Infine si mise in capo la corona, un anello di gelido ferro, sottile come il dito di un uomo, con incastonati spessi bulbi di diamanti neri e pepite d’oro. Era brutta, distorta, ma non c’era niente da fare. Mikken giaceva sepolto oltre il fossato, e il nuovo fabbro se la cavava a stento con chiodi e ferri di cavallo. In fondo, quella era soltanto la corona di un principe, si consolò Theon. Una volta che fosse stato re, ne avrebbe portata una molto più bella.
Reek era in attesa fuori della porta, insieme a Urzen e a Kromm. Theon si mise in mezzo a loro. Negli ultimi tempi, si portava dietro le guardie dovunque andasse, perfino al cesso. Grande Inverno lo voleva morto. La notte stessa in cui erano rientrati dal fiume Acorn, Gelmarr il Tetro era caduto da certe scale di pietra e si era spezzato la schiena. Il giorno dopo, Aggar era stato trovato con la gola squarciata da un orecchio all’altro. Gynir Nasorosso era teso al punto da evitare il vino e dormire in maglia di ferro, elmo e corazza. Si teneva anche vicino il cane più rumoroso del canile, in modo da essere svegliato all’istante se qualcuno si avvicinava troppo a dove dormiva. Un giorno, l’intero castello si era destato al suono del suo abbaiare isterico. Il cagnolino fetente correva su e giù intorno alla cisterna. Nasorosso galleggiava a faccia in sotto dentro di essa, morto da un pezzo.
Theon non poteva permettere che quei delitti rimanessero impuniti. Farlen, il mastro dei canili, era sospettabile come chiunque altro. Così Theon allestì una specie di tribunale, giudicò Farlen colpevole e lo condannò a morte. Ma perfino quello andò storto. «Lord Eddard le eseguiva sempre lui, le sentenze» disse il mastro nel mettere la testa sul ceppo. Theon fu costretto a occuparsene di persona, altrimenti sarebbe apparso un debole. Solo che aveva le mani sudate e la presa sull’impugnatura della spada gli scivolò a metà del colpo. La lama cadde tra le spalle di Farlen, ci vollero tre altri fendenti perché si aprisse la strada tra muscoli, tendini e ossa, staccando finalmente la testa dal corpo. Più tardi, ricordando tutte le volte che lui e Farlen si erano seduti insieme davanti a una coppa di vino a parlare di cani e di caccia, Theon si era sentito male. “Non ho avuto scelta” avrebbe voluto urlare al cadavere decapitato. “Gli uomini di ferro non sanno tenere i segreti, alcuni di noi sono morti e qualcuno doveva pagare.” Avrebbe solo voluto ucciderlo in modo più pulito. Ned Stark non aveva mai avuto bisogno di più d’un colpo per decapitare un uomo.
Dopo la morte di Farlen, le uccisioni erano cessate, ma i suoi uomini continuavano comunque a rimanere tetri e ansiosi. «Non temono nessun avversario in campo aperto» gli aveva detto Lorren il Nero. «Ma vivere in mezzo a nemici è un’altra cosa. Non sai mai se la lavandaia vuole baciarti o ucciderti. Non sai mai se il ragazzino delle cucine ti versa vino o veleno. Dobbiamo andare via da questo posto.»
«Io sono il principe di Grande Inverno!» gli aveva gridato Theon. «Questo è il mio scranno, e nessun uomo mi farà mai rinunciare a esso. Né alcuna donna!»
“Asha. È lei a scavarmi la fossa. La mia cara sorellina… che gli Estranei possano fottersela con una spada.” Asha lo voleva morto, era chiaro, in modo da poter prendere il suo posto quale erede di loro padre. Per questo lo aveva lasciato lì a languire, ignorando tutti quegli ordini urgenti che lui le aveva inviato.
La trovò sbracata nell’alto scranno degli Stark, che strappava pezzi di cappone con le mani. La sala riecheggiava delle voci dei suoi uomini, intenti a scambiarsi storie di guerra con gli uomini di Theon, tutti mezzi ubriachi. Il caos era talmente assordante che il suo ingresso venne ignorato.
«Dove sono gli altri?» domandò a Reek. Non c’erano più di cinquanta uomini a ingozzarsi seduti dietro i tavoli a cavalletto. La Sala Grande di Grande Inverno poteva ospitarne dieci volte tanti.
«La compagnia è tutta qua, milord.»
«Tutta qua?… ma quanti uomini ha portato Asha?»
«Venti, se conto bene.»
Theon Greyjoy marciò fino a sua sorella. Asha stava ridendo alla battuta di uno dei guerrieri. Si interruppe nel vederlo avanzare.
«Guarda un po’ chi c’è» gettò un osso a uno dei cani che si aggiravano per la sala. «Il principe di Grande Inverno…» sotto il gran naso da uccello da preda, le sue labbra carnose si distorsero in un sogghigno di scherno «o forse è il principe degli idioti?»
«L’invidia peggiore si fa donna.»
Asha si leccò le dita unte di grasso. Una ciocca di capelli neri le ricadde sugli occhi. I suoi uomini stavano urlando, chiedendo pane e pancetta. Erano in pochi, ma facevano un baccano d’inferno.
«Invidia, Theon?»
«Come altro vorresti chiamarla? Con trenta uomini, ho catturato Grande Inverno in una sola notte. A te ne sono serviti mille e un intero ciclo di luna per prendere Deepwood Motte.»
«Sai com’è, fratello, non sono certo il grande guerriero che sei tu.» Mandò giù un mezzo corno di birra e si pulì le labbra con il dorso della mano. «Ho visto le teste mozzate sul portale. Dài, dimmi la verità, quale dei due ha combattuto con maggior ferocia. …lo storpio o l’infante?»
Theon Greyjoy sentì il sangue andargli alla testa. Non provava alcuna gioia per quelle teste, non più di quanta ne avesse provata sventolando i cadaveri decapitati dei bambini davanti a tutto il castello. La Vecchia Nan era rimasta come impietrita, la sua bocca sdentata si apriva e si chiudeva senza suono. Farlen gli si era gettato addosso ringhiando come uno dei suoi mastini. Urzen e Cadwyl lo avevano pestato fino a fargli perdere i sensi con le aste delle loro lance. “Come si è potuto arrivare a questo?…” Aveva pensato mentre stava immobile davanti ai due piccoli corpi tempestati dalle mosche.
Maestro Luwin era stato l’unico con abbastanza stomaco da avvicinarsi. Il volto di pietra, il piccolo uomo grigio lo aveva implorato di lasciargli ricucire le teste mozzate sui cadaveri dei due ragazzini, in modo che potessero riposare nelle cripte, insieme a tutti gli altri Stark defunti.
«No» aveva risposto Theon. «Non nelle cripte.»
«Ma perché no, mio signore? Adesso, certo non possono farti più del male. È là che devono stare. Tutte le ossa degli Stark…»
«Ho detto no.»
Aveva bisogno che le teste restassero sulle mura, ma quello stesso giorno aveva bruciato i piccoli corpi decapitati, vestiti di tutto punto. Dopodiché, si era inginocchiato tra le ceneri, recuperando un’informe massa di argento e di smalto nero liquefatta dal calore. Tutto quello che restava del fermaglio a forma di testa di lupo che un tempo era appartenuto a Bran. Ancora lo conservava.
«Sono stato generoso verso Bran e Rickon» disse ad Asha. «Hanno deciso loro d’incontrare quel destino.»
«Tutti noi decidiamo quale destino incontrare, fratellino.»
La sua pazienza si era esaurita: «Come ti aspetti che io possa tenere Grande Inverno con venti uomini?».
«Con dieci uomini» corresse Asha. «Gli altri ritornano con me. Tu certo non vorrai che la tua povera sorellina affronti i pericoli della foresta senza un’adeguata scorta, non è vero? Ci sono meta-lupi in agguato nell’oscurità.» Si alzò dal grande scranno di pietra e si mise in piedi. «Forza, andiamo da qualche parte dove parlare in privato.»