«Dubito molto però che Joffrey darebbe prova di una simile devozione nei tuoi confronti. Potresti ringraziare tua sorella per questo, se non fosse morta. Joffrey non ha mai potuto dimenticare quel giorno sul Tridente, quando tu fosti testimone della vergogna che Arya gli inflisse. Così ora quella vergogna lui la infligge a te. Ma sei più forte di quanto sembri. Immagino che tu sopravviverai a un po’ di umiliazioni. Io l’ho fatto. Potrai anche non amare il tuo re, ma di sicuro amerai i suoi figli.»
«Io amo sua Grazia con tutto il cuore.»
«Farai meglio a imparare alcune nuove menzogne, e anche in fretta» la regina sospirò. «Questa in particolare a lord Stannis non piacerà, te lo garantisco.»
«Il nuovo Alto Sacerdote ha detto che gli dei non permetteranno mai a lord Stannis di vincere, perché è Joffrey il re di diritto.»
«Primogenito ed erede di Robert» un mezzo sorriso apparve sul viso della regina. «Però, ogni volta che Robert lo prendeva in braccio, Joffrey si metteva a piangere. Questo a Sua Grazia non piaceva. I suoi bastardi gli hanno sempre fatto una gran festa, succhiandogli il dito quando lui lo infilava nelle loro piccole bocche di bastardi. Robert voleva sorrisi e applausi, sempre. Per cui andò là dove poteva trovarli: dai suoi amici e dalle sue baldracche. Robert voleva essere amato. Mio fratello Tyrion è afflitto dalla stessa malattia. E tu, Sansa? Anche tu vuoi essere amata?»
«Ognuno di noi vuole essere amato.»
«Vedo che il tuo primo sboccio non ti ha reso affatto più intelligente» rispose Cersei. «Sansa, lascia che condivida con te, in questo giorno così speciale, un briciolo di saggezza femminile. L’amore è veleno. Un dolce veleno, certo, ma che comunque uccide.»
JON
Dominava l’oscurità sul passo Skirling. I grandi fianchi di pietra della montagna celavano il sole per la maggior parte del giorno. Così i confratelli neri cavalcarono nelle ombre, con il fiato degli uomini e dei cavalli che si condensava nell’aria gelida. Dai manti nevosi in quota, gli esili rivoli d’acqua del disgelo colavano ad alimentare piccole pozze dalla superficie congelata, la cui crosta s’incrinava e si spezzava sotto gli zoccoli dei destrieri. Qua e là, i Guardiani della notte vedevano alcuni rovi cercare di aprirsi la strada tra le fenditure, e rade chiazze di lichene aggrappate al granito. Ma non c’era erba, e ormai si trovavano ben al di sopra degli alberi.
Il sentiero era ripido e si snodava sempre in salita. Nei punti in cui il passo si stringeva permettendo l’avanzata di una persona per volta, era Scudiero Dalbridge ad aprire il cammino, esplorando con lo sguardo i picchi incombenti, con l’arco lungo a portata di mano. Dicevano che avesse gli occhi più acuti dell’intera confraternita dei Guardiani della notte.
Spettro si muoveva senza sosta a fianco di Jon. Di tanto in tanto, si fermava e tornava indietro, le orecchie dritte, come se udisse qualcosa alle loro spalle. Jon non pensava che le pantere-ombra si mettessero ad attaccare degli uomini vivi, a meno che non fossero stremate dalla fame. Tolse comunque il cinghietto al fodero di Lungo artiglio.
Il punto più alto del passo era segnato da un arco di pietra grigia scavata dal vento. Al di là, la pista si allargava e cominciava a scendere verso la valle del Fiumelatte. Qhorin decise che si sarebbero fermati là finché le ombre non avessero ricominciato ad allungarsi. «Le ombre sono amiche degli uomini in nero» dichiarò.
Jon ne vedeva la logica. Sarebbe stato piacevole poter cavalcare un po’ alla luce del giorno, in modo che il sole d’alta montagna filtrasse attraverso i loro abiti e scacciasse il freddo che avevano nelle ossa, ma non osavano farlo. Dove c’erano tre sentinelle dei bruti, potevano essercene anche altre, pronte a dare l’allarme.
Stonesnake si raggomitolò nella sua sdrucita cappa di pelliccia e si addormentò immediatamente. Jon condivise la sua carne salata con Spettro ed Ebben, Scudiero Dalbridge diede da mangiare ai cavalli. Qhorin il Monco sedette con la schiena appoggiata contro una roccia, affilando la sua spada lunga con passate lente, precise. Jon rimase a osservarlo per alcuni momenti, alla fine chiamò a raccolta il coraggio e andò da lui.
«Mio lord, non mi hai chiesto com’è andata. Con quella ragazza, intendo.»
«Non sono un lord, Jon Snow» la mano mutilata di Qhorin continuò a far scivolare la pietra sul taglio della spada.
«Mi ha detto che Mance Rayder mi avrebbe accolto tra i suoi, se fossi scappato con lei.»
«Ti ha detto il vero.»
«Ha addirittura suggerito che avremmo potuto essere dello stesso sangue. Mi ha raccontato una storia…»
«… Bael il Bardo e la rosa di Grande Inverno. Stonesnake me lo ha riferito. La conosco anch’io, quella storia. Mance era solito cantarla, molto tempo fa, rientrando dalle pattuglie. Aveva una passione per la musica dei bruti. Già, e anche per le loro donne.»
«Tu lo conoscevi?»
«Tutti noi lo conoscevamo» c’era un velo di tristezza nella voce di Qhorin.
“Erano amici oltre che confratelli neri” si rese conto Jon. “E adesso sono nemici giurati.” «Come mai disertò?»
«Per una donna, dicono alcuni. Per la corona, secondo altri» Qhorin tastò il filo della spada con il polpastrello del pollice. «A Mance piacevano le donne, è vero. E non era un uomo da sottomettersi facilmente, anche questo è vero. Ma non basta. Amava le terre selvagge più della Barriera. Le terre selvagge erano nel suo sangue. Era un figlio dei bruti, preso da piccolo quando alcuni predoni vennero passati a fil di spada. Quando disertò la Torre delle Ombre, stava semplicemente tornando a casa.»
«Era un bravo ranger?»
«Mance Rayder era il migliore di tutti noi» rispose il Monco «e anche il peggiore. Sono solo gli stolti come Thoren Smallwood che disprezzano i bruti. Sono valorosi quanto noi, Jon, e altrettanto forti, rapidi, astuti. Una cosa però non hanno: la disciplina. Chiamano se stessi il popolo libero, e ognuno di loro crede di essere buono come un re e più saggio di un maestro della Cittadella. Anche Mance la pensava così. Non ha mai imparato a obbedire.»
«Nemmeno io l’ho imparato» confessò Jon a voce bassa.
Gli intelligenti occhi grigi di Qhorin parvero leggere ogni cosa dentro di lui: «Quindi l’hai lasciata andare?». Non sembrava minimamente sorpreso.
«Lo sapevi?»
«Lo so adesso. Dimmi, per quale ragione l’hai risparmiata?»
«Mio padre non ha mai fatto ricorso al boia» per Jon fu difficile trovare le parole adatte. «Sosteneva che chi toglie la vita a un altro uomo ha il dovere di guardarlo negli occhi e di udire le sue ultime parole. E quando ho guardato Ygritte negli occhi, io…» Jon fissò le proprie mani, sconfitto. «Sapevo che era un nemico, ma non c’era malvagità in lei.»
«Non più di quanta ce ne fosse stata negli altri due.»
«Erano le loro vite o le nostre» rispose Jon. «Se ci avessero visto, se avessero suonato quel corno…»
«I bruti ci avrebbero dato la caccia per ucciderci, è vero.»
«Ora è Stonesnake ad avere il corno. Abbiamo preso anche l’ascia e il coltello di Ygritte. Lei è dietro di noi, a piedi, disarmata…»
«Ed è difficile che rappresenti una minaccia» concordò Qhorin. «Se l’avessi voluta morta, l’avrei lasciata con Ebben, o l’avrei uccisa io stesso.»
«E allora perché hai dato a me quell’ordine?»
«Io non ti ho dato nessun ordine. Ti ho solo detto di fare quanto andava fatto, lasciando a te la decisione.» Qhorin si alzò, infilando la spada nel fodero. «Quando voglio che qualcuno scali una montagna, chiamo Stonesnake. Se è necessario piantare una freccia nell’occhio di un nemico dalla parte opposta di un campo di battaglia battuto dal vento, lo dico a Scudiero Dalbridge. Ebben sa come strappare segreti a chiunque. Per comandare degli uomini, Jon Snow, quegli stessi uomini li devi conoscere. Adesso, io conosco te meglio di quanto non ti conoscessi questa mattina.»