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Le due guardie alla porta indossavano elmi a cresta di leone e i mantelli porpora della Casa Lannister, Sansa però sapeva bene che erano soltanto mercenari addobbati per l’occasione. Ce n’era un altro seduto alla base delle scale. Una vera guardia sarebbe stata in piedi, non sbracata sui gradini con l’alabarda di traverso sulle ginocchia. Quando le vide, si alzò e aprì la porta per lasciarle entrare.

La Sala da Ballo della regina non era ampia nemmeno un decimo della Sala Grande del castello, ed era la metà della Sala Piccola nella Torre del Primo Cavaliere. In ogni caso, poteva ospitare cento persone, e la sua raffinatezza compensava le scarse dimensioni. Tutte le nicchie erano occupate da specchi istoriati in argento, che raddoppiavano così la luce delle torce. Le pareti erano rivestite con pannelli di legno finemente lavorato. Sul pavimento erano stese stuoie profumate. Dalla galleria superiore, scendevano soavi melodie di archi e fiati. Una fila di finestre a sesto acuto si apriva nel muro sud, le aperture chiuse da pesanti tendaggi. Gli spessi velluti non permettevano il passaggio di alcuna luce, assorbendo i suoni sia degli inni sia della guerra. “Non serve a niente” sapeva Sansa. “La guerra è con noi lo stesso.”

Quasi tutte le donne d’alto lignaggio della città erano sedute ai lunghi tavoli a cavalletto insieme a un pugno di uomini molto vecchi e di ragazzi molto giovani. Donne che erano madri, mogli, figlie, sorelle. I loro uomini erano andati a combattere lord Stannis, e molti di loro non avrebbero fatto ritorno. Questa consapevolezza rendeva l’atmosfera pesante. Quale promessa sposa di Joffrey, a Sansa spettò il posto d’onore alla destra della regina. Nel salire i pochi gradini della piattaforma regale, notò un uomo in piedi tra le ombre che incombevano sulla parete al fondo della sala. Indossava una lunga cotta di maglia nera, aveva la spada in pugno: era Ghiaccio, la grande spada di lord Eddard, alta quasi quanto quell’uomo. La teneva con la punta appoggiata a terra, le dure dita ossute avvolte sulla guardia ai lati dell’impugnatura. Sansa sentì il respiro rimanerle impigliato in gola. Ser Ilyn Payne parve percepire il suo sguardo. Voltò verso di lei il suo volto scarno e butterato.

«E lui che cosa ci fa qui?» domandò Sansa a Osfryd Kettleblack, capitano delle nuove guardie porpora della regina.

Osfryd sogghignò: «Sua Maestà ritiene di aver bisogno di lui prima che la serata si sia conclusa».

Ser Ilyn Payne era la Giustizia del re. Ed esisteva un unico genere di servizio che lui espletava. “Quale testa vuole?”

«Che tutti si alzino per sua Maestà» annunciò l’attendente reale. «Cersei della Casa Lannister, regina reggente e protettrice del reame.»

L’abito di Cersei era di lino, bianco come la neve, bianco come le cappe della Guardia reale. Sulle lunghe maniche tagliate a losanga scintillava una fodera di satin dorato. Masse di splendidi capelli biondi le ricadevano in spessi boccoli sulle spalle nude. Attorno al collo scultoreo, portava una collana di diamanti e smeraldi. Il bianco la faceva apparire stranamente innocente, quasi virginale, c’erano però tracce di colore sulle sue guance.

«Accomodatevi» disse la regina dopo essere ascesa alla piattaforma reale. «E siate i benvenuti.»

Osfryd Kettleblack si occupò del suo scranno, aiutandola a sedersi. Un paggio fece lo stesso per Sansa.

«Ti trovo pallida, Sansa» osservò Cersei. «Il tuo fiore rosso sta ancora sbocciando?»

«Sì.»

«Risvolto consono alla situazione. Uomini sanguinano là fuori, tu sanguini qui dentro.» La regina fece cenno che venisse servita la prima portata.

«Perché ser Ilyn è qui?» chiese Sansa.

«Per occuparsi dei traditori» la regina lanciò una breve occhiata al boia muto «e per proteggerci in caso di necessità. Prima di diventare boia, era cavaliere.» Con il cucchiaio, indicò le alte porte di legno in fondo alla sala, chiuse e sbarrate. «Quando le asce le sfonderanno, sarai grata della sua presenza.»

“Sarei più grata se si trattasse del Mastino.” Brutale come era, Sansa non credeva che Sandor Clegane avrebbe mai permesso che le venisse fatto alcun male. «Le tue guardie non ci proteggeranno?»

«E chi proteggerà noi dalle mie guardie?» La regina scoccò a Osfryd un’occhiata obliqua. «I mercenari leali sono rari quanto le puttane vergini. Se la battaglia dovesse essere perduta, le mie guardie finiranno con l’inciampare nei loro mantelli cremisi, tanto avranno fretta di strapparseli di dosso. Dopodiché ruberanno tutto quello su cui riusciranno a mettere le mani e si daranno alla fuga. E con loro i servi, le lavandaie e gli stallieri, tutti desiderosi solo di salvare la loro inutile pelle. Hai una sia pure vaga idea di che cosa accade quando una città viene saccheggiata, Sansa? No, vero? Tutto quello che sai della vita, lo hai imparato dai cantastorie, e le canzoni sui saccheggi sono molto poche.»

«I veri cavalieri non farebbero mai del male a donne e bambini.» Parole che a Sansa suonarono prive di senso nel momento stesso in cui le pronunciava.

«I veri cavalieri» la regina parve trovare quell’espressione molto divertente. «Hai ragione, non c’è dubbio. Allora, perché non mangi il tuo brodo da brava bambina, e resti ad aspettare che Symeon Occhi di stella e il principe Aemon, Cavaliere del drago, vengano a salvarti, dolcezza? Sono certa che ormai non ci vorrà molto.»

DAVOS

La baia delle Acque nere era agitata e ostile, la superficie mossa ovunque da creste di spuma bianca. La Beta nera avanzò con l’alta marea, le vele che schioccavano a ogni giro di vento tendendo il sartiame. Fantasma e Lady Marya navigavano accanto a essa, con meno di venti metri tra uno scafo e l’altro. I suoi figli sapevano come procedere allineati, il che riempì Davos d’orgoglio.

Da un lato all’altro del mare, corni da guerra continuavano a tuonare. Lamenti gutturali e profondi, simili ai richiami di mostruosi serpenti, ripetuti da una nave all’altra.

«Ammainare le vele» comandò Davos. «Giù il boma. Rematori: tenetevi pronti.»

Matthos, suo figlio, ripeté gli ordini. Il ponte della Beta nera parve entrare in ebollizione mentre gli uomini correvano ai loro posti, facendosi largo tra i soldati che, ovunque si trovassero, sembravano essere sempre nel mezzo. Per evitare di esporre le vele al tiro degli sputafuoco e degli scorpioni di Approdo del Re, ser Imry aveva deciso che sarebbero entrari nel fiume spinti solo dai remi.

Molto spostata a sud est, Davos vedeva chiaramente la Furia, le cui vele mandavano barbagli dorati mentre venivano ammainate, con il cervo incoronato dei Baratheon impresso nella tela. Era dai suoi ponti che, sedici anni prima, Stannis Baratheon aveva ordinato l’attacco alla Roccia del Drago. Questa volta, invece, aveva scelto di trovarsi alla testa del suo esercito, lasciando la Furia e il comando della flotta a ser Imry, fratello di sua moglie, che a Capo Tempesta aveva deciso di sposare la causa del Signore della Luce insieme a lord Alester e a tutti gli altri Florent.

Davos conosceva la Furia bene quanto le sue altre navi. Sopra i trecento remi, si allargava una tolda interamente occupata da scorpioni e munita, a prua e a poppa, da catapulte abbastanza grosse da scaraventare interi barili di pece incendiata. Una nave formidabile, e molto rapida, anche se i cavalieri con le loro armature e i soldati che ser Imry aveva ammassato lungo tutto il ponte erano d’inevitabile detrimento alla sua velocità.

I corni da guerra suonarono di nuovo, altri ordini provenienti dalla Furia. Davos percepì un formicolio alle dita fantasma. «Fuori i remi!» gridò. «Allineare!»

La Orgoglio di Driftmark, lo scafo argenteo di lord Velaryon, venne a posizionarsi a babordo della Fantasma. Anche la Balda risata stava piazzandosi. I remi della Harridan invece erano appena entrati in acqua, e la Cavallo di mare aveva dei problemi a calare il boma. Davos guardò a poppa. Sì, laggiù, molto spostata a sud; quella poteva essere solamente la Pescespada, come al solito di coda. Era uno scafo da duecento remi, dotato del più grosso ariete di sfondamento dell’intera flotta, Davos però continuava a nutrire seri dubbi sul suo capitano.