Davos portò la Beta nera tra le due navi e speronò l’ornato, istoriato scafo da diporto della regina Cersei, carico di soldati invece che di manicaretti. L’urto gettò una dozzina di armati nel fiume, dove gli arcieri della Beta li finirono mentre cercavano di mantenersi a galla.
Un grido di allarme da Matthos: pericolo da babordo. Una delle galee Lannister stava muovendosi per speronarli.
«Virata rapida a tribordo!» ringhiò Davos.
I suoi uomini si servirono dei remi come puntelli per sganciarsi dal rottame dello scafo della regina. Altri lavorarono duramente per fare ruotare la prua della Beta in modo da fronteggiare la carica della galea Lannister, la Cuore bianco. Per un momento, Davos credette di essere stato troppo lento, e che li avrebbero affondati, invece la corrente venne in loro aiuto. L’urto della nave avversaria fu solo di striscio, le due murate stridevano l’una contro l’altra e remi andavano in pezzi da ambo le parti. Un frammento scheggiato di legno, acuminato come una picca, gli sibilò a un palmo dalla testa. D’istinto, Davos socchiuse gli occhi.
«All’abbordaggio!» urlò.
Rampini e funi volarono nel fumo della battaglia. Davos snudò la spada, lanciandosi all’assalto per primo.
L’equipaggio della Cuore bianco li attese sulla murata, ma non riuscì a fermare la dilagante, urlante ondata d’acciaio e di lame. Davos si aprì la strada a fendenti nel feroce corpo a corpo, andando alla ricerca del capitano nemico. Lo trovò. Era già morto. Rimase immobile accanto al cadavere, mentre il suo sguardo andava alla ricerca di un altro avversario. Qualcuno lo assalì alle spalle con un’ascia, e l’elmo deviò il colpo che altrimenti gli avrebbe aperto il cranio in due. Intontito, rotolò sul ponte. L’attaccante si avventò urlando, con l’ascia levata. Davos afferrò a due mani la sua spada e l’affondò nel ventre dell’altro.
«Signor capitano» disse uno dei suoi uomini aiutandolo a rimettersi in piedi. «La Cuore bianco è nostra.»
Era vero. La maggior parte dei nemici era morta, stava morendo o si era arresa. Davos si tolse l’elmo, pulì il sangue che gli era schizzato in faccia e tornò verso la sua nave, avanzando lentamente, cautamente sulla tolda viscida, cosparsa di arti mutilati e di viscere. Nello scavalcare la murata, accettò la mano tesa di Matthos.
Per pochi momenti, la Beta nera e la Cuore bianco furono l’occhio tranquillo in mezzo al ciclone. La Regina Alysanne e la Lady della seta, ancora l’una a ridosso dell’altra, erano ridotte a un unico, ruggente inferno di fiamme verdi alla deriva nella corrente che trascinava relitti appartenuti alla Lady della vergogna. Una della galee di Myr era andata a cozzare contro di loro e aveva anch’essa preso fuoco. La Gatta stava raccogliendo naufraghi dalla Coraggiosa, che affondava rapidamente. La Veleno di drago era finita sugli scogli e ampie falle si aprirono nella chiglia. Tutto l’equipaggio si era riversato a terra, unendosi agli arcieri e agli armati che andavano all’assalto delle mura. La Corvo rosso era stata speronata e stava lentamente affondando, la Cervo del mare era impegnata a combattere da un lato l’altofuoco e dall’altro un duro abbordaggio. In compenso, ora il cuore fiammeggiante di Stannis sventolava sulla Uomo leale di Joffrey. Davos vide la Orgoglio di Driftmark di lord Velaryon infilarsi tra due galee Lannister, sventrandone una, dando fuoco all’altra con nugoli di frecce incendiarie. Sulla riva meridionale, i cavalieri di Stannis salivano con i loro cavalli sulle chiatte. Altri scafi più piccoli erano già salpati, carichi di soldati. Erano però costretti ad avanzare con cautela, destreggiandosi tra navi che affondavano e placche di altofuoco alla deriva. A quel punto, con la sola eccezione degli scafi lyseniani di Salladhor Saan, l’intera flotta di re Stannis era nel fiume. Molto presto, avrebbero avuto il controllo delle Rapide nere. “Ser Imry avrà la sua vittoria” rimuginò Davos “e Stannis potrà guadare insieme al suo esercito, ma… dei misericordiosi, a quale prezzo!”
«Signor capitano!» Matthos lo toccò sulla spalla.
Era la Pescespada, con il suo doppio ordine di remi che si alzavano e si abbassavano ritmicamente. Non aveva mai ammainato le vele, uno dei barili di pece incendiata era impigliato nel sartiame. Sotto lo sguardo di Davos, le fiamme si allargarono, strisciando lungo le funi, mettendo a fuoco la tela e tramutandosi in una scia crepitante. Il mostruoso ariete di ferro a prora della galea, sagomato come la testa del pesce da cui prendeva il nome, fendeva le acque. Davanti alla Pescespada c’era una grassa chiatta Lannister parzialmente sventrata. Il tozzo scafo andava alla deriva, ruotando lentamente, offrendo un ampio, facile bersaglio. Dalle assi già sconnesse, denso sangue verde grondava nella corrente.
Altofuoco. Allo stato puro.
«No…» Il cuore di Davos Seaworth cessò di battere. «No, no… Noooooo!»
Ma nel fragore della guerra, Matthos fu l’unico a udirlo. Nel determinato intento di speronare qualcosa, qualsiasi cosa, con quel suo brutto rostro di ferro, il capitano della Pescespada di certo non lo udì. La galea avanzava a velocità di collisione. La mano monca di Davos salì a stringere disperatamente la sacca di pelle che aveva al collo.
Un impatto roboante, stridente e la Pescespada divise la carcassa Lannister in due tronconi. Lo scafo scoppiò come un frutto marcio, solo che nessun frutto si sarebbe mai spezzato in una simile cacofonia di legno sventrato. Dall’interno, Davos vide il viscido veleno verde eruttare da centinaia, migliaia di ampolle disintegrate dall’urto. Veleno dalle viscere di una bestia morente, veleno scintillante, lucente, che andò a spargersi sulla superficie del fiume…
«Rematori!» urlò Davos. «Arretrare!… Tirateci fuori da qui! Arretrare! Arretrare!…»
Le funi d’abbordaggio vennero troncate. Davos sentì la tolda che si muoveva sotto di lui, mentre la Beta nera si sganciava dalla Cuore bianco. I remi tornarono ad affondare nell’acqua.
Sentì un suono simile a un rantolo, come se qualcuno gli avesse appena soffiato nell’orecchio. Un istante più tardi arrivò il rombo. Il ponte della nave svanì sotto i suoi piedi e l’acqua del fiume delle Rapide nere lo colpì in piena faccia, riempiendogli la bocca, le narici. Davos si ritrovò ad affondare, ad annegare. Non esisteva più né alto né basso, in preda al panico più cieco, Davos lottò con gambe e braccia finché riuscì a riemergere. Sputò una boccata d’acqua fetida, inspirò a pieni polmoni e si aggrappò al relitto galleggiante più vicino.
La Pescespada e la chiatta Lannister erano scomparse, cancellate. Corpi anneriti dalla vampata galleggiavano intorno a lui, spinti dalla corrente. Uomini prossimi all’annegamento si aggrappavano disperatamente a resti di legno che ancora bruciavano. Un ruggente, vorticante demone di fiamme verdi alto trenta metri torreggiava sul fiume, un demone dotato di dozzine di tentacoli simili a fruste. Qualsiasi cosa toccassero prendeva fuoco. Davos vide la Beta nera che bruciava, così come d’altro canto la Cuore bianco e la Uomo leale. E poi la Pietà, la Gatta, la Coraggiosa, la Scettro, la Corvo rosso, la Harridan, la Fedele, perfino la poderosa Furia… tutte annientate in un unico, divorante olocausto. Ma anche la Chiglia del re e la Grazia degli dei di Joffrey stavano bruciando. Il demone verde annientava anche chi lo aveva evocato. La lucente Orgoglio di Driftmark di lord Velaryon stava cercando di virare, ma il demone lanciò verso di essa un pigro vessillo di smeraldo. I remi della Orgoglio avvamparono come altrettante pire sacrificali. Per un orrido istante, la nave parve accarezzare il fiume con filari di torce.