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Clegane grugnì: «Non esistono veri cavalieri, così come non esistono dei. Se non sei in grado di proteggerti da solo, allora muori e cedi il passo a quelli che ci riescono. Duro acciaio e braccia forti, ecco quello che domina il mondo. E farai meglio a non credere a nulla di diverso».

Sansa arretrò da lui: «Sei crudele».

«Sono onesto. È il mondo a essere crudele. Ora volatene via, uccellino. Mi sono stancato dei tuoi sguardi.»

Sansa scappò lontano, senza dire una parola. Aveva paura di Sandor Clegane… eppure una parte di lei desiderava che ser Dontos avesse un po’ della ferocia del Mastino.

“Gli dei esistono” ripeté a se stessa. “E anche i veri cavalieri esistono. Tutto questo non può essere una menzogna.”

Quella notte, gli incubi tornarono.

La folla l’assaliva da tutte le parti, urlando, come una belva furibonda dai mille volti. In qualsiasi direzione lei si girasse, non vedeva altro che facce distorte in maschere inumane, mostruose. Sansa pianse, disse loro di non aver commesso nulla di male. Inutile, la trascinarono ugualmente giù dal cavallo. «No, vi prego!» Li implorò. «Non fatelo! Non fatelo! «Nessuno le prestò alcuna attenzione. Chiamò in aiuto ser Dontos, chiamò i suoi fratelli, chiamò il suo defunto padre, chiamò la sua lupa, morta anche lei. Chiamò il galante ser Loras Tyrell, che al torneo le aveva offerto una rosa rossa. Ma nessuno di loro venne. Allora chiese aiuto agli eroi delle canzoni, Florian e ser Ryam Redwyne e il principe Aemon Targaryen, Cavaliere del drago. Nessuno di loro la udì. Donne inferocite le furono addosso come un’orda famelica, graffiandole le gambe, prendendola a calci nello stomaco. Qualcuno la colpì in piena faccia e Sansa sentì i denti andare in pezzi. Poi vide qualcosa d’altro: il gelido lampeggiare dell’acciaio. La lama le affondò nel ventre. Si mise a dilaniare, a squarciare, finché di lei rimasero solo rossi brandelli gocciolanti…

Quando si risvegliò la pallida luce del mattino filtrava dalla finestra. Si sentiva stremata e dolorante, come se non fosse riuscita a chiudere occhio. C’era qualcosa di appiccicoso sulle sue cosce. Sansa gettò di lato le coperte. Sangue. Sulle lenzuola, sulla camicia da notte. L’unico pensiero che le attraversò la mente fu che in qualche modo l’incubo si era tramutato in realtà. Ricordò le lame dentro di lei, che si torcevano, che laceravano. Piena di orrore scalciò via le lenzuola e rotolò a terra. Aveva il respiro affannato. Era nuda, insanguinata, terrorizzata.

Ma mentre rimaneva là, carponi sulle pietre del pavimento, cominciò a comprendere. «No, per pietà» la voce di Sansa era un mugolio disperato. «Per pietà…» Non voleva che le accadesse questo, non adesso, non qui. Non adesso, non adesso, non adesso, non adesso.

La follia s’impossessò di lei. Si mise in piedi aggrappandosi alla testata del letto, corse a lavarsi le cosce nel bacile, fregando via gli appiccicosi aloni rossastri. Alla fine, l’acqua era rosa del sangue diluito. Ma quando le serve fossero arrivate, avrebbero visto, avrebbero capito. Poi si ricordò delle lenzuola. Tornò di corsa al letto, fissò con orrore l’ampia chiazza rossa, segno d’inequivocabile chiarezza. Doveva sbarazzarsene, Sansa non riusciva a pensare ad altro, altrimenti tutti avrebbero saputo. Non poteva permettere che accadesse. L’avrebbero costretta a sposare Joffrey, a giacere con lui.

Sansa impugnò il coltello e si avventò sul lenzuolo, tagliando via la parte di stoffa con la macchia. “Ma se mi chiedono del buco, che cosa gli dirò?” Le lacrime ruscellarono sul suo viso. “Devo bruciarle, queste lenzuola.” Fece un fagotto del tessuto incriminante, lo cacciò nel caminetto, lo irrorò con l’olio della lanterna, vi appiccò il fuoco. Ma nemmeno quello bastò: il sangue era filtrato fino al materasso di piume. Così Sansa cercò di arrotolare anche quello, ma era grosso, ingombrante, difficile da muovere. Riuscì a comprimerne soltanto metà nel caminetto. Si mise in ginocchio, spingendo freneticamente il materasso nel fuoco, mentre spesso fumo grigio si gonfiava attorno a lei, invadendo la stanza. La porta venne aperta di schianto, Sansa udì il grido strozzato della sua cameriera.

Ci vollero tre di loro per strapparla al principio d’incendio. Ed era stato tutto per niente. Le lenzuola erano bruciate, ma quando le donne la trascinarono lontano dal materasso, le sue cosce erano nuovamente viscide di sangue. Il suo stesso corpo l’aveva tradita, dispiegando un vessillo nel porpora dei Lannister, in modo che l’intero universo potesse vedere.

Spente le fiamme, portarono via il materasso bruciacchiato, fecero uscire quasi tutto il fumo e prepararono una vasca. Donne andarono e venirono, mugugnando a bassa voce, guardandola in modo strano. Riempirono la vasca d’acqua bollente, le fecero il bagno, le lavarono i capelli e infine le diedero una pezzuola di stoffa da mettersi tra le gambe. A quel punto, Sansa aveva riacquistato la calma, ed era piena di vergogna per essersi comportata in quella maniera folle. Il fumo aveva rovinato la maggior parte dei suoi vestiti. Una delle donne andò a prendere una tunica di lana verde che era quasi della sua taglia. «Non è graziosa come le tue cose, ma andrà bene comunque» disse quando ebbe aiutato Sansa a infilarla. «Le tue scarpe non sono bruciate, almeno non sarai costretta ad andarci a piedi nudi dalla regina.»

Cersei Lannister stava facendo colazione quando Sansa venne introdotta nel suo solarium.

«Puoi accomodarti» esortò graziosamente la regina. «Hai fame?» Accennò alla tavola. Era imbandita con porridge, latte, uova bollite, croccante pesce fritto.

La sola vista del cibo diede a Sansa la nausea. Aveva lo stomaco attorcigliato. «No, grazie, Maestà.»

«Non ti do torto. Tra Tyrion e lord Stannis, tutto quello che mangio sa di cenere. E ora, anche tu ti sei messa ad appiccare incendi. Che cosa pensavi di fare?»

Sansa chinò il capo: «Il sangue mi ha spaventata».

«Il sangue è il sigillo del tuo essere diventata donna. Lady Catelyn ti avrà pur preparata per questo momento. Hai avuto il tuo primo sboccio, nulla di più.»

Sansa non si era mai sentita meno simile a un fiore: «La lady mia madre mi ha parlato. Io però… avevo pensato che sarebbe stato diverso».

«Diverso come?»

«Non so. Meno… pasticciato. Più magico.»

La regina Cersei rise: «Aspetta solo di avere un figlio, Sansa. La vita di una donna è per nove decimi un pasticcio e magia per il decimo che rimane. Qualcosa che non ci metterai molto a imparare. …e i decimi che sembrano magici, alla fine si rivelano i più pasticciati di tutti». Bevve un sorso di latte. «Così ora sei una donna. Hai idea di che cosa significa?»

«Significa che ora sono in condizioni di essere sposata e portata a letto» rispose Sansa. «Per dare figli al mio re.»

La regina le concesse un pallido sorriso: «Prospettiva che ora non trovi più seducente come un tempo, posso vederlo con chiarezza. Non posso biasimarti. Joffrey è sempre stato difficile. Perfino alla sua nascita… sopportai un giorno e una notte di doglie per portarlo in questo mondo. Nemmeno puoi immaginare il dolore, Sansa. Urlai talmente forte da pensare che Robert mi avrebbe udito fino nella foresta del re».

«Sua Grazia non era con te?»

«Robert? Oh, Robert era a caccia. Era quella la sua abitudine. Ogni volta che il mio tempo si avvicinava, il mio regale marito se ne scappava tra gli alberi in compagnia dei suoi cacciatori e dei suoi segugi. Al suo ritorno, mi offriva qualche pernice e una testa di cervo. E io gli offrivo un bambino.

«Non che io volessi che lui ci fosse, siamo chiari. Avevo con me il Gran maestro Pycelle e un esercito di levatrici. E avevo con me mio fratello. Quando dissero a Jaime che non poteva essere presente al parto, lui sorrise. Poi volle sapere chi di loro avrebbe tentato di tenerlo fuori.