Oltre la linea delle navi da guerra, profili neri contro il cielo giallastro, Davos poteva vedere la Fortezza Rossa sulla sommità dell’alta collina di Aegon, la foce del fiume delle Rapide nere che si apriva sotto di essa. Dall’altra parte, la sponda meridionale era nera di uomini e di cavalli, brulicanti formiche guerriere rese ancora più feroci dalla vista delle navi che si avvicinavano. Stannis li avrebbe tenuti occupati facendo costruire zattere e impennare frecce, ma per quegli uomini sarebbe stata comunque una dura attesa. Trombe suonavano in vari punti dell’esercito, esili e temerarie, le loro note venivano immediatamente inghiottite dal rombo delle urla dei guerrieri. Davos serrò la mano monca attorno al sacchetto che conteneva i resti delle sue dita, elevando una silenziosa preghiera di buona sorte.
La Furia era al centro della prima linea d’assalto, fiancheggiata dalla Lord Steffon e dalla Cervo del mare, duecento remi ognuna. A babordo e a tribordo venivano altre centinaia di remi: Lady Harra, Pesce d’argento, Lord che ride, Demone del mare, Onore cornuto, Jenna degli stracci, Terzo tridente, Spada veloce, Principessa Khaenys, Naso di cane, Scettro, Fedele, Corvo rosso, Regina Alysanne, Gatta, Coraggiosa, Veleno di drago. Su ogni poppa sventolava il cuore infuocato del Signore della Luce, rosso, giallo e arancione. Dietro a Davos e ai suoi figli veniva un altro schieramento comandato da cavalieri e lord capitani. Ancora più indietro c’era il più piccolo, più lento contingente di Myr, nessuno dei cui scafi superava gli ottanta remi. Seguivano le navi a vela, le corvette e i grandi pontoni cargo. Ultimo di tutti, Salladhor Saan sulla orgogliosa Valyriana, un torreggiante vascello da trecento remi, con sulla scia il resto delle sue galee dagli sgargianti scafi a strisce. L’eccentrico principe-pirata lyseniano non era affatto soddisfatto che gli fosse stata assegnata la retroguardia, ma era chiaro che ser Imry non si fidava di lui più di quanto si fidasse Stannis. “Troppe lamentele e troppe discussioni riguardo all’oro che gli spettava.” Davos, però, era dispiaciuto comunque; Salladhor Saan era un vecchio pirata pieno di risorse, e i suoi uomini erano non solo marinai nati ma anche guerrieri valorosi.
«Ahooooooooooooooooooooooo.» Dal castello di prora della Furia, il richiamo del corno rimbalzò sui marosi e sul ritmico martellare dei remi: ser Imry aveva suonato il segnale di attacco. «Ahooooooooooooooooooooooo. Ahooooooooooooooooooooooo.»
Per quanto avesse ancora le vele alzate, la Pescespada ce l’aveva finalmente fatta a raggiungere la linea di battaglia.
«Andatura veloce» abbaiò Davos.
Il tamburo che scandiva il ritmo di remata si mise a battere più rapidamente. La vogata accelerò, i remi che fendevano l’acqua; splash-woosh, splash-woosh. Sulla tolda, i soldati iniziarono a picchiare le spade contro gli scudi, mentre gli arcieri estrassero silenziosamente la prima freccia dalla faretra alla cintura e incoccarono. Le galee della prima linea ostruivano la visuale, così Davos si spostò sulla tolda, cercando una prospettiva migliore. Non vide traccia di sbarramenti, l’estuario del fiume era aperto, come una bocca pronta a inghiottirli. Solo che…
Nei suoi giorni da contrabbandiere, Davos si vantava di conoscere le rive del fiume davanti ad Approdo del Re meglio del palmo della propria mano. Quei due tozzi torrioni di pietra cruda, chiaramente appena costruiti, che ora si ergevano l’uno di fronte all’altro sulle sponde opposte dell’estuario, per ser Imry Florent non significavano nulla; Davos invece aveva l’impressione che due nuove dita gli fossero spuntate dalle nocche della mano mutilata.
Si protesse gli occhi contro il sole a occidente, per esaminare le due torri con maggiore attenzione. Erano troppo piccole per ospitare delle guarnigioni. Quella a nord era addossata allo strapiombo roccioso sul quale incombeva la Fortezza Rossa. La sua controparte sulla riva sud sorgeva direttamente dall’acqua. “Hanno scavato una trincea nella sponda” si rese immediatamente conto Davos. Così la torre diventava molto difficile da assaltare; gli attaccanti sarebbero stati costretti o a guadare il canale artificiale o a erigere un ponte di fortuna. Stannis aveva piazzato tutto intorno degli arcieri che scoccavano dardi ai difensori ogni volta che uno di loro osava sporgere la testa oltre le fortificazioni, ma per il resto non se ne era preoccupato troppo.
In basso, là dove le acque scure del fiume vorticavano intorno alla base della torre, qualcosa scintillava sotto la superficie. La luce del sole si rifletteva sull’acciaio, e questo suggerì a Davos Seaworth tutto ciò che aveva bisogno di sapere. “Uno sbarramento a catena… eppure non hanno chiuso l’estuario per fermarci. Perché?”
Poteva avanzare qualche ipotesi su quel perché, ma ormai non c’era più tempo per valutare domande e risposte. Un grido si levò dalla prima linea di navi, i corni da guerra suonarono di nuovo: il nemico era schierato davanti a loro.
Tra il lampeggiare dei remi della Scettro e della Fedele, Davos vide un’esile linea di galee, il sole che baluginava sulla tinta dorata dei loro scafi. Erano navi che Davos conosceva bene quanto le sue; quando era ancora un contrabbandiere, lo aveva sempre rassicurato sapere se la vela che appariva all’orizzonte apparteneva a una nave lenta o veloce, se il suo capitano era un giovane affamato di gloria o un anziano prossimo alla conclusione dei suoi giorni in mare.
«Ahooooooooooooooooooooooo» chiamò il corno da guerra.
«Velocità di battaglia» urlò Davos.
Da babordo e tribordo, udì i suoi figli, Dale e Allard, impartire il medesimo ordine. I tamburi batterono ancora più forte, i remi si alzarono e s’immersero, la Beta nera venne proiettata in avanti. Davos guardò in direzione della Fantasma, facendo un cenno di saluto. La Pescespada era di nuovo in svantaggio, arrancando nella scia delle navi più piccole su entrambi i lati. Per il resto, la linea era dritta come una muraglia.
Il fiume delle Rapide nere, che da lontano era parso così stretto, ora si allargava immenso come il mare. E anche la città era diventata gigantesca. Dalla sommità dell’alta collina di Aegon, la Fortezza Rossa dominava tutto il paesaggio. Le fortificazioni irte di ferro, le torri massicce, le spesse mura rosse la facevano apparire come una bestia feroce in agguato sul fiume e sulle strade. Le pendici dell’acrocoro di roccia su cui sorgeva erano ripide e sassose, chiazzate dal lichene, punteggiate di spinosi alberelli contorti. Per raggiungere il porto e la città, la flotta di Stannis sarebbe stata costretta a passare proprio sotto il maniero.
La prima linea di battaglia era entrata nel fiume, le galee Lannister arretravano a forza di remi. “Ci stanno risucchiando dentro. Vogliono che ci ritroviamo tutti ammucchiati, senza spazio di manovra ai fianchi… e con dietro di noi quella maledetta catena sommersa.” Davos si spostò nuovamente sulla tolda, alla ricerca di una più chiara prospettiva sulla flotta di Joffrey. I giocattoli del bamboccio comprendevano l’ingombrante Grazia degli dei, la vecchia, lenta Principe Aemon e le due galee gemelle Lady della seta e Lady della vergogna. Erano schierate anche la Vento selvaggio, la Chiglia del re, la Cuore bianco, la Lancia e la Fiore di mare. Ma dov’era la Stella del leone? Dov’era la splendida Lady Lyanna, che re Robert aveva battezzato in onore della fanciulla che aveva amato e poi perduto? E dov’era la Martello di re Robert? Era la galea più grande di tutta la flotta reale, quattrocento remi, l’unica nave del re ragazzino in grado di schiacciare la Furia. Secondo logica, avrebbe dovuto essere proprio la Martello di Rob a formare il fulcro della difesa.