Chiamò Bronn al suo fianco: «Raduna cento uomini e brucia tutto quello che vedi tra l’acqua e le mura della città». Tyrion fece un cenno con le dita tozze, indicando la vastità dello squallore. «Voglio che tutto diventi cenere, Bronn. Mi sono spiegato?»
Il guerriero dai capelli scuri si girò a dare un’occhiata, valutando la situazione: «Mi sa che ai proprietari non piacerà».
«Non ho mai pensato che potesse piacergli. Peggio per loro, diamogli pure un altro motivo per maledire la malvagia scimmia della Fortezza Rossa.»
«Alcuni combatteranno.»
«Fa’ in modo che perdano.»
«E di quelli che vivono qui che ne facciamo?»
«Da’ loro un tempo ragionevole per mettere assieme i loro stracci e poi falli sloggiare. Cercate di non tagliare la gola a nessuno, non sono il loro nemico. E niente più stupri! Tienili in linea, i tuoi uomini, dannazione.»
«Sono mercenari, non septon» Bronn si strinse nelle spalle. «La prossima volta mi dirai che li vuoi sobri.»
«Certo non guasterebbe.»
Tyrion avrebbe desiderato rendere le mura della città alte il doppio e spesse il triplo. Ma forse non avrebbe fatto nessuna differenza comunque. Mura gigantesche e torri alte fino al cielo non avevano salvato né Capo Tempesta né Harrenhal. È neppure Grande Inverno.
Nella sua memoria, la fortezza del remoto Nord era ancora un’immagine molto vivida. Non grottescamente immane come Harrenhal, né solida e imprendibile come Capo Tempesta, eppure in quelle antiche pietre c’era una grande forza. Davano la sensazione che ci si poteva sentire al sicuro dietro quelle mura. La notizia della caduta del castello del Nord lo aveva sconvolto. «Gli dei, con una mano danno e con l’altra prendono» aveva commentato a bassa voce quando Varys lo aveva informato. Gli dei avevano dato Harrenhal agli Stark, ma si erano presi Grande Inverno, uno scambio infame.
Avrebbe dovuto gioire per questo. Ora Robb Stark sarebbe stato costretto a tornare oltre l’Incollatura. Se non sapeva difendere la sua casa e il suo focolare, che razza di re era? Avrebbe significato un allentamento della pressione sull’ovest, sulla Casa Lannister, eppure…
Della sua visita agli Stark, Tyrion aveva solo un ricordo molto sbiadito di Theon Greyjoy. Un giovane robusto, un po’ troppo sorridente, forse, abile nel tiro con l’arco. Era difficile figurarselo come lord di Grande Inverno. Il lord di Grande Inverno doveva sempre essere uno Stark.
Ricordava perfettamente il loro parco degli dei, gli alti alberi-sentinella coperti da fitti aghi di pino grigio verdi, le grandi querce, le tante specie di abeti. E al centro di tutto questo, l’albero del cuore, simile a un gigante pallido congelato per l’eternità. Poteva quasi percepire gli odori di quel luogo sacro, della terra, del trascorrere dei secoli. Ricordava anche quanto il legno fosse scuro, perfino di giorno. “Quel parco era Grande Inverno. Era il Nord. Non mi sono mai sentito così fuori posto come in quel luogo… Ero un intruso, tutt’altro che benvenuto.” Si chiese se anche Greyjoy si sarebbe sentito a quel modo. Il castello adesso poteva anche essere loro, ma non il parco degli dei. Il parco degli dei non sarebbe mai stato suo. Non in un anno, non in dieci, non in cinquanta.
Lentamente, Tyrion Lannister condusse il suo cavallo verso la Porta del Fango. “Grande Inverno non significa nulla per te” ricordò a se stesso. “Sii contento che la fortezza è caduta, e pensa alle tue mura.”
La Porta del Fango era aperta. Tre colossali catapulte torreggiavano sulla piazza del mercato, sporgendo al di là delle mura come incombenti uccelli da preda. I bracci che terminavano nei cucchiai di lancio erano composti da tronchi di vecchie querce, serrati da ampi anelli di ferro per evitare che si spezzassero. Le cappe dorate avevano chiamato le macchine da guerra le Tre puttane, in quanto avrebbero dato a Stannis Baratheon un laido benvenuto. “O almeno è questa la nostra speranza.”
Tyrion diede di speroni e varcò la Porta del Fango, avanzando contro la compatta corrente umana. Superate le Tre puttane, la calca si fece meno densa e la strada davanti a lui fu sgombra. La cavalcata fino alla Fortezza Rossa fu priva d’incidenti.
Gli incidenti però lo stavano aspettando alla Torre del Primo Cavaliere. Una dozzina di capitani mercantili erano ammassati nella Sala delle Udienze, inferociti per il sequestro delle loro navi. Tyrion offrì le sue più sincere scuse e promise loro un risarcimento a guerra finita. Ma scuse e promesse servirono a ben poco.
«E che succede in caso di tua sconfitta, mio lord?» chiese un comandante braavosiano.
«Le vostre richieste di risarcimento le farete a re Stannis.»
Quando finalmente riuscì a sbarazzarsi di loro, le campane stavano suonando. Tyrion capì che sarebbe arrivato tardi all’investitura. Arrancò sulle sue gambette arcuate, attraversando di corsa il cortile per raggiungere la parte posteriore del tempio del castello. Re Joffrey stava già appoggiando i mantelli di seta bianca sulle spalle dei due membri più recenti della Guardia reale. La funzione sembrava richiedere che tutti rimanessero in piedi, così quello che Tyrion riuscì a vedere fu solo una parata di culi nobiliari. Il che non era del tutto negativo. Una volta che il nuovo Alto Sacerdote avesse finito di recitare con i due cavalieri le loro solenni promesse, segnandoli con l’unguento rituale nel nome dei Sette Dei, il Folletto sarebbe stato in ottima posizione per schizzare fuori dalla porta per primo.
Tyrion approvava la scelta di sua sorella di mettere ser Balon Swann al posto di ser Preston Greenfield, linciato dalla folla durante la sommossa del pane. Gli Swann erano lord delle Terre Basse, orgogliosi, potenti e cauti. Dichiarando di essere ammalato, lord Gulian Swann non aveva preso parte alcuna alla guerra. In compenso, suo figlio maggiore aveva giurato fedeltà prima a Renly e ora a Stannis. Mentre Balon, il secondogenito, continuava a servire Approdo del Re. Se lord Gulian avesse avuto un terzo figlio, era pressoché certo che sarebbe andato con Robb Stark. Come linea di condotta, forse non era la più onorevole, però mostrava buon senso: chiunque fosse salito sul Trono di Spade, gli Swann intendevano sopravvivere. Oltre a essere di nobile lignaggio, ser Balon era valente, di ottime maniere e abile con le armi: esperto con la lancia, ancora meglio con la mazza ferrata, imbattibile con l’arco. Si sarebbe comportato con onore e coraggio.
Per contro, Tyrion non avrebbe mai detto lo stesso riguardo alla seconda scelta di Cersei. Ser Osmund Kettleblack era certo formidabile, all’apparenza. Un metro e novanta di statura, quasi tutto di muscoli duri. Il naso a uncino, le sopracciglia cespugliose e la barba castana affilata conferivano alla sua faccia un piglio quanto mai fiero, bastava che non sorridesse. Di bassi natali, nulla più di un cavaliere indipendente, era a Cersei che Kettleblack doveva ogni gradino della sua ascesa. Senza dubbio, era per questa ragione che lei lo aveva scelto. «Ser Osmund è tanto leale quanto prode» aveva detto a Joffrey nel perorarne la candidatura. Il che, malauguratamente, era verissimo. Il prode ser Osmund, infatti, aveva cominciato a vendere a Bronn i segreti della regina a partire dal giorno stesso in cui lei lo aveva assoldato. Un vero peccato che Tyrion non potesse dirlo alla cara sorellina.
Non che il Folletto avesse da lamentarsi. L’investitura bianca di Kettleblack gli forniva un ulteriore orecchio in prossimità del re senza che Cersei lo sapesse. E se anche ser Osmund si fosse rivelato un completo codardo, non sarebbe stato comunque peggio di ser Boros Blount, che attualmente risiedeva in una segreta al castello Rosby. Aveva fatto parte della scorta giurata del giovane principe Tommen e di lord Gyles, ma quando ser Jacelyn Bywater e le sue cappe dorate li avevano sorpresi si era arreso con un’alacrità ignominiosa. Un atto di sbracata vigliaccheria che avrebbe mandato su tutte le furie il vecchio, valoroso ser Barristan Selmy addirittura più di quanto aveva inferocito Cersei: ogni cavaliere della Guardia reale giurava di morire difendendo il re e la famiglia regnante. Sua sorella aveva insistito che Joffrey togliesse a Blount il mantello bianco per il suo tradimento e la sua codardia. “E adesso lo rimpiazza con un individuo altrettanto insignificante.”