finestre con i vetri colorati, l’aria vibrava della melodia più dolce che Dany avesse mai udito.
«Daenerys della nobile Casa Targaryen, che tu sia la benvenuta.» Nel vederla entrare, un uomo dall’aspetto regale, con indosso una ricca vestaglia, si alzò dal suo scranno e le sorrise. «Vieni e dividi il cibo per sempre con noi. Siamo gli Eterni di Qarth.»
«Ti attendiamo da lungo tempo» disse la donna accanto a lui, avvolta di rosa e di argento. Il seno lasciato scoperto, secondo la foggia di Qarth, era quanto di più prossimo alla perfezione assoluta.
«Sapevamo che saresti venuta da noi» riprese il re-mago. «Da mille anni lo sappiamo, e per tutto questo tempo noi siamo rimasti ad attenderti. È per mostrarti la strada che abbiamo inviato la cometa.»
«Vogliamo condividere con te le nostre conoscenze» intervenne un guerriero in una scintillante armatura color smeraldo «e darti armi magiche. Hai superato ogni prova. Ora, tutte le tue domande troveranno risposta.»
Dany fece un passo avanti. Drogon spiccò il volo dalla sua spalla e andò ad appollaiarsi sopra una delle porte di ebano e acero. Rimase là, cominciando a mordere il legno finemente lavorato.
«Animale temerario» rise un giovane di bell’aspetto. «Vuoi che t’insegniamo il linguaggio segreto dei draghi? Vieni, vieni.»