Выбрать главу

Re Robert, il ventre squarciato, sedeva con le viscere sparse sul tavolo. Eddard Stark era accanto a lui, senza testa. Cadaveri si allineavano sulle panche. Putrida carne grigiastra che si disfaceva dalle loro ossa mentre sollevavano le coppe. Viscidi torrenti di vermi si contorcevano dentro e fuori dalle loro cavità orbitali svuotate. Lui li conosceva, tutti quanti: Jory Cassel e Fat Tom, Porther e Cayn e Hullen mastro dei cavalli, e tutti gli altri che erano andati a sud, ad Approdo del Re, per non fare più ritorno. Mikken il fabbro e Chayle il septon sedevano insieme, l’uno grondante sangue, l’altro acqua. Benfred Tallhart e le sue Lepri selvagge occupavano un tavolo tutto loro. C’era anche la moglie del mugnaio, e Farlen, e addirittura il bruto che Theon aveva abbattuto con una freccia nella foresta del lupo quando aveva salvato la vita a Bran.

C’erano anche facce che non aveva mai visto in vita, ma solo scolpite nella pietra. La fanciulla snella e triste, con la corona di pallide rose blu e l’abito inzuppato di sangue, non poteva essere che Lyanna. Suo fratello Brandon era in piedi accanto a lei, il lord loro padre, Rickard Stark, dietro di loro. Lungo i muri, figure indistinte si muovevano tra le ombre, spettri lividi dai lunghi volti tetri. La loro vista fece affondare la lama della paura nel cuore di Theon. Le grandi porte si spalancarono con un boato, il vento gelido soffiò nella sala. Dalle tenebre della notte, emerse Robb Stark. Vento grigio camminava accanto a lui, gli occhi in fiamme. Uomo e lupo entrambi sanguinavano da cento orribili ferite.

Theon si svegliò urlando. Wex si spaventò al punto da scappare fuori dalla stanza, nudo come un verme. Le sue guardie fecero irruzione, con le spade sguainate. Lui ordinò loro di far venire il maestro. Quando Luwin si presentò, arruffato e assonnato, una coppa di vino era riuscita a ridurre il tremito che scuoteva le mani di Theon, e lui si vergognava del panico che aveva provato.

«Un sogno» mugugnò. «Solo quello. Non significa nulla.»

«Nulla» concordò solennemente Luwin.

Il sapiente gli lasciò una pozione per dormire, ma Theon la versò nella latrina un momento dopo che il maestro se ne fu andato. Luwin era un maestro, ma era anche un uomo e l’uomo non aveva alcun amore per lui. “Vuole che dorma, certo… che dorma e che non mi svegli più. Lo vorrebbe quanto lo vuole Asha.”

Mandò a chiamare Kyra, chiuse la porta con un calcio, le si mise sopra e scopò la ragazzina con una furia che nemmeno sapeva potesse esistere dentro di sé. Quando ebbe finito, Kyra stava singhiozzando, la gola e i seni coperti di lividi e tracce di morsi. Theon la scaraventò fuori dal letto e le gettò una coperta.

«Vattene.»

Ma nemmeno allora fu in grado di dormire.

All’alba, si vestì e uscì all’esterno, sul camminamento delle mura. Un duro vento autunnale soffiava tra le fortificazioni. Gli arrossò le guance, gli fece lacrimare gli occhi. Osservò la foresta sotto di lui passare dal grigio al verde mentre la luce del giorno dilagava sugli alberi silenziosi. Alla sua sinistra, le cime delle torri si levavano oltre le mura esterne, mentre i tetti erano illuminati dal sole sorgente. Le foglie rosse dell’albero-diga parevano un vortice di fiamme nel verde del parco degli dei. “Il bosco degli Stark, il castello degli Stark, la spada degli Stark, gli dei degli Stark. Questo è il loro luogo, non il mio. Io sono un Greyjoy di Pyke delle isole di Ferro, nato per dipingere una piovra sul mio scudo e per navigare il grande mare salato. Avrei dovuto andare con Asha.”

Sui rostri di ferro sopra il corpo di guardia, le teste mozzate aspettavano.

Theon le osservò in silenzio, mentre il vento gli afferrava il mantello con piccole mani fantasma. I figli del mugnaio avevano la stessa età di Bran e Rickon, la stessa corporatura, lo stesso colorito. Una volta che Reek aveva scuoiato le facce e immerso le teste nel catrame, non era stato difficile credere di riconoscere lineamenti noti in quei distorti grumi di carne putrefatta. La gente era così idiota…

“Se avessi detto loro che erano teste d’ariete, avrebbero visto le corna.”

SANSA

Era tutta la mattina che cantavano nel tempio, fin da quando la notizia dell’avvistamento delle vele di Stannis aveva raggiunto la Fortezza Rossa. Il suono delle voci si andava a mescolare con il nitrire dei cavalli, il clangore dell’acciaio, lo stridere delle cerniere delle grandi porte di bronzo, generando un concerto strano e sinistro. “Nel tempio, invocano la misericordia della Madre, ma sulle mura è il Guerriero che pregano, e lo pregano in silenzio.” Sansa ricordò quello che diceva septa Mordane: il Guerriero e la Madre non erano altro che due volti del medesimo grande dio. “Ma se ce n’è soltanto uno, quali preghiere verranno ascoltate?”

Ser Meryn Trant tratteneva il purosangue di Joffrey, in modo da permettere al re di montare in sella. Sia il ragazzo sia il suo destriero erano protetti da una maglia di ferro dorata e da un’armatura smaltata color porpora, mentre teste di leone ornavano gli elmi di entrambi. Ogni volta che Joffrey si muoveva, la pallida luce del sole creava barbagli dorati e purpurei. “Fulgido, splendente e vuoto” non poté fare a meno di pensare Sansa.

Il Folletto montava uno stallone fulvo, bardato per la battaglia in modo più sobrio di quello del re. Sembrava un bambino con indosso gli abiti del padre, ma nell’ascia da battaglia sotto lo scudo non c’era nulla di fanciullesco. Al suo fianco c’era ser Mandon Moore, l’acciaio bianco della sua armatura mandava scintillii glaciali. Quando Tyrion si accorse di Sansa fece voltare il cavallo.

«Mia lady» apostrofò. «Sono certo che mia sorella ti ha chiesto di unirti alle altre nobili signore nel Fortino di Maegor.»

«Lo ha fatto, mio lord, ma re Joffrey ha voluto che io lo guardassi partire. Intendo comunque visitare anch’io il tempio, per pregare.»

«Eviterò di chiederti per chi.» La bocca di Tyrion assunse una piega distorta. Se si trattava di un sorriso, era il sorriso più strano che Sansa avesse mai visto. «Questa giornata potrebbe cambiare ogni cosa. Sia per te sia per la Casa Lannister. Ora che ci penso, avrei dovuto mandarti via insieme a Tommen. Per quanto, sarai al sicuro anche nel Fortino di Maegor, anche se non…»

«Sansa!» Joffrey l’aveva vista, il suo richiamo quasi infantile risuonò nella piazza d’armi. «Sansa, qui!»

“Mi chiama come se fossi un cane.”

«Sua Maestà ha bisogno di te» osservò Tyrion. «Riprenderemo la conversazione dopo la battaglia, se gli dei lo permetteranno.»

Sansa si destreggiò tra le file di lancieri in mantelli dorati, mentre Joffrey le faceva cenno di avvicinarsi.

«Presto sarà battaglia» affermò il re. «Lo dicono tutti.»

«Che gli dei abbiano misericordia di tutti noi.»

«È mio zio Stannis quello che ha bisogno di misericordia, ma da me non ne avrà alcuna.» Joffrey sfoderò la spada. Il pomo dell’elsa era un rubino a forma di cuore stretto tra le fauci di un leone. C’erano tre profonde scanalature incise nell’acciaio. «Il mio nuovo acciaio: Divoratrice di cuori.»

Un tempo, Joffrey aveva avuto una spada chiamata Dente di leone. Arya gliel’aveva strappata di mano e l’aveva gettata nel fiume. “Spero che Stannis faccia fare la stessa fine anche a questa.” «Splendidamente istoriata, Maestà.»

«Benedici la mia lama con un bacio» tese Divoratrice di cuori verso di lei. «Avanti, baciala.»

A sentirlo, sembrava proprio uno stupido ragazzino. Sansa sfiorò il metallo con le labbra. Avrebbe baciato un’infinità di spade, piuttosto che baciare Joffrey. Quel gesto, comunque, parve soddisfarlo.

«Al mio ritorno, la bacerai di nuovo» disse rinfoderando la lama con un gesto esagerato «e gusterai il sangue di mio zio.»

“Solo se uno della Guardia reale lo ucciderà per te.” Tre cavalieri delle spade bianche avrebbero accompagnato Joffrey e Tyrion: ser Meryn, ser Mandon e ser Osmund Kettleblack. «Sarai tu a guidare i tuoi cavalieri in battaglia?» chiese Sansa, piena di speranza.