«Tempi terribili generano cose terribili, mio lord.»
Bolton mostrò i denti in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso: «Sono davvero così terribili questi nostri tempi, maestro?».
«L’estate è finita e ci sono quattro re nel reame.»
«Un re potrebbe essere terribile, ma quattro?» il lord scrollò le spalle. «Nan, il mio mantello di pelliccia.» Arya glielo portò. «Le mie stanze pulite e in ordine, al mio ritorno» le disse nel drappeggiarsi la cappa sulle spalle. «E occupati anche dalla lettera di lady Walda.»
«Come comandi, mio signore.»
Il lord e il maestro uscirono senza più degnarla di uno sguardo. Rimasta sola, Arya prese la lettera e la portò vicino al focolare. Con un attizzatoio, smosse i ceppi in modo da ravvivare le fiamme. Osservò la pergamena contorcersi, annerirsi e infine avvampare. “Se i Lannister hanno fatto del male a Bran e a Rickon, Robb li sterminerà tutti. Non farà mai atto di sottomissione, mai, mai, mai. Non ha paura di nessuno di loro, lui.” Vortici di ceneri fluttuarono su per il camino. Arya sedette sui talloni accanto al fuoco, osservandoli salire attraverso un velo di calde lacrime. “Se Grande Inverno è davvero svanita, è questa la mia casa, adesso? E io sono ancora Arya, o sono diventata per sempre Nan la servetta?”
Le ci vollero ore per rimettere in ordine gli appartamenti del lord. Raccolse le lenzuola sporche e le sostituì con altre pulite e profumate, accese un altro fuoco, rifece il letto, svuotò i pitali nel condotto della latrina e li ripulì, portò alle lavandaie un mucchio di vestiti sporchi e mise sul tavolo una grande coppa di buone pere autunnali prese dalle cucine. Quando ebbe finito con la camera da letto, scese mezza rampa di scale per procedere con il solarium, una stanza spoglia, grande come la sala principale di svariati castelli minori. Rimpiazzò le candele ridotte a mozziconi. Sotto le finestre c’era un enorme tavolo di quercia su cui il lord scriveva le sue lettere. Arya rimise tutto in ordine, sostituì le candele anche lì, sistemò le penne d’oca, i calamai e la ceralacca.
Un’ampia pelle di pecora, sfrangiata ai margini, era appoggiata di traverso sopra i rotoli di pergamena. Arya stava cominciando ad arrotolarla quando il suo occhio cadde sui colori: il blu dei laghi e dei fiumi, i punti rossi che indicavano città e castelli, il verde delle foreste. La dispiegò completamente: LE TERRE DEL TRIDENTE, diceva la scritta sulla mappa. Il disegno mostrava dall’Incollatura fino al fiume delle Rapide nere. “Ecco Harrenhal, qui sopra il grande lago dell’Occhio degli Dei” si rese conto. “Ma dov’è Delta delle Acque?” Poi la vide. “Non è affatto lontana…”
Era appena metà pomeriggio quando Arya finì, così decise di andare nel parco degli dei. Quale coppiera di lord Bolton, i suoi doveri erano più leggeri di quanto fossero stati con Weese o anche con Occhio moscio, anche se richiedevano che lei si vestisse come un paggio e lavasse molti più panni di quanto le sarebbe piaciuto. Sarebbero passate ore prima del rientro dei cacciatori, e questo le lasciava un po’ di tempo per allenarsi.
Continuò a menare fendenti alle foglie fino a quando la punta frastagliata del suo manico di scopa non fu tutta verde e appiccicosa. «Ser Gregor» respirò, ripetendo i nomi dell’odio. «Dunsen, Polliver, Raff Dolcecuore.» Roteò su se stessa, spiccò un salto e rimase in equilibrio sulla punta dei piedi. Schizzò a destra, poi a sinistra, mandando pigne a volare chissà dove. «Messer sottile» ringhiò. «Il Mastino» disse ancora. «Ser Ilyn, ser Meryn, regina Cersei.» Un cavo in un tronco di quercia si apriva di fronte a lei, simile a una bocca spalancata. Grugnendo, Arya ci infilò la punta della spada, un affondo, un secondo, un terzo. «Joffrey! Joffrey! Joffrey!»
Le sue braccia e le sue gambe erano un mosaico di luce e di ombre, la luce del sole e le ombre delle foglie. Quando si fermò aveva la pelle coperta di sudore. Il sangue scintillava sul suo tallone destro, nel punto in cui se lo era spellato. Così Arya rimase in equilibrio su una gamba sola, davanti all’albero del cuore e salutò con la spada levata.
«Vaiar morghulis» disse agli antichi dei del Nord. Le piaceva il suono di quelle parole.
Nel riattraversare il cortile dirigendosi ai bagni, vide un corvo messaggero planare verso l’uccelliera. Si chiese da dove arrivasse, e quale messaggio portasse. “Forse è di Robb, che manda a dire che non è vero di Bran e di Rickon.” Si morse il labbro, sperando. “Se avessi le ali, potrei volare fino a Grande Inverno e vedere con i miei occhi. E se fosse vero, volerei via, oltre la luna e le stelle, a vedere tutte le cose delle storie della Vecchia Nan, i draghi e i mostri marini e il Titano di Braavos. E forse non tornerei più indietro, a meno che non lo volessi.”
Il gruppo dei cacciatori tornò al tramonto, portando nove lupi abbattuti. Sette di loro erano adulti, grandi bestie dal pelo grigio e marrone, selvagge e possenti, le fauci spalancate nell’ultimo ringhio. Ma gli altri due erano solo dei cuccioli. Lord Bolton diede ordine che le pelli degli animali venissero cucite insieme, in modo da farne una coperta per il suo letto. «I cuccioli hanno il pelo ancora morbido, mio lord» osservò uno dei suoi uomini. «Potresti farti fare un paio di guanti belli caldi.»
Lo sguardo di Bolton si spostò sui vessilli che ondeggiavano nel vento sulla torre del corpo di guardia. «Come gli Stark tengono a rammentarci, l’inverno sta arrivando. Fatemi quei guanti.» Notò che Arya lo stava osservando. «Nan, voglio una caraffa di vino caldo speziato. Mi sono gelato nei boschi. E fai in modo che il vino non si raffreddi. Intendo cenare da solo: pane d’orzo, cinghiale e burro.»
«Immediatamente, mio signore.» Con Roose Bolton, era sempre la cosa migliore da dire.
Nelle cucine, Arya trovò Frittella che stava preparando dei dolci. Altri tre cuochi erano intenti a ripulire del pesce, uno sguattero faceva ruotare sulle fiamme lo spiedo su cui era infilzato un cinghiale.
«Milord vuole la sua cena» annunciò Arya. «E vino caldo speziato per farla andare giù, e badate bene che non sia freddo.»
Uno dei cuochi si lavò le mani, prelevò una cuccuma e la riempì di denso, dolce vino rosso. Mentre questo si riscaldava, Frittella cominciò a tritare le spezie. Arya era pronta ad aiutarlo.
«Faccio da me» disse lui cupamente. «Non c’è bisogno che mi fai vedere come si spezia il vino.»
“Anche lui mi odia, adesso, oppure ha paura di me.” Arretrò, più triste che arrabbiata. Quando la cena fu pronta, il cuoco la ricoprì con un ampio coperchio d’argento e avvolse la caraffa in una pezzuola di stoffa spessa per mantenere caldo il vino.
Fuori era calato il crepuscolo. Sulle mura, i corvi gorgogliavano attorno alle teste mozzate come cortigiani al cospetto di un re. Una delle guardie le tenne aperta la porta della Torre del Rogo del Re.
«Spero che non sia zuppa di donnola» disse scherzando.
Roose Bolton era seduto vicino al focolare, leggendo un grosso tomo rilegato in pelle. «Accendi le candele» le ordinò, voltando una pagina. «È sempre più buio qui dentro.»
Arya appoggiò il vassoio della cena accanto a lui e obbedì, nella stanza si diffuse un chiarore tremolante e l’aroma dei chiodi di garofano. Bolton sfogliò ancora qualche pagina, quindi richiuse il libro e con calma lo pose tra le fiamme. Osservò il fuoco consumare la carte, i suoi occhi glauchi riflettevano il pulsare rossastro. Il vecchio cuoio crepato della rilegatura s’incendiò con un sibilo improvviso, le pagine ingiallite si arricciarono e si contorsero, come se le stesse leggendo uno spettro.