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Eppure, alcune delle sue navi stavano sfuggendo. La corrente di un fiume è una cosa infida, e l’altofuoco non si stava spargendo, come Tyrion aveva sperato. Il canale principale era tutto avvolto dalle fiamme, ma parecchi uomini di Myr erano riusciti a guadagnare la riva sud e sembravano essere usciti indenni. Inoltre, almeno otto navi avevano attraccato sotto le mura della città. “Attraccate o arenate non fa differenza: sono riusciti a depositare uomini a terra.” E, quello che era peggio, una vasta parte dell’ala sud delle prime due linee del nemico era già notevolmente a monte quando le chiatte di altofuoco erano detonate. A Stannis sarebbero rimaste circa trenta o quaranta galee, più che sufficienti, una volta che i soldati avessero ripreso coraggio, per traghettare sulla sponda nord tutto il suo esercito.

Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, era chiaro. Perfino i più indomiti avrebbero avuto il morale a pezzi nel vedere un migliaio o forse più dei loro compagni d’arme che venivano annientati dall’altofuoco. Sua Saggezza Hallyne diceva che a volte la sostanza bruciava a una tal temperatura da far sciogliere la carne umana come sego. Ma anche così…

Quanto ai suoi soldati, nemmeno su di loro Tyrion si faceva illusioni. “Se la battaglia dovesse volgere al peggio, andranno in pezzi e malamente.” Jacelyn Bywater lo aveva avvertito: c’era un solo modo per vincere, fare sì che lo scontro rimanesse costantemente in loro favore.

Forme scure si muovevano tra le rovine annerite lungo la sponda. “È tempo per un’altra sortita” decìse Tyrion. Il momento dello sbarco era anche quello in cui gli attaccanti sarebbero stati più vulnerabili. Non doveva dare loro il tempo di riorganizzarsi.

Si precipitò giù dal merlo. «Va’ a dire a lord Jacelyn che abbiamo i nemici sulla riva» disse a una delle staffette che Bywater gli aveva assegnato. A un’altra disse: «Fa’ i miei complimenti a ser Arneld. Digli anche di ruotare le Puttane di trenta gradi a ovest.» Questa angolazione avrebbe permesso alle catapulte di lanciare più lontano.

«Mamma mi ha promesso che potevo comandarle io, le Puttane» berciò Joffrey.

Tyrion s’irritò nel vedere che il re aveva nuovamente sollevato la celata dell’elmo. Senza dubbio il ragazzo stava andando arrosto dentro tutto quello spesso acciaio, ma l’ultima cosa di cui il Folletto aveva bisogno era che una freccia finisse a conficcarsi nell’occhio del nipote.

«Questa tienila chiusa, Maestà» disse abbassandogli la celata di schianto. «La tua reale persona è troppo preziosa per tutti noi.» “E di sicuro non vorrai guastarti quel bel faccino.” «Le Puttane sono tutte tue.»

Era un momento buono come un altro: lanciare altri barili incendiari su navi già in fiamme non aveva più molto senso. Avrebbero lanciato qualcosa d’altro. Joffrey aveva ammassato gli Uomini Cervo nella piazza sottostante, nudi come vermi, incatenati e con corna di cervo inchiodate nel cranio. Quando i cospiratori erano stati portati al suo cospetto nella Sala del Trono per sottoporsi alla giustizia del re, Joffrey aveva promesso di rimandarli a Stannis. In fondo, un uomo era ben più leggero di un barile di pece incendiata, e poteva essere lanciato molto più lontano. Alcune cappe dorate stavano ancora scommettendo se i traditori sarebbero volati fino all’altra sponda del fiume delle Rapide nere.

«Cerca di fare in fretta, Maestà» disse Tyrion al re. «Vogliamo che le catapulte riprendano a scagliare massi quanto prima. Nemmeno l’altofuoco può bruciare in eterno.»

Joffrey si incamminò tutto contento e scortato da ser Meryn, ma Tyrion afferrò ser Osmund Kettleblack per il polso prima che anche lui li seguisse. «Qualsiasi cosa accada, tienilo al sicuro e tienilo , mi sono spiegato?»

«Come tu comandi» sorrise amabilmente ser Osmund.

Tyrion aveva avvertito sia Trant sia Kettleblack di che fine avrebbero fatto se fosse accaduto qualcosa al re. Joffrey aveva anche una dozzina di cappe dorate veterane che lo aspettavano alla base delle scale. “Sto proteggendo il tuo infame bastardo come meglio posso, Cersei” pensò acidamente Tyrion. “Cerca di fare lo stesso con Alayaya.”

La trafelata staffetta arrivò sulle mura poco dopo che Joffrey se n’era andato.

«Mio lord, presto!» il soldato si gettò con un ginocchio a terra. «Sono sbarcati sul campo dei tornei… Centinaia di uomini! Stanno portando un ariete verso la Porta del Re!»

Imprecando, Tyrion corse giù per i gradini di pietra con la sua andatura ondeggiante. Podrick Payne lo aspettava con i cavalli. Andarono al galoppo fino al Lungofiume, con Pod e ser Mandon Moore che lo seguivano a spron battuto. Le case sprangate erano avvolte dalla sfumatura verdastra del cielo, e le strade erano pressoché deserte. Era stato Tyrion a dare ordine di svuotarle, in modo che i difensori potessero muoversi liberamente da una porta all’altra della città.

Ma anche così, quando giunsero alla Porta del Re, il tonante pestare dell’ariete di sfondamento contro il legno copriva già ogni altro suono. Gli scricchiolii delle grandi cerniere parevano i lamenti di un gigante in agonia. La piazza del corpo di guardia era disseminato di feriti. Tyrion vide anche una linea di cavalli, in parte illesi, più mercenari e cappe dorate e in numero sufficiente da costituire una forte colonna armata.

«Formate i ranghi!» gridò, saltando a terra. Dietro di lui, la Porta del Re sussultò sotto un nuovo urto. «Chi è in comando qui? Noi adesso andiamo là fuori!»

«No.» Una figura emerse dall’ombra delle mura, un uomo alto con l’armatura grigia. Sandor Clegane si tolse l’elmo con entrambe le mani e lo lasciò cadere a terra. L’acciaio era annerito e ammaccato, e l’orecchio sinistro del cane ringhiante mozzato di netto. Da uno squarcio sopra l’occhio sinistro il sangue colava sulle vecchie ustioni del Mastino trasformando metà del volto sfigurato in un mascherone rossastro.

«Sì» lo affrontò Tyrion.

«In culo te e il tuo andar fuori» il respiro di Clegane era un rantolo affannoso.

Uno dei mercenari gli si avvicinò: «Ci siamo già stati, fuori. Tre volte. Metà dei nostri sono o morti o feriti. Con l’altofuoco che brucia, uomini che urlano come cavalli e cavalli che urlano come uomini…».

«Che cosa credevi, che vi avessimo assoldato per combattere in un torneo? Vuoi forse che ti serva una coppa di latte ghiacciato e un bel grappolo d’uva? No? E allora rimettiti sul tuo cavallo del cazzo! Lo stesso vale per te, cane.»

Il sangue sulla faccia di Clegane parve scintillare ancora più rosso, ma i suoi occhi rimasero di un bianco livido. Il guerriero snudò la sua spada lunga.

“Ha paura” Tyrion, sconvolto, stentava a crederci. “Il Mastino ha paura!” Cercò di spiegare loro la situazione. «Hanno un ariete alla porta. Li sentite o no? Dobbiamo disperderli…»

«Allora apri la porta. Loro vengono dentro, noi li circondiamo e li facciamo a pezzi.» Il Mastino piantò la punta della spada nel terreno e si appoggiò all’elsa, oscillando da una parte all’altra. «Ho perso metà dei miei uomini. E anche metà dei cavalli. Non porto nessun altro in mezzo a quel fuoco.»

Ser Mandon Moore, la corazza di uno smalto bianco immacolato, si mise a fianco di Tyrion: «Il Primo Cavaliere del re ti sta dando un ordine».

«Si fotta, il Primo Cavaliere del re.» Dove il volto del Mastino non era arrossato dal sangue, la sua pelle era livida come gesso. «Qualcuno mi dia qualcosa da bere.» Un ufficiale delle cappe dorate gli offrì una coppa. Clegane bevve, sputò immediatamente, e gettò via la coppa. «Acqua? In culo, la vostra acqua! Datemi del vino.»