Presto, furono così in alto che era meglio non guardare in basso. Sotto di loro si spalancava solo un baratro di tenebre. E sopra di loro, non c’era nient’altro se non la luna e le stelle. «La montagna è tua madre» gli aveva detto Stonesnake durante una facile ascesa alcuni giorni prima. «Aggrappati a lei, premi la faccia contro le sue tette, e lei non ti lascerà cadere.» Inevitabilmente, Jon ci aveva riso sopra: si era sempre domandato chi fosse sua madre, ma non avrebbe mai immaginato di trovarla tra gli Artigli del Gelo. Solo che adesso quella battuta non sembrava più così divertente. “Un passo. Un altro passo.” Continuò a salire, stringendosi alla roccia.
L’esile sentiero terminava di colpo. Un enorme contrafforte di granito nero si protendeva dal fianco della montagna. In contrasto con il vivido chiarore della luna, l’improvvisa ombra era talmente nera da dare l’impressione di essere finiti all’interno di una caverna.
«Andiamo su dritti per di qua» annunciò tranquillamente il ranger veterano. «Vogliamo arrivargli sopra.» Si tolse i guanti e li infilò nel cinturone. Si legò un capo della fune, annodando l’altro capo attorno alla cintola di Jon. «Quando la corda si tende, seguimi.»
Stonesnake non attese una risposta e partì verso l’alto. Una danza di piedi, mani, dita lo portò a salire con una rapidità che Jon non avrebbe mai creduto possibile. La lunga fune continuò a svolgersi, giro dopo giro. Jon seguì ogni mossa di Stonesnake, prese nota di ogni appiglio, di ogni appoggio. L’ultimo giro di fune si esaurì, Jon si tolse a sua volta i guanti e cominciò a salire, molto più lentamente.
Stonesnake aveva fatto passare la fune attorno al liscio sperone di roccia sul quale era in attesa, quando Jon lo raggiunse liberò la corda e riprese la scalata. Questa volta, non trovò nessun punto d’appoggio adatto alla fine della seconda tratta. Così estrasse la mazza avvolta nel feltro. Con una serie di lievi battiti, picchiò uno dei pioli d’acciaio in profondità in una fenditura. Erano colpi soffici, quasi impercettibili. Eppure, i loro echi contro la parete di roccia parvero altrettanti tuoni. Jon strinse gli occhi a ognuno di quei suoni, certo che anche i bruti li udissero. Conficcato il piolo, Stonesnake vi assicurò la fune e Jon cominciò a salire. “Succhia la tetta della montagna. Non guardare in basso.” Continuava a ripeterlo a se stesso. “Tieni il peso staccato dai piedi. Non guardare in basso. Guarda solo la roccia davanti a te. Lì, c’è un valido appiglio, quello. Non guardare in basso. Puoi riprendere fiato su quel cornicione là sopra. Tutto quello che devi fare è arrivarci. Non guardare in basso.”
Il piede gli scivolò sotto il peso. Per un momento, il suo cuore cessò di battere. No, gli dei erano dalla sua: non cadde. Sentiva il freddo della roccia penetrare nelle dita, ma non osò indossare i guanti. Potevano scivolare, i guanti, per quanto stretti apparissero. C’era sempre un certo spazio vuoto tra il tessuto e la pelliccia, tra le dita e la pietra, e lassù, lo spazio vuoto uccideva. La mano ustionata cominciò a irrigidirsi. Non ci volle molto perché cominciasse a fargli male. Si spezzò l’unghia del pollice, strisciandola contro chissà che cosa nel buio. E dopo, a ogni nuova presa, cominciò a lasciarsi dietro una traccia di sangue. Si augurò di averle ancora tutte e dieci, le dita, al termine di quella scalata.
Salirono e salirono e salirono ancora. Ombre nere contro il volto della montagna illuminato dalla luna. Chiunque giù a fondovalle li avrebbe individuati in un attimo, ma era la montagna stessa a celarli dai bruti sulla cima, raccolti attorno al loro fuoco. E adesso erano vicini, Jon poteva percepirlo. Eppure non gli riuscì di pensare al nemico ignaro, in attesa. La sua mente tornò a Grande Inverno, a suo fratello. “Bran amava scalare. Vorrei avere un decimo del suo coraggio.”
Furono a due terzi della salita. La parete era spaccata da una fenditura irregolare nella pietra gelida. Stonesnake tese una mano per aiutare Jon a superare un masso sporgente. Il ranger aveva indossato nuovamente i guanti. Jon fece lo stesso. Stonesnake indicò a sinistra. Lui e Jon strisciarono lungo la fenditura per oltre trecento metri. Alla fine, poterono vedere l’alone delle fiamme baluginare oltre il margine del granito.
I bruti avevano acceso il fuoco in una depressione al di sopra del punto più stretto del passo. Di fronte a loro c’era il vuoto, dietro di loro le rocce li proteggevano dal morso del vento. Fu quella stessa barriera contro il vento a permettere ai due confratelli in nero di giungere a pochi metri da loro. Stonesnake e Jon continuarono a muoversi strisciando sul ventre, finché furono sopra gli uomini che erano venuti per uccidere.
Uno dei bruti stava dormendo, raggomitolato su se stesso, sepolto sotto un grosso mucchio di pelli. Di lui, Jon fu in grado di vedere soltanto i capelli, di un rosso intenso nella luce delle fiamme. Il secondo sedeva vicino al fuoco, che alimentava con rami e piccoli ciocchi di legno, lamentandosi del vento con voce querula. Il terzo sorvegliava il passo. Non c’era molto da vedere là sotto, soltanto una grande distesa di tenebre circondata dai picchi innevati delle montagne. Era lui, il terzo uomo, ad avere il corno.
“Tre.” Per un momento, Jon fu pieno d’incertezza. “Dovevano essere solo in due.” Ma dei tre, uno dormiva. E in ogni caso, due, tre o venti, non faceva nessuna differenza: Jon Snow avrebbe fatto quello che doveva fare. Stonesnake gli toccò una spalla, indicando l’uomo con il corno. Jon accennò a quello vicino al fuoco. Che cosa strana, scegliere l’uomo che devi uccidere. Aveva passato metà della sua vita con in pugno una spada e uno scudo, addestrandosi proprio per questo momento. Adesso il momento era arrivato. “Anche Robb si sarà sentito così alla vigilia della sua prima battaglia?” Non ci fu il tempo per trovare una risposta.
Stonesnake si mosse, rapido come un rettile. Calò sui bruti insieme a una pioggia di pietrisco. Jon estrasse Lungo artiglio e si avventò a sua volta.
Tutto parve accadere in un battito di ciglia. In seguito, Jon avrebbe provato rispetto per il coraggio del bruto che sull’orlo della voragine cercò di sollevare il corno, prima della spada. Riuscì addirittura a portarselo alle labbra. Stonesnake glielo strappò dalle mani con un fendente della spada corta.
Il secondo bruto schizzò in piedi, tendendo un tizzone ardente verso la faccia di Jon. Lui sentì il calore delle fiamme, mentre saltò indietro. Un movimento ai margini del suo campo visivo: il terzo bruto si era svegliato. Ora Jon doveva finire il suo uomo in fretta. Il bruto mulinò nuovamente la torcia improvvisata. Temerariamente, Jon Snow si chinò sotto l’arco del colpo, mulinando la lama con entrambe le mani. L’acciaio di Valyria squarciò cuoio, pelliccia, lana e carne. Il bruto crollò, il suo corpo si contorceva nella caduta, strappando la spada dalla presa di Jon. Il terzo bruto si rizzò a sedere sulle pellicce. Jon snudò il pugnale, afferrò l’uomo per i capelli, puntò la punta della sua lama sotto l’arcata mandibolare di… di fez!
«Una ragazza…» Jon congelò la mano, bloccando l’affondo conclusivo.
«È una sentinella» intimò Stonesnake. «Una bruta. Uccidila.»
Jon vide il terrore negli occhi della ragazza, vide il sangue che le ruscellava lungo la gola, dal punto in cui l’acciaio aveva intaccato la pelle. “Una spinta, una sola, e sarà finita.” I loro volti erano talmente vicini che Jon percepì il suo alito. Sapeva di cipolla. “Non può avere più della mia età.” Qualcosa in lei le ricordò Arya, anche se tra loro non esisteva nessuna rassomiglianza.
«Ti arrendi?» Jon impresse alla lama un mezzo giro. “E se non lo fa?”
«Mi arrendo.» Parole come vapore nell’aria gelida.
«Allora sei nostra prigioniera.» Jon allontanò il pugnale dalla pelle morbida del suo collo.
«Qhorin non ha detto di prendere prigionieri» disse Stonesnake.