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«Tutte le creature sognano, io credo, anche se non come gli uomini.»

«E gli uomini morti? Anche loro sognano?» Bran stava pensando a suo padre. Nel profondo delle tenebrose cripte di Grande Inverno, uno scalpellino stava cesellando le fattezze di lord Eddard in una lastra di granito.

«Alcuni dicono di sì, altri di no» rispose il maestro. «Quanto ai morti, loro non dicono nulla in materia.»

«E gli alberi, sognano?»

«Gli alberi? No…»

«Invece sognano.» C’era un’improvvisa certezza nel tono di Bran. «Sognano i sogni degli alberi. Anch’io sogno di un albero, a volte… Un albero-diga, come quello nel parco degli dei. Mi chiama. I sogni dei lupi sono migliori. Fiuto odori, a volte, sento il sapore del sangue.»

Maestro Luwin passò due dita sotto la catena, nel punto in cui gli aveva scavato il collo. «Bran, se tu solamente passassi un po’ più di tempo con gli altri bambini…»

«Io li odio, gli altri bambini» ribatté Bran, alludendo ai Walder. «Ti ho ordinato di mandarli via.»

«I giovani Frey sono i protetti della lady tua madre.» Luwin si rabbuiò. «Sono stati mandati qui per essere allevati a Grande Inverno dietro suo preciso ordine. Non spetta a te cacciarli, né sarebbe una cosa gentile da fare. Inoltre, una volta via di qui, dove potrebbero mai andare?»

«A casa. È colpa loro se tu non mi permetti di tenere Estate.»

«Non è stato il ragazzo Frey a chiedere di venire attaccato» replicò il maestro. «Nemmeno io lo avevo chiesto.»

«È stato Cagnaccio a morderlo.» Il grande meta-lupo nero di Rickon era talmente feroce da spaventare persino Bran. «Estate non ha mai attaccato nessuno.»

«Estate ha squarciato la gola di un uomo in questa stessa stanza, o forse te ne sei dimenticato? La verità è che quei simpatici cuccioli che tu e i tuoi fratelli trovaste nella neve adesso sono cresciuti, sono diventati belve pericolose. I ragazzi Frey dimostrano saggezza nel diffidare di loro.»

«Sono i Walder che dovremmo mettere nel parco degli dei, così potrebbero giocare a fare i signori del guado finché ne hanno voglia, ed Estate potrebbe dormire di nuovo con me. Se sono il principe, perché non mi tratti come tale, Luwin? Volevo cavalcare Danzatrice, ma Alebelly rifiuta di lasciarmi uscire dal castello.»

«E con ragione. La foresta del Lupo è piena di pericoli, e la tua ultima uscita dovrebbe avertelo insegnato, questo. Vorresti forse che qualche fuorilegge ti prendesse prigioniero per poi venderti ai Lannister?»

«Estate mi salverebbe» insistette Bran, ostinato. «Ai principi dovrebbe essere permesso di solcare i mari, di dare la caccia ai cinghiali e di addestrarsi con le lance.»

«Bran, bambino mio, perché ti tormenti in questo modo? Un giorno, potrai arrivare a compiere alcune di queste gesta, ma adesso sei solo un ragazzo di otto anni.»

«Preferirei piuttosto essere un lupo. Se così fosse, potrei vivere nella foresta e dormire quando ne ho voglia. Potrei ritrovare Arya e Sansa: sentirei il loro odore e potrei accorrere per salvarle. E quando Robb andasse in battaglia, potrei combattere al suo fianco, come Vento grigio. Squarcerei la gola allo Sterminatore di re con le mie zanne, così, e poi la guerra finirebbe, e tutti potrebbero tornare a Grande Inverno. Se solo fossi un lupo…» Ululò di nuovo. «Uuu-uuu-uuuuuuuuuuuuuuuu.»

Luwin alzò la voce: «Un vero principe accoglierebbe di buon grado…».

«Aahu-uuuuuuuuuuuuuuu» Bran ululò più forte. «Uuu-uuuuuuuuuuuuu.»

Il maestro si arrese. «Come vuoi, piccolo» e con un’espressione a metà tra la compassione e il disgusto lasciò la stanza.

Una volta che Bran fu di nuovo solo, ululare non fu più altrettanto eccitante. Dopo un po’, finì con l’acquietarsi. “Certo che li ho accolti di buon grado” rimuginò Bran, pieno di risentimento. “Mi sono comportato come il lord di Grande Inverno, come un vero lord, Luwin non può dire il contrario.” Quando i Walder erano arrivati dalle Torri Gemelle, era stato Rickon, il suo fratellino di quattro anni, a non volerli al castello. Si era messo a urlare che voleva sua madre e suo padre e suo fratello Robb, non quegli estranei. Era toccato a Bran cercare di calmarlo e dare il benvenuto ai Walder. Aveva offerto loro carne, idromele e un posto accanto al focolare. In seguito, perfino maestro Luwin lo aveva lodato per come si era comportato.

Ma questo era stato prima del gioco.

Il gioco si faceva con un tronco d’albero, un lungo bastone, dell’acqua e urla in quantità. L’acqua, Walder e Walder assicurarono a Bran, era la cosa più importante. Al posto del tronco si poteva usare un’asse, o anche delle pietre affioranti: invece del bastone lungo andava bene anche un ramo. Non era nemmeno necessario urlare. Ma senza acqua, il gioco non si poteva fare. Dal momento che maestro Luwin e ser Rodrik non permettevano loro d’inoltrarsi nella foresta del Lupo alla ricerca di un torrente, i ragazzi dovettero accontentarsi di una delle pozze di acqua scura nel parco degli dei. Walder e Walder non avevano mai visto acqua che ribolliva dal sottosuolo, ma furono d’accordo nel dire che avrebbe addirittura reso il gioco più divertente.

Entrambi si chiamavano Walder Frey. Grande Walder diceva che c’erano torme di Walder alle Torri Gemelle, chiamati così in onore del loro nonno, lord Walder Frey. «A Grande Inverno, noi abbiamo i nostri nomi» aveva replicato Rickon in tono altezzoso nell’udire ciò.

Il gioco si svolgeva sistemando il tronco sull’acqua, con uno dei giocatori che impugnava il bastone, in bilico sulla mezzeria. Lui era il signore del guado, e quando un altro giocatore si avvicinava, lui diceva: «Sono il signore del guado, chi va là?». A quel punto, l’altro giocatore doveva fare un bel discorso, spiegando chi era e per quale motivo doveva essergli permesso di attraversare il fiume. Il signore poteva chiedere all’altro giocatore di fare giuramenti o di rispondere a domande. Non si doveva dire la verità, era chiaro, ma i giuramenti erano impegni solenni, a meno che non venisse pronunciata la parola “forsecheno”. Per cui il trucco stava nel far passare il “forsecheno” senza che il signore del guado se ne accorgesse. Dopo di che, il giocatore poteva tentare di mandare il signore del guado a mollo, in modo da diventare lui, a sua volta, signore del guado. Ma solo dopo aver detto “forsecheno”, altrimenti il giocatore era fuori gara. Il signore del guado era l’unico ad avere il bastone, e poteva gettare in acqua chiunque volesse in qualsiasi momento.

In pratica, il gioco si riduceva a una specie di rissa a base di spinte, colpi e cadute in acqua, il tutto punteggiato da sonore litigate su chi fosse riuscito a dire “forsecheno”. Ed era quasi sempre Piccolo Walder a restare signore del guado.

Si chiamava Piccolo Walder nonostante fosse grande e grosso, con una faccia rubiconda e un bel pancione rotondo. Grande Walder, invece, aveva lineamenti affilati, era magrolino e di un palmo più basso. «Lui è più vecchio di me di cinquantadue giorni» aveva spiegato Piccolo Walder. «All’inizio era più grande lui, io però sono cresciuto più in fretta.»

«Siamo cugini, non fratelli» aveva aggiunto Grande Walder, quello piccolo. «Io sono Walder figlio di Jommos. Mio padre è figlio della quarta moglie di lord Walder. Lui, invece, è Walder figlio di Merrett. Sua nonna era la terza moglie di lord Walder, una Crakehall. Anche se il più vecchio sono io, lui è più avanti di me nella linea di successione.»

«Solamente di cinquantadue giorni» aveva obiettato Piccolo Walder. «E nessuno di noi due diventerà mai il lord delle Torri Gemelle, stupido.»

«Io lo diventerò, invece» aveva ribattuto Grande Walder. «Non siamo solamente noi a chiamarci Walder. Ser Stevron ha un nipote, Walder il Nero, lui è il quarto nella Linea di successione. Poi c’è Walder il Rosso, il figlio di ser Emmon, e poi Walder il Bastardo, che non entra proprio nella linea di successione. Lui si chiama Walder Rivers, non Walder Frey. Infine, c’è una ragazza di nome Walda.»