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Davos sentiva odore di trappola, eppure continuava a non vedere alcun segno di nemici che calassero a prenderli alle spalle. Vide solo la grande flotta di Stannis Baratheon, che continuava ad avanzare a ranghi compatti, estesa su tutto l’orizzonte acqueo. “Forse che solleveranno la catena e ci spezzeranno in due tronconi.” Non riusciva a capire a che cosa sarebbe servito. Le navi lasciate fuori dalla baia avrebbero potuto comunque sbarcare soldati a nord della città. Una traversata più lenta ma anche più sicura.

Dalla fortezza, prese il volo uno stormo di uccelli fiammeggianti, venti, forse trenta: erano otri di olio incendiato, lanciati sopra il fiume in traiettorie ad arco, che si lasciavano dietro code di fuoco. La maggior parte finì per estinguersi nell’acqua, ma alcune arrivarono sulle tolde delle navi in prima linea, spargendo immediatamente le fiamme da dove erano cadute. Uomini d’arme accorsero sul ponte della Regina Alysanne. Il fumo si levava da tre diversi punti della Veleno di drago, la più vicina alla riva.

Il maniero diede il via a una seconda bordata di proiettili incendiari e questa volta, dagli arcieri annidati tra i merli e i rostri, vennero giù sibilando anche nugoli di frecce. Un soldato crollò sul trinchetto della Gatta, stramazzò sui remi e sprofondò. “Il primo caduto della giornata” rimuginò Davos. “Ma certo non l’ultimo.”

Sugli spalti della Fortezza Rossa svettavano i vessilli del re ragazzino: il cervo incoronato dei Baratheon in campo oro e il leone dei Lannister su sfondo porpora. Nuovi otri incendiati si abbatterono sulla flotta. Sulla Coraggiosa, molti uomini si misero a urlare, le fiamme dilagavano sulla tolda. Sotto di loro, protetti dallo spessore del ponte, i rematori erano al sicuro, ma i soldati e l’equipaggio all’esterno non erano altrettanto fortunati. Come Davos temeva, era l’ala di babordo dello schieramento a riportare i danni peggiori. “Presto verrà anche il nostro turno” ricordò a se stesso, inquieto. Anche la Beta nera, la sesta nave rispetto alla sponda nord, era ormai a portata dei proiettili incendiari. A tribordo, aveva soltanto la Lady Marya di Allard. La goffa Pescespada aveva continuato a perdere terreno, al punto da trovarsi pressoché a ridosso della terza linea di battaglia. La Pietà, la Preghiera e la Devozione, vulnerabili come erano vicino alla rivanord, avrebbero avuto bisogno di tutto l’aiuto degli dei per riuscire a passare.

Mentre la seconda linea superava le torri simmetriche, Davos le scrutò con attenzione. Individuò tre anelli di un’enorme catena serpeggiare fuori da un foro non più grosso della testa di un uomo e quindi svanire sott’acqua. Le torri avevano un’unica porta, posta a cinque metri dal suolo. Gli arcieri sulla cima della torre nord scagliavano dardi contro la Devozione e la Preghiera. Gli arcieri della Devozione rispondevano ai tiri. Davos udì uno degli uomini Lannister urlare, colpito a morte.

«Signor capitano» suo figlio Matthos era al suo fianco. «Il tuo elmo.»

Lui lo prese con entrambe le mani e se lo fece scivolare sul capo. L’elmo era senza celata: Davos detestava avere un campo visivo ridotto.

Adesso, i proiettili incendiari stavano piovendo anche su di loro; uno si schiantò sul ponte della Lady Marya, ma l’equipaggio di Allard ebbe presto ragione dell’incendio. A tribordo, corni da guerra suonarono dalla Orgoglio di Driftmark. I remi continuavano a sollevare spruzzi a ogni vogata. Lo spesso giavellotto lanciato da uno scorpione, lungo oltre un metro, venne a conficcarsi nella tolda della Beta nera, sprofondando nel legno a meno di due passi da Matthos. Più avanti, la prima linea era ormai a tiro d’arco rispetto al nemico. Nugoli di frecce volarono sul fiume delle Rapide nere, sibilando come serpenti velenosi.

A sud, Davos vide uomini intenti a trascinare in acqua rozze zattere. Dietro di loro, sotto mille vessilli al vento, si formarono ranghi e colonne di guerrieri. Il cuore fiammeggiante era ovunque, con il cervo nero imprigionato nel fuoco e troppo piccolo per risultare distinguibile. “Il nostro simbolo dovrebbe essere il cervo incoronato” di questo Davos era certo. “Il cervo era il sigillo di re Robert. Nel vederlo, la città sarebbe dalla nostra. Quell’emblema estraneo servirà solo a mettere tutti contro di noi.”

Guardando il cuore fiammeggiante, non riusciva a evitare di pensare all’ombra che Melisandre aveva generato dal proprio ventre nelle viscere rocciose di Capo Tempesta. “Per lo meno stiamo combattendo questa battaglia in pieno sole, con le armi degli uomini onesti” disse a se stesso. La donna rossa e i suoi figli oscuri non partecipavano, Stannis l’aveva fatta rientrare alla Roccia del Drago insieme al suo nipote bastardo Edric Storm. I suoi capitani e i suoi lord alfieri avevano insistito che il campo di battaglia non era posto adatto a una donna, e gli uomini della regina erano stati gli unici a dissentire, ma nemmeno con troppa convinzione. Il re era comunque deciso a fare a modo suo, finché lord Bryce Caron disse: «Maestà, se la strega rossa sarà con noi, poi si dirà che è stata una vittoria sua. Si dirà che devi la corona ai suoi sortilegi». Questa affermazione si rivelò decisiva. Nel corso delle discussioni, Davos aveva tenuto la bocca chiusa, ma in verità era stato tutt’altro che dispiaciuto nel vedere Melisandre andarsene; non voleva avere nulla a che spartire con lei o con il suo dio.

A babordo, la Devozione puntò verso riva, facendo scivolare fuori una passerella di sbarco. Gli arcieri guadarono nell’acqua bassa, tenendo gli archi sopra la testa per evitare che le corde si bagnassero. Sbarcarono sulla spiaggia stretta su cui torreggiavano le mura di pietra della collina di Aegon. Dalla fortezza scese su di loro una pioggia di massi, lance, frecce, ma l’angolazione di caduta era ripida, e il bombardamento parve fare scarsi danni.

La Preghiera toccò terra una ventina di metri più avanti e anche la Pietà stava approdando. Fu in quel momento che i difensori a cavallo si avventarono dalla riva del fiume; gli zoccoli pestavano le rocce, sollevando alti spruzzi. I cavalieri Lannister calarono sugli arcieri come lupi su un branco di pollame, e li respinsero nuovamente nel fiume senza che riuscissero a incoccare una sola freccia. Dalle navi, gli uomini della fanteria accorsero di rinforzo mulinando spade e asce. In pochi istanti la scena si tramutò in un caos grondante sangue. Davos riconobbe l’elmo a testa di cane di Sandor Clegane. Con il mantello bianco della Guardia reale che gli fluttuava sulle spalle, il Mastino condusse il suo destriero sulla passerella e imperversò sulla tolda della Preghiera, macellando a colpi di spada lunga chiunque si trovò davanti.