«È quello che io dico che deve preoccuparti» gli occhi di Cersei si strinsero. «Tuo fratello farà come io comando. Altrimenti farò in modo che sia lui a condurre la prossima sortita fuori delle mura. In tua compagnia.»
Quando le tavole furono sparecchiate, molti ospiti chiesero licenza di uscire per andare al tempio. Graziosamente, Cersei la concesse. Lady Tanda e le sue due figlie furono tra quelli che fuggirono. Quelli che rimasero vennero allietati dalle dolci melodie di un cantastorie che si accompagnava all’arpa. Cantò di Jonquil e Florian, del principe Aemon il Cavaliere del drago e del suo amore per la regina di suo fratello, delle diecimila navi di Nymeria. Canzoni bellissime, e terribilmente tristi. Parecchie donne cominciarono a piangere, anche Sansa sentì gli occhi umidi.
«Molto bene, cara» disse la regina chinandosi verso di lei. «Cerca di fare pratica con quelle lacrime. Ti serviranno con re Stannis.»
Sansa si agitò a disagio: «Maestà?».
«Ah, risparmiami le tue vuote cortesie. La situazione dev’essere davvero disperata, se ci vuole un nano per comandare gli uomini in battaglia. Per cui, getta pure la maschera. So tutto dei tuoi piccoli tradimenti nel parco degli dei.»
«Il parco degli dei?» “Non guardare ser Dontos. Non farlo, non farlo” Sansa disse a se stessa. “Lei non sa, nessuno sa. Dontos mi ha promesso, il mio Florian non mi tradirebbe mai.” «Non ho commesso alcun tradimento. Vado nel parco degli dei solamente per pregare.»
«Per Stannis. O per tuo fratello. Ma non fa differenza. Per quale altra ragione invocheresti gli dei di tuo padre? Tu preghi per la nostra sconfitta. E come altro chiameresti questo, se non tradimento?»
«Io prego per Joffrey» insisté Sansa nervosamente.
«Davvero? E perché lo fai, forse per il modo così gentile in cui lui ti tratta?» La regina prese una caraffa di vino dolce di prugne da una servetta che passava e riempì la coppa di Sansa. «Bevi» le impose con disinvoltura. «Forse ti darà il coraggio di affrontare la verità, tanto per cambiare.»
Sansa si portò la coppa alle labbra e bevve un sorso. Il vino era ingannevolmente dolce, e anche molto forte.
«Sai fare di meglio» disse Cersei. «Vuota quella coppa, Sansa. È la tua regina a comandartelo.»
Sansa quasi si soffocò, ma svuotò comunque la coppa, mandando giù il denso vino dolce finché non cominciò a girarle la testa.
«Ancora?» chiese Cersei.
«No. Ti prego.»
La regina sembrò delusa: «Prima, quando mi hai chiesto di ser Ilyn, ti ho mentito. Non vuoi sentire la verità, Sansa? Non vuoi sapere per quale ragione lui si trova qui?».
Sansa non osò rispondere, ma questo non ebbe importanza. Alla regina non interessava una risposta. Sollevò una mano e fece un cenno. Sansa non si era resa conto che ser Ilyn Payne avesse fatto ritorno nella Sala da Ballo ma, di colpo, lui era di nuovo là. Emerse dalle ombre dietro il trono, silenzioso come una pantera. Aveva Ghiaccio fuori dal fodero. Suo padre ripuliva sempre la lama dopo aver tagliato la testa a qualcuno, Sansa lo ricordava bene, ma ser Ilyn non era altrettanto pignolo. Sangue andava disseccandosi sulle venature dell’acciaio di Valyria. Un rosso che virava all’ocra scuro.
«Ser Ilyn» disse Cersei. «Di’ a lady Sansa perché ti tengo qui con noi.»
Ser Ilyn aprì la bocca priva di lingua ed emise un suono gutturale. Non c’era alcuna espressione sul suo volto butterato.
«È qui per noi, dice» tradusse la regina. «Stannis potrà prendere la città e anche il trono, ma io non mi sottoporrò all’ignominia di venire giudicata da lui. Non ci avrà viva»
«Ci?»
«Mi hai sentito. Per cui, Sansa, dovresti fare un’altra preghierina chiedendo che l’esito di questa battaglia sia diverso. Gli Stark non si rallegreranno affatto per la caduta della Casa Lannister, te lo garantisco.»
Cersei allungò una mano e toccò i capelli di Sansa, scostandoli un po’ dalla sua gola.
TYRION
La fenditura orizzontale nella celata dell’elmo limitava il campo visivo a quello che aveva di fronte. Ruotando la testa, Tyrion Lannister vide che tre galee erano approdate sul campo dei tornei. Una quarta, più grande delle altre, si era addentrata molto nel fiume delle Rapide nere, e continuava a catapultare barili incendiari.
«A cuneo!»
Tyrion gridò l’ordine mentre lui e i suoi uomini erompevano dal portale secondario. Assunsero la formazione a punta di freccia, di cui lui era la cuspide. Ser Mandon Moore si mise alla sua destra, con le fiamme degli incendi che baluginavano sul bianco smaltato della sua armatura e i suoi occhi spenti che scrutavano da dietro la celata. Era in sella a un destriero nero come il carbone, tutto bardato di bianco. Al braccio, portava appeso lo scudo bianco della Guardia reale. Alla sua sinistra, Tyrion fu sorpreso di trovare Podrick Payne, con una spada in pugno.
«Sei troppo giovane» disse in fretta. «Torna indietro.»
«Sono il tuo scudiero, mio lord.»
Non c’era tempo per discutere: «E allora stai con me. Ma stammi vicino».
Tyrion diede di speroni. Cavalcarono ginocchio contro ginocchio, seguendo la linea delle mura incombenti. Sull’asta di ser Mandon garriva il vessillo di Joffrey, porpora e oro, cervo e leone impegnati in una strana danza zoccolo contro zampa. Dal passo, andarono al trotto, facendo un’ampia curva attorno alla base della torre perimetrale. Frecce piovevano dalle mura della città, mentre massi le sorvolavano, schiantandosi alla cieca contro la terra e l’acqua, macellando acciaio e carne. Davanti al gruppo d’assalto di Tyrion, apparvero la Porta del Re e una testuggine di soldati impegnati a manovrare un immane ariete di sfondamento, un tronco di quercia nero con una testa di ferro. Un gruppo di arcieri sbarcati dalle navi di Stannis circondava la testuggine, lanciando nugoli di frecce in risposta a tutto quello che i difensori sulle mura scaricavano loro addosso.
«Lance in resta!» urlò Tyrion. Poi partì al galoppo.
Il terreno era fradicio e scivoloso, metà per il fango, metà per il sangue. Il suo stallone calpestò un cadavere, gli zoccoli andavano in cerca di una presa, macinando la terra viscida. Per un istante, Tyrion credette che la sua carica si sarebbe conclusa con lui che cadeva giù dalla sella ancora prima di arrivare a contatto con il nemico, ma in qualche modo, lui e il cavallo riuscirono a stare in equilibrio. Sotto la porta, gli uomini di Stannis si stavano voltando, preparandosi ad affrontare l’urto.
Tyrion sollevò l’ascia: «Approdo del Re!».
Altre voci si unirono al suo urlo di battaglia. La carica a cuneo spiccò il volo, un lungo urlo d’acciaio e di seta, di zoccoli pesanti e di lame affilate, baciate dal fuoco.
Ser Mandon abbassò la punta della lancia all’ultimo istante possibile e mandò il vessillo di Joffrey a perforare il torace di un uomo con indosso un corpetto di cuoio borchiato, sollevandolo da terra prima che l’asta si spezzasse. Dritto avanti a Tyrion c’era un cavaliere che aveva sulla tunica una volpe dentro una corona di fiori. “Florent” fu il suo primo pensiero. “Senza elmo” fu il secondo. Lo colpì in testa caricando tutto il peso dell’ascia spinta dal cavallo al galoppo. Metà cranio dell’uomo dei Florent partì verso l’alto. Il contraccolpo gli fece dolere la spalla. “Shagga riderebbe di me” pensò, continuando la carica.
Una lancia cozzò contro il suo scudo. Podrick galoppò al suo fianco, mulinando fendenti contro chiunque gli si parasse davanti. Da qualche parte, a Tyrion arrivarono le ovazioni degli uomini sulle mura. L’ariete di sfondamento si abbatté nel fango, e gli uomini lo abbandonarono per darsi alla fuga o girarsi per combattere. Tyrion abbatté un arciere, squartò il torace di un lanciere dalla spalla all’ascella, assestò un colpo trasversale a un elmo a cresta di pescespada. Di fronte alla trave dell’ariete, il suo grande cavallo rosso si fermò. Un turbine alla sua destra: il destriero di ser Mandon saltò l’ostacolo come se nemmeno esistesse e il cavaliere della Guardia reale continuò l’attacco, morte nera ammantata di seta bianca come la neve. La spada di ser Mandon mutilò braccia, sfondò teste, divise scudi a metà. Molti nemici, però, erano comunque riusciti a superare il fiume con gli scudi intatti.