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Superò il fossato asciutto, irto di crudeli rostri di ferro, e salì la stretta scala a chiocciola. Ma quando fu davanti alla porta della sua stanza, non riuscì a trovare la forza di entrare. Le sole pareti di quella camera bastavano a farla sentire in trappola. Perfino con la finestra spalancata aveva la sensazione di non riuscire a respirare.

Sansa continuò a salire. Il fumo degli incendi celava l’esile falce di luna crescente e nascondeva le stelle. Il tetto era buio e pieno d’ombre pesanti. Eppure, da lassù si riusciva comunque a vedere ogni cosa: le alte torri e i poderosi masti agli angoli della Fortezza Rossa, il labirinto di strade che si stendeva al di là, il nero corso del fiume a sud e a ovest, la baia a oriente, le colonne di fumo e di ceneri. E poi i fuochi, fuochi dappertutto. I soldati brulicavano sulle mura di Approdo del Re simili a formiche munite di torce, ammassandosi attorno alle barriere di rostri che ora sporgevano dai bastioni. Verso la Porta del Fango, stagliate contro le volute del fumo, Sansa individuò le forme vaghe di tre enormi catapulte, le più gigantesche che si fossero mai viste, le quali torreggiavano al di sopra delle mura di almeno dieci metri. Eppure, nessuna di quelle difese contribuì a diminuire la paura che provava. Un’improvvisa fitta la folgorò da parte a parte, talmente tormentosa che Sansa si afferrò il ventre, singhiozzando. Stava per accasciarsi a terra… Un’ombra si mosse. Dita forti l’afferrarono, la tennero in piedi.

Sansa si aggrappò a uno dei merli, le mani artigliavano la pietra scabra. «Lasciami andare!» gridò. «Lasciami andare!…»

«L’uccellino pensa di avere le ali, non è così? O forse hai intenzione di ridurti a una piccola storpia, come quel tuo fratello a Grande Inverno?»

Sansa si contorse nella stretta micidiale: «Non stavo per cadere. È che… mi hai colto alla sprovvista, ecco tutto».

«Vorrai dire che ti ho fatto paura. Che ti faccio ancora paura.»

Sansa fece un respiro profondo, cercando di calmarsi: «Ho pensato di essere sola, quassù. Io…» distolse lo sguardo.

«L’uccellino proprio non sopporta di guardarmi in faccia, non è vero?» Il Mastino la lasciò andare. «Però la mia faccia sei stata contenta di vederla quando quella folla ti ha preso, o forse non ti ricordi?»

Sansa ricordava anche troppo bene. Ricordava il modo in cui urlavano, il calore del sangue che scorreva sulla sua guancia quando un sasso l’aveva colpita, il fiato puzzolente d’aglio dell’uomo che aveva cercato di strapparla di sella. Poteva ancora sentire la morsa delle dita luride attorno al suo polso, quando aveva perso l’equilibrio, cominciando a cadere.

Era stata certa di stare per morire, ma poi le dita si erano aperte, tutte e cinque simultaneamente, e l’uomo aveva urlato come un cavallo ferito. Una mano diversa, più poderosa, l’aveva spinta nuovamente sulla sella. L’uomo dall’alito puzzolente d’aglio si contorceva a terra, con il sangue che pompava ritmicamente dal braccio mozzato di netto. Ma ce n’erano altri tutto attorno, alcuni armati di bastoni. Il Mastino era andato all’assalto, mulinando la spada, lasciandosi dietro una scia purpurea. Alla fine, il gruppo si era disperso urlando. Lui aveva riso, e per un momento il suo terribile volto ustionato si era come trasfigurato.

Sansa si costrinse a guardarlo, a guardarlo veramente. Era cortesia, e una lady non deve mai dimenticare la cortesia. “Le cicatrici non sono la cosa peggiore, e nemmeno il modo in cui la sua bocca si contorce. Sono i suoi occhi.” Non aveva mai visto occhi così pieni di furore.

«Io… ecco, avrei dovuto venire da…» disse esitando. «A ringraziarti per… per avermi salvata… Sei stato così valoroso.»

«Valoroso?» La sua risata era una specie di ringhio. «Un cane non ha bisogno di coraggio per mettere in fuga dei ratti. Erano trenta contro uno, ma nessuno di loro ha osato affrontarmi.»

Sansa odiava quel suo modo di parlare, sempre tanto brutale, feroce. «Ti dà gioia fare paura alla gente?»

«No, mi dà gioia uccidere la gente» la bocca del Mastino si contorse. «Fa’ pure tutte le smorfie che vuoi, ma risparmiami il falso pietismo. Tu sei di una cucciolata nobile. Non dirmi che lord Eddard Stark di Grande Inverno non ha mai ucciso nessuno.»

«Era suo dovere. Non gli è mai piaciuto uccidere.»

«Questo ti ha detto?» Sandor Clegane rise di nuovo. «Tuo padre ha mentito. Uccidere è la cosa più piacevole che esista.» Sfoderò la sua spada lunga. «Eccola qui, la tua verità. Il tuo prezioso padre l’ha scoperta sui gradini di Baelor. Lord di Grande Inverno, Primo Cavaliere del re, protettore del Nord, il possente Eddard Stark, di una dinastia vecchia di ottomila anni… Ma la lama di Ilyn Payne si è aperta la strada nel suo collo comunque, o no? Ricordi quel balletto che si è fatto quando la sua testa si è staccata dalle spalle?»

Sansa si strinse le braccia attorno al petto, colta da un freddo improvviso: «Perché sei sempre così pieno d’odio? Io ti stavo ringraziando…».

«Ma certo, proprio come uno di quei veri cavalieri che ti piacciono tanto. Dimmi, ragazzina, a che cosa pensi che serva un cavaliere? Magari ad accettare il favore delle nobili signore, a fare bella figura in una corazza placcata d’oro? Un cavaliere serve per uccidere

Sandor Clegane appoggiò la lama contro il collo di lei, appena sotto l’orecchio. Sansa percepì il gelido filo dell’acciaio.

«Ho ucciso il mio primo uomo a dodici anni. Ho perso il conto di quanti altri ne ho uccisi dopo quel momento. Alti lord dai nomi antichi, grassi uomini ricchi vestiti di velluto, cavalieri gonfi d’onori come otri di vino, donne, bambini, sì, anche loro… Carne, nient’altro che carne, e io sono il macellaio. Che si tengano pure le loro terre e i loro dei e il loro oro. Che si tengano anche i loro ser.» Clegane sputò a terra davanti a lei, per spiegarle qual era la sua opinione dei ser. «Fino a quando io stringerò questa nel pugno» tolse la lama dalla gola di Sansa «non c’è uomo sulla terra di cui io abbia paura.»

“Eccetto tuo fratello.” Ma questo, Sansa ebbe il buon senso di non dirlo ad alta voce. “Sei davvero un mastino, Sandor, proprio come dici anche tu. Un cane rabbioso selvaggio a metà, che morde qualsiasi mano cerchi di accarezzarlo. E che al tempo stesso sbranerà chiunque cerchi di fare del male ai suoi padroni.”

«Nemmeno degli uomini al di là del fiume hai paura?»

Lo sguardo di Sandor Clegane si spostò sui fuochi lontani: «Tutte quelle cose che bruciano…». Rinfoderò la spada. «Solamente i codardi combattono con il fuoco.»

«Lord Stannis non è un codardo.»

«Non è nemmeno l’uomo che era suo fratello. Robert Baratheon non si sarebbe mai fermato davanti a un fiume.»

«E tu? Che cosa farai quando Stannis lo attraverserà?»

«Combattere. Uccidere. Morire, forse.»

«Non hai paura? Gli dei potrebbero sprofondarti in chissà quali terribili inferi per tutto il male che hai fatto.»

«Quale male?» rise il Mastino. «Quali dei?»

«Gli dei che hanno creato tutti noi.»

«Tutti noi?» la schernì lui. «Dimmi qualcos’altro, uccellino, che razza di dio crea un mostriciattolo come il Folletto, o una povera mentecatta come la figlia di lady Tanda? Se gli dei esistono, per quale motivo hanno creato le pecore che vengono divorate dai lupi? Per quale motivo hanno creato i deboli con cui i forti si trastullano?»

«I veri cavalieri proteggono i deboli.»