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«Come desideri, mia signora» Vyman fece un breve inchino e se ne andò.

Lord Hoster giaceva supino, con la bocca aperta, il respiro appena un lieve rantolo sibilante. Aveva una mano in bilico sul bordo del materasso, pallida e scarna eppure calda quando Catelyn la toccò. Fece scivolare le dita tra quelle del padre e strinse. “Non importa quanto cerchi di trattenerlo, non sarai in grado di farlo restare qui” pensò tristemente. “Lascialo andare.” Ma non riuscì ad aprire le dita, proprio non riuscì.

«Non ho nessuno con cui parlare, padre. Innalzo preghiere, ma gli dei non mi rispondono.»

Baciò delicatamente la mano del vecchio. La pelle era calda, vene blu ramificate come fiumi sotto la pallida epidermide traslucida. Fuori, scorrevano i grandi fiumi, la Forca Rossa del Tridente e il Tumblestone. Avrebbero continuato a scorrere per l’eternità. Non così sarebbe stato per i fiumi nella mano di suo padre.

«Sai, ieri notte ho fatto un sogno. Ho sognato di quella volta in cui Lysa e io finimmo con il perderci rientrando a cavallo da Seagard. Ti ricordi? Scese quella strana nebbia, e noi rimanemmo indietro rispetto al resto del gruppo. Tutto quanto era grigio, e io non riuscivo a vedere un palmo oltre il muso del mio cavallo. Avevamo smarrito la strada. I rami degli alberi sembravano lunghe braccia scheletriche che cercavano di afferrarci mentre avanzavamo. Lysa cominciò a piangere. E quando io mi misi a gridare, la nebbia parve inghiottire la mia voce. Petyr Baelish, però, sapeva dov’eravamo, tornò indietro e ci trovò… Ma adesso non c’è nessuno in grado di raggiungermi, non è vero? Questa volta, spetta a me trovare la strada. Ed è così difficile, così difficile…

«Continuo a ricordare le parole degli Stark. L’inverno è arrivato, padre. Per me, è arrivato. Adesso, oltre ai Lannister, Robb deve combattere anche i Greyjoy. E per che cosa? Per un copricapo d’oro e una sedia di ferro? La terra ha sanguinato abbastanza, questo è certo. Voglio le mie figlie, voglio che Robb deponga la spada e scelga una delle figlie di Walder Frey, una brava ragazza che possa farlo felice e dargli dei figli. Voglio Bran e Rickon, voglio…» Catelyn si afferrò la fronte. «Voglio.»

Lo disse ancora una volta. Poi le parole svanirono.

Più tardi, la candela sgocciolò un’ultima volta e infine si esaurì. La luce della luna scivolò tra le fessure delle imposte, disegnando pallide linee oblique sul volto di suo padre. Catelyn poteva udire il lento, difficile ritmo del respiro di lord Hoster, l’eterno scorrere dei grandi fiumi, i deboli accordi di una canzone d’amore salire dal cortile della fortezza. Note dolci, tristi. “Ho amato una fanciulla rossa come l’autunno” cantava Rymund della Rima “con il tramonto nei capelli.”

Catelyn non si rese nemmeno conto che i canti avevano avuto fine. Erano passate molte ore, eppure parvero niente più che un battito di ciglia quando Brienne venne a bussare alla porta.

«Mia lady,» annunciò la donna guerriera «la mezzanotte è qui.»

“La mezzanotte è qui, padre” Catelyn lasciò andare la sua mano. “E io devo fare il mio dovere.”

Il carceriere era un piccolo uomo furtivo, con il naso costellato di vene e capillari scoppiati. Lo trovarono ingobbito su un boccale di birra e sui resti di uno sformato di piccione, ben più che alticcio. Lo guardò di traverso con espressione sospettosa.

«Chiedo il tuo perdono, milady, ma lord Edmure dice che non lo deve vedere nessuno lo Sterminatore di re senza permesso scritto, con tanto di sigillo.»

«Lord Edmure? Mio padre è morto e qualcuno si è dimenticato di dirmelo?»

«No, milady» il carceriere si passò la lingua sulle labbra. «Non che mi risulta.»

«Tu aprirai questa cella. Oppure verrai con me fino al solarium di lord Hoster e gli dirai che hai ritenuto opportuno respingermi.»

Gli occhi dell’uomo si abbassarono: «Come milady comanda».

Le chiavi erano appese alla cintura di cuoio borchiato che aveva attorno alla vita. Continuò a mugugnare a denti stretti nel selezionare quella che apriva la porta della cella dello Sterminatore di re.

«Torna alla tua birra e sparisci» ordinò Catelyn. C’era una lanterna appesa al basso soffitto. Lei la prese e alzò la fiamma. «Brienne, che nessuno venga a disturbarci.»

Brienne annuì, prendendo posizione appena fuori della cella, con la mano sul pomello dell’elsa della spada. «Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, mia lady, non hai che da chiamare.»

Catelyn superò la pesante porta di legno rinforzata di ferro e penetrò nelle fetide tenebre. Queste erano le viscere nere di Delta delle Acque, e come tali puzzavano. Paglia secca scricchiolò sotto i suoi piedi. Chiazze di salnitro coloravano le pareti. Da dietro la pietra, veniva il debole fruscio della corrente del Tumblestone. In un angolo della cella, l’alone della lampada rivelò un secchio traboccante di feci. E nell’angolo opposto, una forma raggomitolata su se stessa. La caraffa di vino si trovava ancora vicino alla porta, intonsa. “Questa volta il mio trucco non ha fatto molta strada. Forse dovrei essere grata che non se lo sia bevuto il carceriere, il mio vino.”

In un tintinnio di catene, Jaime Lannister sollevò le mani a coprirsi il volto. «Lady Stark» la sua voce, usata a stento, era una specie di rantolo. «Temo di non essere in condizioni di riceverti.»

«Guardami, cavaliere.»

«La luce mi fa male agli occhi. Un momento, cortesemente.»

Era dalla sua cattura al bosco dei Sussurri che a Jaime Lannister non veniva concesso l’uso del rasoio. Una barba arruffata copriva il suo volto, un tempo così simile a quello della regina Cersei. Scintillando come oro nella luce della lanterna, barba e baffi incolti lo facevano apparire come una sorta di belva bionda, splendida anche se incatenata. I capelli lerci gli ricadevano sulle spalle in un groviglio attorcigliato. Gli abiti gli si erano sbrindellati addosso. Il suo viso era pallido, scavato… Ma anche così, la poderosa bellezza di quell’uomo rimaneva innegabile.

«Vedo che non hai gradito il vino che ti ho inviato.»

«Una simile improvvisa generosità non può che apparire sospetta.»

«Posso avere la tua testa in qualsiasi momento lo desideri. Perché dovrei avvelenarti?»

«La morte per avvelenamento può apparire come un fatto naturale. Mentre sarebbe un po’ più difficile dichiarare che la testa mi si è semplicemente staccata dalle spalle» Jaime la osservò dal pavimento lurido, i suoi occhi verdi, da felino, lentamente si abituavano alla luce. «Ti inviterei ad accomodarti, ma tuo fratello si è dimenticato di fornirmi una sedia.»

«Non ho problemi a rimanere in piedi.»

«Sul serio? Hai un aspetto terribile, devo dire. Ma forse è solo a causa della luce qui dentro.» Era incatenato ai polsi e alle caviglie, i bracciali uniti gli uni agli altri. Stare in piedi o stare sdraiato gli era difficile, sgradevole. Le catene alle caviglie erano imbullonate a una parete. «Che te ne pare dei miei braccialetti? Forse vuoi aggiungerne altri? O forse vuoi che li faccia tintinnare un altro po’?»

«Sei tu l’unico responsabile di questo trattamento» gli ricordò Catelyn. «Ti avevamo concesso il privilegio di una cella in una torre, un luogo consono al tuo stato nobiliare. Tu ci hai ripagato cercando di fuggire.»

«Una cella è una cella. Ce ne sono alcune, nei sotterranei di Castel Granito, che fanno apparire questa come un giardino soleggiato. Chissà, forse un giorno riuscirò a mostrartele.»

“Se ha paura, lo nasconde molto bene.” «Un uomo incatenato mani e piedi farebbe bene a usare un linguaggio più cortese, cavaliere. Non sono venuta qui per essere minacciata.»

«No? Allora forse è per trarre piacere da me. Si dice che le vedove si stanchino dei loro letti vuoti, dopo qualche tempo. Noi della Guardia reale giuriamo solennemente di non sposarci mai. Immagino, però, di essere in grado di renderti il servizio di cui necessiti. Perché non versi un po’ di quel buon vino, lady Catelyn, e poi scivoli fuori dal tuo bel vestito? Vediamo se me la sento.»