“Osha, certo.” Aveva sospettato di lei nel preciso momento in cui aveva visto la seconda coppa di vino. “Non avrei mai dovuto fidarmi. È disumana come Asha. Perfino i loro nomi sono quasi uguali.”
«Avete controllato le stalle?»
«Aggar dice che cavalli non ne mancano.»
«Danzatrice è ancora nel suo scomparto?»
«Danzatrice?» Reek corrugò la fronte. «Aggar dice che i cavalli ci sono tutti. Lo scemo è l’unico che non c’è.»
“Per cui sono scappati a piedi.” Era la migliore notizia che aveva ricevuto da quando si era svegliato. Bran doveva trovarsi nella cesta sulle spalle di Hodor, nessun dubbio. Quanto a Rickon, Osha sarebbe stata costretta a trasportarlo. Le sue gambette da ragazzino di quattro anni non erano certo in grado di fargli fare troppa strada. Ben presto, Theon li avrebbe avuti di nuovo in pugno, ne era sicuro.
«Bran e Rickon sono fuggiti» annunciò alla gente del castello, osservando i loro occhi. «Non avrebbero potuto farlo senza aiuto. O senza cibo, abiti, armi.»
Aveva messo sotto chiave tutte le spade, e le asce di Grande Inverno. Ma era chiaro che alcune armi gli erano state comunque nascoste.
«Io scoprirò chi di voi ha aiutato gli Stark. E anche chi di voi ha guardato apposta dall’altra parte.» L’unico suono nel cortile buio fu il vento. «Alle prime luci, li riporterò indietro.» S’infilò entrambi i pollici nel cinturone. «Ho bisogno di cacciatori. Chi di voi vuole una bella pelliccia di meta-lupo, che gli tenga caldo per tutto l’inverno? Gage?»
Il cuoco gli aveva sempre dato un caldo benvenuto quando lui rientrava dalla caccia, chiedendogli se avesse portato qualche buona selvaggina per la tavola. Ma adesso taceva. Theon passeggiò nuovamente avanti e indietro, continuando a esplorare le loro espressioni, alla ricerca di una traccia di colpevole complicità.
«La foresta non è un posto adatto a uno storpio. E Rickon, piccolo com’è, quanto credete che durerà, là fuori? Nan, pensa quanto dev’essere spaventato.»
Per dieci anni, l’anziana donna gli era stata vicina, raccontandogli tante e tante storie. Adesso lo guardava come se fosse un estraneo, mai visto, né conosciuto.
«Avrei potuto uccidere tutti gli uomini e dare le donne ai miei soldati per spassarsela. Invece vi ho protetto. È così che mi ringraziate?»
Joseth aveva strigliato i suoi cavalli. Farlen gli aveva insegnato tutto sui cani. Barth, la moglie del birraio, era stata la sua prima donna… Nessuno di loro incontrò i suoi occhi. “Mi odiano” capì Theon. “A morte.”
Reek gli si avvicinò. «Strappagli via la pelle» disse con le labbra carnose che luccicavano. «Lord Bolton dice che un uomo nudo ha pochi segreti. Ma un uomo senza pelle non ne ha nessuno.»
L’uomo scuoiato era il simbolo della Casa Bolton, Theon questo lo sapeva bene. Nelle ere passate, c’erano stati dei lord di Forte Terrore che indossavano cappe ricavate dalla pelle dei nemici morti. Anche parecchi Stark avevano fatto quella fine. Tutto questo era cessato ormai da mille anni, quando i Bolton avevano compiuto atto di sottomissione a Grande Inverno. “O almeno, così dicono. Ma le vecchie leggi sono dure a morire… io ne so qualcosa.”
«Nessuno verrà scuoiato nel Nord fino a quando io dominerò Grande Inverno» proclamò Theon a voce alta. “Sono io la vostra unica difesa contro animali come questo”, così avrebbe voluto urlare loro. Ma non poteva essere tanto ovvio. Forse, alcuni avrebbero comunque capito quello che c’era da capire.
Sulle mura del castello, il cielo stava virando al grigio. L’alba non era lontana.
«Joseth, metti la sella a Sorriso e prendi anche tu un cavallo. Murch, Gariss, Tym il Foruncoloso, anche voi verrete con me.» Murch e Gariss erano ottimi cacciatori, quanto a Tym il Foruncoloso, come arciere era eccellente. «Aggar, Nasorosso, Gelmarr, Reek, Wex» voleva i suoi uomini a coprirgli le spalle. «Farlen, voglio dei cani. E voglio te a guidarli.»
L’anziano mastro dei canili incrociò le braccia: «Per quale ragione dovrei dare la caccia ai miei lord di diritto, che oltretutto sono ancora dei bambini?».
«Adesso sono io il tuo lord di diritto» Theon lo affrontò faccia a faccia. «E sono anche l’uomo che tiene tua figlia Palla al sicuro.»
Nello sguardo di Farlen, la sfida si dissolse: «Sì, milord».
Theon fece un passo indietro, decidendo chi altri portarsi dietro. «Maestro Luwin».
«Io non so nulla di caccia.»
“No, ma non mi fido a lasciarti al castello in mia assenza.” «È ora che impari.»
«Lascia venire anche me» un ragazzino si fece avanti. «Io la voglio, quella pelle di lupo.»
Non poteva essere più vecchio di Bran. Theon impiegò qualche momento per rendersi conto di chi fosse.
«Sono andato a caccia un mucchio di volte» insisté Walder Frey. «Cervo rosso e alce… perfino cinghiale.»
Suo cugino, un altro Walder Frey, gli rise in faccia: «Ha partecipato a una caccia al cinghiale con suo padre. Ma dal cinghiale lo hanno tenuto ben lontano».
Theon scoccò al ragazzo un’occhiata dubbiosa: «Vieni pure, se ci tieni tanto. Ma non aspettarti che ti faccia da balia». Tornò a rivolgersi a Lorren il Nero. «Grande Inverno è tua in mia assenza. Se non dovessi ritornare, fa’ quello che vuoi.»
“Questo dovrebbe indurvi a pregare per il mio successo, razza di codardi.”
Si radunarono alla Porta dei Cacciatori, il fiato di uomini e cavalli si condensava nell’aria gelida del mattino. I primi, pallidi raggi del sole avevano fatto la loro comparsa oltre la Torre della Campana.
Gelmarr si era munito di un’ascia dal manico lungo, che gli avrebbe permesso di colpire prima che i meta-lupi potessero arrivargli addosso. Un solo colpo della pesante lama sarebbe bastato a uccidere. Aggar indossava gambali d’acciaio. Reek arrivò portando una lancia da cinghiale e un sacco da lavandaia pieno zeppo di chissà che cosa. Theon aveva il suo arco, non gli serviva nient’altro. Un tempo, con una freccia aveva salvato la vita di Bran. Si augurò di non essere costretto a togliergliela, quella stessa vita, con un’altra freccia. Ma se fosse stato costretto non avrebbe esitato a farlo.
Undici uomini, due ragazzi e una dozzina di cani varcarono il fossato. Oltre le mura esterne, le tracce erano facili da vedere sul terreno soffice. Le impronte dei lupi, quelle grandi e profonde di Hodor, quelle più lievi dei due ragazzi Reed. Raggiunti gli alberi, le foglie cadute e il suolo sassoso resero più arduo seguire la pista, ma la cagna rossa di Farlen conosceva l’odore delle prede. Gli altri cani venivano poco più indietro, i segugi annusavano e abbaiavano, e due mostruosi mastini facevano da retroguardia. In dimensioni e ferocia, quelle bestie avrebbero potuto competere perfino con i meta-lupi.
Theon aveva pensato che Osha si sarebbe diretta a sud, verso ser Rodrik. Invece le tracce puntavano a nord, passando per nord ovest. Puntavano nel cuore stesso della foresta del lupo, cosa che a Theon non piacque affatto. Sarebbe stata un’amara ironia se gli Stark fossero riusciti a raggiungere Deepwood Motte, finendo così dritti in bocca ad Asha. “In quel caso, meglio averli morti.” rimuginò cupamente. “Meglio apparire crudele che sciocco.”
Tentacoli di nebbia livida si contorcevano tra gli alberi. Pini sentinella e altre conifere crescevano fitti. E non c’era nulla di più tenebroso, di più minaccioso di una foresta di sempreverdi. Il terreno era ineguale e pieno di rocce affioranti. Gli aghi caduti formavano uno strato ingannevole, rendendo difficile l’avanzata dei cavalli. Il gruppo fu costretto a procedere con lentezza. “Ma non con tanta lentezza quanto un uomo che trasporta uno storpio, o un’ossuta megera con un ragazzino di quattro anni sulle spalle.” Theon s’impose di essere paziente. Li avrebbe riavuti in pugno prima del tramonto.