Poteva udire i soldati che si scambiavano grida d’incoraggiamento da una nave all’altra. Da quando la flotta era salpata da Capo Tempesta, erano stati poco più che una zavorra. Adesso erano ansiosi di assaltare il nemico, certi della vittoria. Una certezza condivisa anche dal loro ammiraglio, l’Alto lord comandante ser Imry Florent.
Tre giorni prima, ser Imry aveva chiamato a raccolta tutti i suoi capitani per un concilio di guerra a bordo della Furia, ancorata alla foce del Wendwater, in modo da dare le direttive strategiche. A Davos e ai suoi figli era stato assegnato un posto nella seconda linea di battaglia, sul pericoloso lato di babordo. «Un posto d’onore» aveva commentato Allard, grato che gli fosse data la possibilità di provare il suo valore. «Un posto di pericolo» aveva controbattuto Davos. Ma tutti i suoi figli, perfino il giovane Maric, gli avevano lanciato occhiate di compatimento. “Il Cavaliere delle cipolle è diventato una donnicciola” Davos poteva quasi percepire i loro pensieri. “In cuor suo, si sente ancora un contrabbandiere. ”
Ebbene, quella era una verità, di cui lui non si sarebbe affatto scusato. Seaworth, degno del mare, aveva un suono giustamente nobiliare, ma giù nel profondo lui era ancora Davos del Fondo delle Pulci, che ora stava facendo ritorno alla sua città sulle tre alte colline. Si intendeva di navi, vele e approdi forse più di qualsiasi altro uomo dei Sette Regni, e aveva affrontato tanti, troppi disperati combattimenti alla spada su tolde viscide. Ma una battaglia di questo genere lo trovava vergine, pieno di nervosismo, di paura. I contrabbandieri non suonano corni, non innalzano vessilli. Quando sentono odore di pericolo, issano le vele al vento e fuggono più veloci del vento.
Se lui fosse stato l’ammiraglio, avrebbe fatto tutto diversamente. Per cominciare, invece di caricare a testa bassa con il grosso della flotta, avrebbe inviato alcune navi più veloci a esplorare il fiume a monte, cercando d’individuare che cosa li aspettava. Lo aveva suggerito a ser Imry, ma dal lord ammiraglio aveva ottenuto solo un cortese ringraziamento, e uno sguardo niente affatto cortese. “Chi sarebbe questo codardo del volgo?” dicevano i suoi occhi. “Non sarà forse quello che si è comprato il cavalierato con una cipolla?”
Avendo a disposizione il quadruplo delle navi del re ragazzino, ser Imry non vedeva alcuna necessità di essere cauto né di adottare tattiche diversive. Aveva suddiviso la flotta in dieci linee di battaglia, ognuna formata da venti navi. Le prime due linee avrebbero risalito il fiume, ingaggiando un combattimento e quindi distruggendo la piccola flotta di Joffrey — i “giocattoli del bamboccio”, li aveva definiti ser Imry — grazie alla perizia dei suoi nobili capitani. Le navi a seguire avrebbero sbarcato compagnie di arcieri e picchieri proprio sotto le mura della città, e solo a quel punto sarebbero andate a gettarsi nella mischia sul fiume. Dopodiché, le navi più piccole e più lente, di retroguardia, avrebbero traghettato il grosso dell’esercito di Stannis fino alla riva nord sotto la protezione della squadra di Salladhor Saan. Quindi, Saan e i suoi pirati lyseniani sarebbero rimasti a incrociare nella baia qualora i Lannister avessero altre navi celate lungo la costa, pronte ad attaccarli alle spalle.
In realtà, la fretta di ser Imry aveva una sua ragione d’essere. Nella traversata da Capo Tempesta, i venti non erano stati favorevoli. Avevano perduto due chiatte sulle rocce della baia dei Naufragi lo stesso giorno in cui erano salpati, pessimo inizio. Poi, una delle galee di Myr era andata a incagliarsi nei Passaggi di Tarth. Nell’entrare nel Condotto, una tempesta si era abbattuta su di loro, disseminando la flotta per metà del mare Stretto. Tranne una dozzina di navi, tutte le altre erano riuscite a raggrupparsi al riparo delle conformazioni rocciose dell’Uncino di Mass, nelle correnti più tranquille della baia delle Acque nere, ma molto tempo era comunque andato perduto.
Stannis aveva raggiunto il fiume delle Rapide nere giorni prima. La Strada del Re si sviluppava da Capo Tempesta ad Approdo del Re pressoché in linea retta, la via di terra era molto più breve di quella del mare. Inoltre, il suo esercito era quasi tutto a cavallo: circa ventimila tra cavalieri, cavalleggeri e mercenari, involontario retaggio che Renly aveva lasciato al fratello. Stannis aveva fatto in fretta, certo, ma destrieri pesantemente corazzati e lance da quattro metri potevano comunque ben poco contro le acque profonde del fiume delle Rapide nere e le alte mura di pietra della città. Ora Stannis era accampato con i suoi lord sulla riva sud, senza dubbio fremendo d’impazienza, chiedendosi che fine avessero fatto ser Imry e la sua flotta.
Due giorni prima, al largo della Rocca di Merlig, avevano avvistato una mezza dozzina di pescherecci. Alla vista della squadra navale, i pescatori avevano cercato di fuggire, ma non erano andati lontano: erano stati intercettati l’uno dopo l’altro e abbordati. «Un piccolo assaggio di vittoria è quello che ci vuole per stuzzicare l’appetito prima della battaglia.» Aveva dichiarato ser Imry. A Davos, invece, interessava molto di più quello che i prigionieri avevano da dire riguardo alle difese di Approdo del Re. Il Folletto si era dato da fare per costruire uno sbarramento per chiudere la foce del fiume, i pescatori però avevano fornito informazioni contrastanti riguardo al fatto che il lavoro fosse stato completato o meno. Davos si ritrovò a desiderare che lo fosse. Se il fiume fosse stato inaccessibile, allora ser Imry non avrebbe avuto altra scelta se non aspettare e ricorrere a un piano alternativo.
Il mare continuava a essere una cacofonia di suoni: grida e richiami, corni da guerra e rulli di tamburi e squilli di tromba, i tonfi del legno sull’acqua mentre migliaia di remi si sollevavano e tornavano a immergersi.
«State allineati!» urlò Davos.
Una raffica di vento premette contro il suo vecchio mantello verde. La tunica di cuoio e il mezzo elmo ai suoi piedi costituivano tutta la sua armatura. In mare, credeva fermamente Davos, l’acciaio pesante poteva salvare la vita di un uomo ma poteva anche distruggerla. Una prospettiva che ser Imry e i suoi capitani d’alto lignaggio non condividevano: quando percorrevano le rispettive tolde, le loro figure scintillavano.
Anche la Harridan e Cavallo di mare erano arrivate in posizione, con la Artiglio rosso di lord Celtigar dietro di loro. A babordo della Lady Marya di Allard, c’erano le tre galee che Stannis aveva sequestrato allo sfortunato lord Sunglass, la Pietà, la Preghiera e la Devozione, con i loro ponti, brulicanti di arcieri. Perfino la Pescespada stava avvicinandosi, beccheggiando e rollando sui marosi sotto la spinta combinata delle vele e dei remi. “Uno scafo con così tanti remi dovrebbe essere molto più veloce” rifletté Davos, pieno di disapprovazione. “È quell’ariete di prora… troppo pesante. Altera tutto l’assetto della nave.”
Il vento soffiava a raffiche da sud, ma navigando a remi, questo non aveva importanza. Loro entravano con l’alta marea mentre i Lannister avevano la corrente del fiume dalla loro. Là dove andava a gettarsi nel mare, il fiume delle Rapide nere fluiva rapido e possente. Il primo urto sarebbe stato a favore dell’avversario, nessun dubbio. “Siamo degli idioti ad affrontarli sulle Rapide nere” Davos ne era convinto. In mare aperto, le loro navi allineate sarebbero state in grado di circondare la flotta nemica da ambo i lati, chiudendola in una morsa letale, mentre negli spazi ristretti del fiume, il numero e la potenza delle navi di ser Imry avrebbero contato di meno. Non avrebbero potuto schierare più di venti navi affiancate, perché c’era il rischio che i remi finissero per urtarsi gli uni contro gli altri e gli scafi entrassero in collisione.