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“Gli abbiamo creato un fottuto ponte!” Tyrion pensò con rabbia.

Parti di quel ponte stavano affondando, altre erano in fiamme, l’intera struttura scricchiolava e ondeggiava come se fosse sul punto di andare in mille pezzi a ogni istante. Ma questo non sembrava affatto fermare i guerrieri di Stannis.

«Uomini coraggiosi» disse Tyrion a ser Balon, pieno d’involontaria ammirazione. «Andiamo a ucciderli.»

Guidò il suo gruppo oltre i focolai, la fuliggine e la cenere che punteggiavano la riva. Gli zoccoli dei loro cavalli e di quelli degli uomini di ser Balon ripiombavano sul molo di pietra. Ser Mandon Moore andò con loro, il suo scudo ormai ridotto a una rovina sbrecciata. L’aria era piena di fumo, di cenere. Il nemico cedette prima della loro carica. Tornarono a gettarsi in acqua, calpestando altri dei loro che cercavano di sbarcare. La testa di quel ponte di fortuna era una galea nemica semiaffondata con la scritta Veleno di drago dipinta sulla prora, la carena sventrata da una delle chiatte affondate e irte di rostri che Tyrion aveva collocato tra i moli. Un lanciere con l’emblema del granchio rosso di lord Celtigar conficcò la punta della sua arma nel torace del cavallo di ser Balon prima che lui riuscisse a smontare, facendolo volare giù dalla sella. Tyrion gli sfondò il cranio ancora sull’abbrivio. Solo che a quel punto, fu troppo tardi per tirare le redini. Il suo cavallo saltò alla fine del molo, finendo su un trinchetto frantumato. Con un nitrito di sofferenza, l’animale urtò il fondale basso. L’ascia da guerra di Tyrion volò via roteando. Anche Tyrion volò via roteando. La tolda devastata s’innalzò colpendolo in pieno.

Il resto fu pura follia. Il suo cavallo aveva una gamba spezzata e nitriva disperatamente. In qualche modo, Tyrion riuscì a estrarre la daga e a tagliare la gola al povero animale, ponendo fine alle sue sofferenze. Il sangue schizzò come da una fontana, inzuppandogli le braccia e il torace. Ritrovò l’equilibrio, si aggrappò alla murata, e poi fu di nuovo nel cuore della mischia, ondeggiando sul ponte inclinato grondante d’acqua. Uomini gli si avventarono contro. Ne uccise alcuni, ne ferì altri, altri ancora fuggirono, ma sembrava non esserci fine all’assalto. Perse il pugnale e trovò chissà come una lancia spezzata. La strinse spamodicamente e colpì di punta, urlando imprecazioni. Inseguì uomini che scappavano da lui, scalando la murata di un altro relitto, e poi di un altro ancora. E con lui c’erano sempre le sue due ombre bianche, Balon Swann e Mandon Moore, fulgidi nelle loro armature. Si ritrovarono circondati da picchieri di Velaryon. Li affrontarono schiena contro schiena, rendendo il combattimento una sorta di danza armoniosa.

Tyrion invece uccideva in modo sgraziato. Pugnalò nelle reni un uomo che gli dava le spalle, ne afferrò un altro per una gamba e lo scagliò nel fiume. Frecce sibilarono a un palmo dalla sua testa, rimbalzando contro l’armatura. Una rimase conficcata tra la spalla e la corazza pettorale, ma lui nemmeno se ne rese conto. Un uomo nudo piovve dal cielo e si schiantò su una delle tolde, esplodendo come un melone colpito da una mazza ferrata. Il suo sangue schizzò nella fessura della celata di Tyrion. Dal cielo cominciarono a piovere anche massi. Vennero a schiantarsi sulle navi devastate, macellando altra carne umana. Alla fine, l’intero ponte di relitti cedette e si contorse di lato, scaraventando Tyrion in acqua.

Il fiume delle Rapide nere dilagò all’interno del suo elmo. Tyrion se lo strappò di dosso e nuotò lungo la murata finché trovò un punto in cui l’acqua gli arrivava al collo. L’aria riecheggiava suoni stridenti, simili ai lamenti di un’enorme bestia in agonia. “La nave” ebbe il tempo di pensare. “La nave sta per cedere.” In realtà tutte le navi si stavano sfasciando. Il ponte di relitti stava andando definitivamente in pezzi. Una frazione d’istante dopo aver formulato quel pensiero ci fu una specie di rombo di tuono. Il ponte vacillò, e Tyrion si ritrovò di nuovo nel fiume.

Adesso la pendenza era tale da costringerlo a scalare, avanzando una spanna dopo l’altra aiutandosi con una fune. Con la coda dell’occhio, vide che il relitto in cui si erano incagliati aveva cominciato ad andare alla deriva, trascinato dalla corrente, ruotando lentamente man mano che gli uomini ci saltavano sopra. Alcuni indossavano tuniche con il cuore fiammeggiante di Stannis, altri con il cervo e il leone di Joffrey, altri ancora avevano emblemi diversi. Eppure nessuno di quei simboli sembrava avere più la minima importanza. C’erano fiamme sull’acqua, a monte e a valle. Da un lato infuriava la battaglia, una grande confusione di vessilli scintillanti su un mare di uomini in lotta gli uni contro gli altri, testuggini di lance che si formavano e si scioglievano, cavalieri che si aprivano la strada a fendenti nella massa, polvere, fango, sangue e fumo. Sul lato opposto, la Fortezza Rossa torreggiava sulla sommità della collina, sputando fuoco. Erano dalla parte sbagliata. Per un momento, Tyrion pensò di essere impazzito, pensò che l’esercito di Stannis e la fortezza si fossero scambiati di posto. “Come ha fatto a raggiungere la sponda nord?” Ma poi si rese conto che la tolda continuava a ruotare, che in qualche modo anche lui aveva ruotato: fortezza e battaglia si trovavano in posizioni invertite. “Battaglia? Quale battaglia, se Stannis non è arrivato dove invece sta combattendo?” Era troppo stanco per riuscire a comprendere. La spalla gli procurava dolori terribili. Se la tastò, trovò la freccia ancora conficcata e ricordò di essere stato colpito. “Devo togliermi da questa maledetta nave.” A valle c’era solo una muraglia di fuoco. Se il relitto si fosse staccato dalle altre carcasse, la corrente lo avrebbe trascinato dritto dentro le fiamme.

Al di sopra del frastuono della battaglia, qualcuno stava urlando il suo nome. Tyrion cercò di rispondere: «Qui! Sono qui! Aiutatemi!». La sua voce suonava talmente flebile che lui stesso stentò a udirla. Si issò sulla tolda fortemente inclinata, cercò di afferrare la murata. La galea urtò contro un’altra nave vicina, e il contraccolpo per poco non lo scaraventò di nuovo in acqua. Che fine aveva fatto la sua forza? Riusciva a stento a rimanere aggrappato.

«Mio lord! Prendi la mia mano! Mio lord Tyrion!…»

Sul ponte dell’altra nave, oltre un abisso d’acqua scura che andava allargandosi, torreggiava ser Mandon Moore, con la mano tesa verso di lui. Fiamme gialle e verdi balenavano sulla sua corazza bianca, e il suo guanto ferrato a lamine era viscido di sangue. Ma Tyrion cercò ugualmente di afferrarlo, desiderando disperatamente che le sue braccia fossero più lunghe. Ce l’aveva quasi fatta. Pochi, pochissimi centimetri. Le loro dita si sfiorarono… No, qualcosa non andava. Ser Mandon gli stava tendendo la mano sinistra. Perché…

Forse fu per questo che Tyrion arretrò. O forse invece fu perché vide la spada che calava? Non avrebbe mai avuto una risposta. La punta lo colpì in mezzo agli occhi. Lui sentì il morso gelido dell’acciaio, e poi quello rovente del dolore. La sua testa ruotò come se fosse stato schiaffeggiato. L’urto con l’acqua fredda del fiume fu uno schiaffo ancora peggiore. Annaspò alla ricerca di un appiglio. Sapeva che se fosse andato sotto non sarebbe più tornato su. In qualche modo, trovò l’estremità di un remo spezzato. Si aggrappò a esso come un amante disperato e cominciò ad arrampicarvisi. Aveva gli occhi pieni d’acqua, la bocca piena di sangue, e la testa che gli rimbombava. “Dei, datemi la forza di raggiungere la tolda…” Non esisteva nient’altro, soltanto il remo, l’acqua e il ponte.

Alla fine, rotolò oltre la sponda e giacque immobile sulla schiena, senza fiato ed esausto. Sfere di fuoco verde e arancione rombavano nel cielo, tracciando scie tra le stelle. Fece appena in tempo a pensare a quanto era bello, prima che ser Mandon tornasse a oscurargli la visuale. Il cavaliere era un’ombra di acciaio bianco, i suoi occhi due scintillanti schegge scure dietro la celata. A Tyrion rimaneva la forza di una bambola di stracci. Ser Mandon appoggiò la pianta della spada contro la sua gola e afferrò l’elsa con entrambe le mani.