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«Spiacente di deluderti, Saggezza Hallyne, ma, come ti ho detto, non ho notato nessun drago in circolazione. Chi invece ho visto in agguato tra le ombre è ser Payne, la Giustizia del re.»

«E qualora anche solo uno dei magici frutti del tuo nobile ordine dovesse contenere una sostanza diversa dall’altofuoco, sta’ pure certo che anche tu lo vedrai.»

Sua Saggezza Hallyne si dileguò con una tale rapidità che per poco non abbatté ser Jacelyn Bywater… anzi lord Jacelyn Bywater, era meglio che Tyrion se ne ricordasse, che stava entrando nel solarium. Mano di ferro fu crudamente diretto, come suo solito. Era appena rientrato da Rosby, portando con sé un nuovo gruppo di lancieri reclutati dalle terre di lord Gyles, ed era pronto a riprendere il suo posto al comando della Guardia cittadina.

«E il mio nipotino come se la passa?» volle sapere Tyrion quando Bywater ebbe finito il suo rapporto.

«Il principe Tommen è felice e contento, mio lord. Ha adottato il cerbiatto che alcuni dei miei uomini avevano portato al castello al termine di una caccia. Il principe ne aveva avuto un altro in precedenza, ma ci ha detto che suo fratello Joffrey lo aveva scuoiato per farsi un gilè. Chiede della madre, a volte. E spesso si mette a scrivere lettere alla principessa Myrcella, anche se non sembra portarne a termine mai nessuna. Per contro, sembra che suo fratello, sua Grazia il re, non gli manchi affatto.»

«Hai allestito opportunamente le cose per lei, qualora la battaglia dovesse essere perduta?»

«I miei uomini hanno i loro ordini.»

«Vale a dire?»

«Mi hai comandato di non parlarne con nessuno, mio lord.»

Una risposta che portò a Tyrion il sorriso sulle labbra: «Lieto che te ne ricordi».

Se Approdo del Re fosse caduta, lui avrebbe potuto essere preso vivo. Molto meglio che nemmeno lui sapesse dove poteva trovarsi l’erede di Joffrey.

«Quali creature prive di fede sono gli uomini» esordì Varys, apparso poco dopo che lord Jacelyn se n’era andato. Tyrion sospirò: «Chi abbiamo come traditore, quest’oggi?». L’eunuco gli consegnò una pergamena: «Una simile viltà è un evidente segno degli oscuri tempi che stiamo attraversando. Che l’onore sia davvero defunto con i nostri padri?».

«Mio padre non è ancora defunto» Tyrion diede una scorsa alla lista. «Conosco alcuni di questi nomi. È gente ricca. Commercianti, mercanti, artigiani. Perché vorrebbero cospirare contro di noi?»

«A quanto pare, credono che lord Stannis sarà il vincitore, e vogliono partecipare alla sua vittoria. Chiamano la loro compagine gli Uomini Cervo, ispirandosi all’animale raffigurato nell’emblema dei Baratheon.»

«Qualcuno dovrebbe far loro presente che Stannis ha cambiato emblema. In modo che possano diventare i Cuori Caldi.»

Solo che non era assolutamente il momento di scherzare. Stando al rapporto di Varys, gli Uomini Cervo avevano armato svariate centinaia di seguaci. La loro strategia era impossessarsi della Porta Vecchia quando la battaglia avesse avuto inizio, facendo quindi penetrare il nemico dentro la città. Uno dei nomi era quello di Salloreon, il mastro armiere.

«Un vero peccato» Tyrion scribacchiò la sua firma sull’ordine di arresto. «Mi sa che non avrò mai quel temibile elmo con i corni da demone.»

THEON

Si svegliò di colpo, Kyra era raggomitolata contro di lui, un braccio appoggiato mollemente sul suo, i seni che gli sfioravano la schiena. Theon poteva sentire il suo respiro lento, regolare. Le lenzuola erano attorcigliate attorno ai loro corpi. Era notte fonda. La stanza da letto era immersa nell’oscurità, nel silenzio.

“Che cos’è stato? Ho sentito qualcosa? Qualcuno?”

Il vento sussurrava debolmente contro le imposte. Da qualche parte, molto lontano, arrivò il miagolare di una gatta in calore. Nient’altro. “Dormi, Greyjoy. Il castello è calmo, e hai messo le guardie: alla tua porta, al ponte levatoio, all’armeria.”

Forse era stato solo un brutto sogno, ma non ricordava di stare sognando. Kyra lo aveva sfinito. Fino al momento in cui Theon l’aveva mandata a chiamare, la ragazza aveva passato tutti i diciotto anni della sua vita nella città dell’inverno, senza mai mettere piede nelle mura della fortezza. Era venuta da lui già umida, pronta, scattante come una donnola. E c’era stato un innegabile, acido compiacimento nel fottere una comune servetta da taverna nel talamo di lord Eddard Stark.

Theon si sciolse dal suo abbraccio e si mise in piedi, Kyra mugolava nel sonno. Poche braci continuavano a pulsare nel caminetto. Wex, il suo giovane scudiero, dormiva ai piedi del letto, avvolto nella sua cappa, in pieno oblio. Nulla si muoveva. Theon andò alla finestra e spalancò le imposte. Le dita fredde della notte scivolarono sul suo torace nudo, facendogli venire la pelle d’oca. Appoggiò le braccia tese contro la pietra del davanzale. Scrutò le torri oscure, i cortili vuoti, il cielo nero, e molte più stelle di quelle che un uomo sarebbe mai riuscito a contare se anche fosse vissuto fino a cento anni. Una mezza luna fluttuava sopra la Torre della Campana, gettando riflessi sui tetti dei giardini di vetro. Non udì nulla, nessuna voce, nemmeno un fruscio di passi.

“È tutto a posto, Greyjoy. Non senti che quiete? Dovresti essere ebbro di gioia. Hai conquistato Grande Inverno con meno di trenta uomini. Un’impresa che verrà celebrata dai cantastorie.”

Theon si avviò nuovamente verso il letto. Avrebbe rovesciato Kyra sulla schiena e l’avrebbe scopata di nuovo, in modo da mettere in fuga i fantasmi. Gli ansiti, i gridolini di piacere di lei sarebbero stati una piacevole distrazione in tutto quel silenzio.

Si fermò di colpo. Si era talmente abituato all’ululato dei meta-lupi che ormai non ci faceva più caso. Ma una parte di lui, l’istinto della caccia, percepì… l’assenza di quell’ululato.

C’era Urzen fuori della porta, un individuo muscoloso, con uno scudo rotondo di traverso sulla schiena.

«I lupi sono silenziosi» gli disse Theon. «Va’ a vedere che cosa stanno facendo e torna qui subito.»

L’idea delle belve che correvano in libertà gli diede un senso di vuoto allo stomaco. Ricordò quel giorno nella foresta, quando i bruti avevano assalito Bran. E ricordò come Estate e Vento grigio li avevano fatti a pezzi.

Scosse Wex con la punta del piede. Il ragazzo si svegliò, e si mise seduto, fregandosi gli occhi. «Assicurati che Bran Stark e il suo fratellino siano nei loro letti. E fa’ in fretta.»

«Milord?…» la voce sonnacchiosa di Kyra.

«Torna a dormire. Nulla che ti riguardi.»

Theon si versò una coppa di vino e la scolò d’un fiato. Continuò a restare in ascolto, sperando di udire di nuovo gli ululati. Niente. “Troppi pochi uomini” si disse amaramente. “Se Asha non dovesse arrivare…”

Wex rientrò per primo, scuotendo la testa. Imprecando, Theon raccolse dal pavimento le brache e la tunica, che aveva gettato a terra alla rinfusa nella sua brama di avventarsi su Kyra. Sopra la tunica, indossò un corpetto di cuoio borchiato. Poi si affibbiò il cinturone con la spada lunga e la daga. I suoi capelli parevano un cespuglio arruffato dal vento, ma in quel momento, aveva cose più gravi di cui preoccuparsi.

Urzen rientrò a sua volta: «I lupi sono spariti».

Sì, cose molto più gravi. Theon impose a se stesso di essere freddo e deliberato come lo era stato lord Eddard.

«Rastrellate il castello» ordinò. «Raccogliete tutti nel cortile, tutti quanti. Vedremo chi manca. Che Lorren faccia il giro delle porte. Wex, con me.»

Si chiese se Stygg avesse già raggiunto Deepwood Motte. Non era affatto l’abile cavaliere che voleva far credere di essere, nessun uomo di ferro lo era, ma di tempo ne aveva avuto in abbondanza. E forse anche Asha stava arrivando. “Ma se scopre che mi sono lasciato sfuggire i due Stark…” Non volle nemmeno pensarci.