“È ridotto a un morto che cammina” ora Tyrion lo capiva con chiarezza. “La ferita, il fuoco… ha chiuso. Devo trovare qualcun altro, ma chi? Ser Mandon?” Guardò gli uomini, e capì che non avrebbe funzionato. La paura di Clegane li aveva contagiati. Senza un capo, un vero capo, nessuno di loro avrebbe combattuto. E ser Mandon… un uomo pericoloso, diceva Jaime, ma non un uomo che altri uomini avrebbero seguito fino alla morte.
In lontananza, Tyrion udì un ennesimo schianto. Sopra le mura, il cielo era solcato da lampi verdastri e arancione. E quella porta, fino a quando sarebbe stata in grado di reggere? “È una follia” pensò. “Ma meglio la follia della sconfitta. La sconfitta è morte e vergogna.”
«Molto bene. Allora, sarò io a guidare la sortita.»
Tyrion aveva pensato che un simile oltraggio avrebbe fatto ricredere il Mastino. Ma Clegane si limitò a ridergli in faccia: «Tu?».
Il Folletto vide lo sconcerto sui volti di tutti loro. «Io. Ser Mandon, tu porterai il mio vessillo. Podrick, il mio elmo.»
Il ragazzo si precipitò a obbedire. Il Mastino continuò ad appoggiarsi sulla sua spada scheggiata, incrostata di sangue rappreso, e continuò a guardarlo con gli occhi sbarrati. Ser Mandon aiutò Tyrion a montare nuovamente in sella.
«Formate i ranghi!»
Il suo stallone fulvo portava una gualdrappa di crinolina e camoscio. Seta purpurea ricadeva sui fianchi posteriori, coprendo la maglia di ferro. La sua alta sella era ornata d’oro. Podrick gli passò l’elmo e lo scudo, una piastra di spessa quercia con impressa una mano dorata in campo rosso, al centro di un anello di piccoli leoni dorati. Tyrion condusse il cavallo nel piccolo cerchio, squadrando l’esigua forza di combattenti. Soltanto un pugno di uomini aveva risposto al suo comando, meno di una ventina. Rimanevano in sella ai loro cavalli, con gli occhi sbarrati come quelli del Mastino. Con disprezzo, Tyrion guardò gli altri, cavalieri e mercenari che si erano ritirati insieme a Clegane.
«Mezzo uomo» ringhiò. «Questo dite di me. Se io sono un mezzo uomo, voi che cosa siete?»
Questo doveva aver infangato abbastanza il loro onore. Uno dei cavalieri, senza elmo, montò a sua volta ed entrò nella colonna. Un paio di mercenari lo imitarono. Poi altri ancora. La Porta del Re sussultò di nuovo. In breve, il gruppo di Tyrion raddoppiò di numero. Li teneva in pugno. “Se io combatto, anche loro saranno costretti a combattere… altrimenti, sarebbero addirittura inferiori a un nano.”
«Non mi sentirete urlare il nome di Joffrey» disse loro. «E nemmeno inneggiare a Castel Granito. Quella che Stannis Baratheon intende saccheggiare è la vostra città. E quella che sta cercando di sfondare, è una delle vostre porte. Per cui, venite con me, andiamo ad ammazzare quel figlio di puttana!»
Tyrion impugnò l’ascia da guerra, fece voltare il cavallo e partì verso la porta del corpo di guardia; pensava che gli altri lo seguissero, ma non osò voltarsi a guardare.
SANSA
Le torce scintillavano vivide contro le lastre di metallo martellato delle nicchie, immergendo la Sala da Ballo della regina in una luminosità argentea. Eppure, le tenebre persistevano. Sansa poteva vederle negli occhi pallidi di ser Ilyn Payne, che stava immobile come una statua di pietra, vicino alla porta posteriore, senza accertare né cibo né vino. Poteva udirle nell’incessante tosse secca di lord Gyles, e nella voce sommessa di Osney Kettleblack quando arrivò discretamente per portare le notizie a Cersei Lannister.
Era arrivato una prima volta mentre Sansa stava finendo il brodo, entrando da una porta secondaria. Lo aveva visto confabulare brevemente con suo fratello Osfryd. Poi aveva salito i gradini della piattaforma e si era inginocchiato davanti allo scranno regale. Osney puzzava di cavallo. Sulla guancia, aveva quattro lunghi, esili graffi su cui si stavano formando le prime croste. I capelli gli entravano nel collo della tunica e gli ricadevano sugli occhi. Per quanto cercasse di bisbigliare, Sansa non poté fare a meno di sentire tutto.
«Le flotte hanno ingaggiato la battaglia. Alcuni arcieri di Stannis hanno guadagnato la riva, ma il Mastino è andato a farli a pezzi, Maestà. Tuo fratello sta alzando la catena, ho udito il segnale. Certi ubriachi giù nel Fondo delle Pulci stanno sfondando porte e scalando finestre. Lord Bywater ha mandato le cappe dorate a sistemarli. Il Tempio di Baelor è pienissimo, tutti stanno pregando.»
«E mio figlio?»
«Il re è andato anche lui al tempio, a ricevere la benedizione dell’Alto Sacerdote. Ora è sulle mura insieme al Primo Cavaliere, sta dicendo agli uomini di essere coraggiosi, sollevando i loro spiriti.”
Cersei fece cenno al suo paggio perché le portasse un’altra coppa di vino, una vendemmia speciale di Arbor, ricco e fruttato. La regina stava bevendo molto, ma il vino pareva renderla solo più bella. Le sue guance erano accese, gli occhi avevano acquistato una lucentezza febbrile quando dardeggiava sguardi sulla sala. “Occhi d’altofuoco” immaginò Sansa.
I musicanti facevano musica. I giocolieri facevano giochi. Ragazzo di luna se ne andava in giro per la sala in cima a un paio di trampoli, deridendo tutti quanti. Ser Dontos dava la caccia alle servette galoppando sul suo cavallo di manico di scopa. Gli ospiti ridevano, ma erano risate prive di gioia, risate che in un attimo potevano tramutarsi in pianti disperati. “I loro corpi sono qui, ma i loro pensieri e i loro cuori sono sulle mura della città.”
Dopo il brodo, venne un’insalata di mele, nocciole e uva passa. In qualsiasi altra circostanza, sarebbe stato un piatto gustoso, ma quella notte l’unico condimento del cibo era la paura. Sansa non era l’unica a non avere appetito. Lord Gyles tossiva molto più di quanto mangiava, Lollys Stokeworth sedeva ingobbita e tremante, la giovane sposa di uno dei cavalieri di ser Lancel scoppiò in un pianto dirotto. La regina diede ordine a maestro Frenken di metterla a letto con una coppa di vino dei sogni.
«Lacrime» disse cupamente a Sansa mentre la ragazza veniva condotta via. «L’arma delle donne, così le chiamava la lady mia madre. L’arma degli uomini è la spada. E questo dice tutto quello che ci serve sapere, non trovi?»
«Gli uomini devono essere molto coraggiosi, però» rispose Sansa. «Andare là fuori ad affrontare spade e asce, con tutti che cercano di ucciderti…»
«Una volta, Jaime mi disse che soltanto in battaglia e a letto lui si sente veramente vivo» la regina sollevò la coppa e mandò giù una lunga sorsata. Non aveva ancora toccato la sua insalata di frutta. «Preferirei affrontare una foresta di spade piuttosto che rimanere qui impotente, facendo finta di apprezzare la compagnia di questo branco di galline spaventate.»
«Sei stata tu a convocarle qui, Maestà.»
«Ci si aspetta che una regina faccia certe cose. Ci si aspetterà che anche tu le faccia se mai sposerai Joffrey. Farai meglio a imparare.» Cersei Lannister osservò le mogli, le figlie e le madri che affollavano la sala. «Di per se stesse, le galline non sono niente. Invece, per una ragione o per l’altra, i loro galli sono importanti. E alcuni di loro potrebbero anche sopravvivere a questa battaglia. Il che mi vede obbligata a dare alle loro donne una sorta di protezione. Se quella specie di fetido nano di mio fratello riuscisse in qualche modo a prevalere, le galline faranno ritorno ai loro mariti e ai loro padri piene di belle storie su come sono stata valorosa, di come il mio coraggio ha ispirato anche loro, di come non ho mai dubitato della vittoria, neppure per un momento.»
«E se invece il castello dovesse cadere?»
«A te piacerebbe, o sbaglio?» Cersei non attese un diniego. «Se non verrò tradita dalle mie stesse guardie, forse potrei resistere qui dentro per un po’. Dopodiché potrei andare sulle mura e arrendermi personalmente a lord Stannis. Questo ci risparmierebbe il peggio. Ma se il Fortino di Maegor cadesse prima dell’arrivo di Stannis, credo che la maggior parte delle mie ospiti farà bene a prepararsi a un po’ di stupri. E in tempi come questi è anche opportuno non escludere mutilazioni, torture e omicidi.»