All’improvviso, lo spazio intorno a lei fu pieno delle urla degli Eterni che bruciavano, alte voci frantumate, emesse da corde vocali ormai morte da troppo tempo. La loro carne era pergamena che si dissolveva, le loro ossa disseccate come legno imbevuto nel sego. Si contorsero mentre le fiamme continuavano a divorarli. Barcollarono e sussultarono e rotearono, sollevando le mani incendiate, le dita scintillanti come torce.
Daenerys si costrinse a rialzarsi in piedi, ad aprirsi la strada tra i corpi avvolti dal fuoco. Erano esseri leggeri come l’aria, nient’altro che ceneri aggregate a stento, che si dissolvevano al tocco. Dany fu sulla porta. Alle sue spalle, tutta la stanza era un ruggente inferno.
«Drogon!»
Il drago nero emerse dal turbine di fuoco, volando fino a lei. Fuori dalla Sala degli Eterni, un lungo passaggio in penombra si snodava come un serpente, mentre l’alone dell’incendio baluginava dal fondo. Daenerys si mise a correre, cercando una porta, a destra, a sinistra, qualsiasi porta. Ma non esisteva nessuna porta, solo pareti di pietra convesse e un pavimento che sembrava muoversi sotto i suoi piedi come sabbia mobile, quasi cercando di farla cadere. Dany riuscì a rimanere in equilibrio e continuò a correre. All’improvviso, eccola, la porta. Proprio davanti a lei, come una bocca spalancata.
Emerse nella vampata della luce solare, il chiarore improvviso le diede le vertigini. Pyat Pree stava berciando in una lingua sconosciuta, saltellando da un piede all’altro. Dany gettò una rapida occhiata alle proprie spalle. Esili viticci di fumo filtravano dalle crepe negli ancestrali muri di pietra del Palazzo di Polvere. Altro fumo si levava tra le tegole nere del tetto.
Pyat Pree ululò chissà quale maledizione, estrasse un pugnale e si lanciò contro di lei. Drogon gli volò in faccia, sputando altro fuoco.
Crack!
Lo schioccare secco della frusta di Jhogo. Mai Dany aveva udito suono più dolce. Il coltello volò via dalla presa dello stregone. Un istante dopo, Rakharo scaraventò Pyat Pree a terra. Ser Jorah Mormont si inginocchiò sull’erba fresca accanto a Daenerys e le mise un braccio intorno alle spalle.
TYRION
«Crepate da idioti, e le vostre carcasse le darò da mangiare ai caproni» minacciò Tyrion Lannister, mentre il primo gruppo di Corvi di Pietra si preparava a staccarsi dal molo.
«Mezzo uomo non ha nessun caprone» rise Shagga figlio di Dolf.
«Me li procurerò apposta per voi.»
Erano le prime luci dell’alba. Pallide increspature di luce danzavano sulla superficie del fiume, spezzandosi attorno ai pali di spinta dell’imbarcazione, e poi tornando a formarsi dietro la scia del traghetto. Timett figlio di Timett aveva guidato gli Uomini Bruciati nei boschi del re due giorni prima. Ieri era toccata alle Orecchie Nere e ai Fratelli della Luna. Oggi era il turno dei Corvi di Pietra.
«Qualsiasi cosa facciate, non provate nemmeno a iniziare una battaglia» riprese Tyrion. «Attaccate i loro accampamenti e razziate le loro carovane di vettovaglie. Tendete imboscate ai loro esploratori e appendete i cadaveri agli alberi sulla loro linea di marcia. Passate dietro di loro e fate a pezzi i ritardatari. Voglio attacchi notturni, così tanti e così improvvisi da mettere loro addosso il terrore di andare a dormire…»
Shagga pose una delle sue mani colossali sulla testa di Tyrion: «Questo l’ho imparato da Dolf figlio di Holger anche prima che mi crescesse la barba. Questa è la via della guerra delle montagne della Luna».
«Certo, certo. Ma i boschi del re non sono le montagne della Luna. E questa volta non vi scontrerete con i Serpenti di Latte o i Cani Dipinti. E ascoltate bene le guide che mando con voi: loro conoscono questi boschi come voi conoscete le montagne. Date retta ai loro consigli e ne trarrete grossi vantaggi.»
«Shagga ascolterà i cuccioli di Mezzo uomo» promise solennemente il barbaro. Poi venne il momento di portare anche il suo destriero a bordo del traghetto.
Tyrion rimase a osservare mentre i guerrieri dei monti ci davano dentro con i pali, spingendo lo scafo verso il centro del fiume delle Rapide nere. Nel guardare Shagga che veniva inghiottito dalle brume del mattino, sentì, un tetro senso di vuoto alla bocca dello stomaco. Senza i suoi barbari, si sarebbe sentito davvero nudo.
Aveva ancora i mercenari assoldati da Bronn, ma i mercenari, era fin troppo noto, erano gente volubile. Tyrion aveva fatto tutto il possibile per comprare la loro lealtà, promettendo a Bronn e a una dozzina dei suoi uomini migliori terre e titoli una volta che la battaglia fosse stata vinta. Loro avevano bevuto il suo vino e riso alle sue battute, chiamandosi ser l’uno con l’altro fino a quando non avevano cominciato a barcollare… tutti tranne Bronn. Il quale, finita la festa, si era limitato a uno dei suoi tetri, insolenti sorrisi: «Uccideranno per il titolo di cavaliere, questo sì, ma dubito molto che si faranno uccidere per averlo».
Su questo, nemmeno Tyrion si faceva illusioni
Le cappe dorate erano un’arma altrettanto incerta. Seimila uomini nella Guardia cittadina, grazie a Cersei, ma solamente un quarto su cui poter realmente contare. «Ci sono alcuni traditori evidenti» aveva avvertito ser Jacelyn Bywater. «Ma ce ne sono anche altri, che nemmeno il tuo Ragno tessitore è riuscito a scoprire. Poi abbiamo altre centinaia di uomini che sono più inesperti dell’erba di primavera, gente che si è arruolata per il pane, la birra e la sicurezza. Nessuno vuole apparire codardo davanti ai compagni, per cui, almeno all’inizio, quando tutto è ancora corni da guerra e vessilli al vento, combatteranno con sufficiente coraggio. Ma se la battaglia dovesse mettersi male, andranno in pezzi. E andranno in pezzi nel modo peggiore. Il primo uomo che butterà via la sua picca e si metterà a correre ne avrà altri mille sulla sua scia.»
Per certo, rimanevano i veterani della Guardia cittadina, lo zoccolo duro di quelli che la cappa dorata l’avevano avuta da Robert Baratheon, non da Cersei Lannister. Ma anche quelli… Un membro della Guardia non era un vero soldato, diceva sempre lord Tywin. Tra cavalieri, scudieri e armigeri, Tyrion non ne aveva più di trecento. Molto presto, avrebbe messo alla prova anche un’altra delle massime di suo padre: “Un solo uomo in cima alle mura ne vale dieci sotto le mura”.
Bronn e il resto della scorta erano in attesa all’inizio del molo, circondati da sciami di mendicanti, puttane e pescivendole che offrivano la loro mercanzia. Erano le pescivendole a fare più affari di tutti gli altri messi assieme. I compratori si ammassavano tra barili e bancarelle, contrattando su crostacei, mitili e orate di fiume. Non arrivava quasi più cibo in città, così il prezzo del pesce era dieci volte più alto di quello di prima della guerra, e continuava a crescere. Chi aveva ancora denaro arrivava sul fiume ogni mattina e ogni sera, nella speranza di portarsi a casa un’anguilla o una cesta di granchi rossi. Chi invece aveva le tasche vuote sgusciava tra le bancarelle cercando di rubare qualcosa, oppure rimaneva in piedi vicino alle mura, pallido e macilento.
Le cappe dorate aprirono un varco nella calca, costringendo la gente a spostarsi con le aste delle lance. Tyrion cercò di ignorare le imprecazioni mugugnate a denti stretti. Un pesce, un brutto coso marcio e puzzolente, volò sopra le teste della folla. Cadde sui ciottoli proprio davanti al Folletto, riducendosi in pezzi gocciolanti. Tyrion lo scavalcò e montò cupamente in sella. Bambini dal ventre gonfio per la fame si avventarono a contendersi la carne putrescente.
Una volta a cavallo, Tyrion fece scorrere lo sguardo lungo la riva del fiume. Il riecheggiare dei martelli riempiva l’aria del mattino: i carpentieri erano al lavoro sulla Porta del Fango, per estendere i rostri di legno delle fortificazioni. Almeno quelle procedevano bene. Tyrion, però, era molto meno soddisfatto dell’intrico di strutture fatiscenti sorte dietro i moli, che finivano per attaccarsi all’esterno delle mura come bubboni infetti. Baracchini di esche e di verdura, depositi, negozietti di mercanti, birrerie cadenti, quei cubicoli lerci dove le puttane da poco prezzo allargavano le gambe per i clienti. “Quello schifo deve andarsene” pensò il Folletto. “Tutto quanto.” Altrimenti, Stannis non avrebbe nemmeno avuto bisogno di scale per assaltare le mura di Approdo del Re.