Выбрать главу

«Potresti essere tu a occuparti dei corvi.» I molti menti di Sam tremavano. «O anche Grenn, o chiunque altro» proseguì con una punta di disperazione nella voce. «Posso mostrarti io come si fa. E anche tu conosci le lettere. Sapresti scrivere i messaggi di lord Mormont bene quanto me.»

«Sono l’attendente del Vecchio orso. Devo fargli da scudiero, prendermi cura del suo cavallo, erigere la sua tenda. Non credo proprio che avrei il tempo di stare dietro agli uccelli. Inoltre, Sam, anche tu hai pronunciato il giuramento. Anche tu ora sei un confratello dei Guardiani della notte.»

«Un confratello dei Guardiani della notte non dovrebbe essere tanto spaventato.»

«Siamo tutti quanti spaventati, Sam. Saremmo degli sciocchi a non esserlo.»

Fin troppi ranger erano andati perduti negli ultimi due anni, perfino Benjen Stark, zio di Jon. Avevano trovato due dei suoi uomini nella foresta, massacrati. Ma poi, nel gelo della notte, i loro cadaveri erano tornati a risorgere. Al solo pensiero, Jon sentiva le dita bruciate contrarsi. Uno di quei morti viventi — il cadavere di Othor, occhi accesi da un freddo fuoco azzurro e gelide mani nere — continuava a turbare i suoi sonni. Ma questa era l’ultima delle cose che avrebbe ricordato a Sam.

«Non c’è vergogna nell’avere paura, mi diceva sempre mio padre» gli confidò. «Quello che conta è come l’affrontiamo. Forza, ti do una mano a raccogliere le mappe.»

Sam, con aria infelice, si sforzò di annuire. Gli scaffali erano talmente vicini tra loro che erano costretti a camminare uno davanti all’altro per uscire. L’accesso alla cripta dava su uno dei tunnel che i confratelli chiamavano “i passaggi dei vermi”, un dedalo di condotti sotterranei che collegava i manieri e le torri del Castello Nero. Durante l’estate, fatta eccezione per i ratti e altre creature del sottosuolo, i passaggi dei vermi venivano usati di rado. Ma in inverno, era tutt’altra storia. Quando la neve si accumulava fino a quaranta, cinquanta piedi e i venti gelidi scendevano a ululare dal Nord, erano quei tunnel a tenere unito il Castello Nero.

“Presto.” La parola continuava a rimbalzare nella mente di Jon mentre risalivano. Anche lui aveva visto il volatile messaggero per maestro Aemon che portava la notizia della fine dell’estate. Quel grande corvo giunto dalla Cittadella, bianco e silenzioso come Spettro, il suo meta-lupo. Jon ricordava di aver visto un inverno, tanto tempo prima, quando era appena un bambino. Ma tutti concordavano nel dire che si era trattato di un inverno breve e mite. Quello che stava arrivando sarebbe stato diverso. Jon se lo sentiva nelle ossa.

Raggiunsero la superficie. Alla fine dei ripidi gradini, Sam ansimava come il mantice di un fabbro. Il vento teso che li accolse fece turbinare e schioccare le falde del mantello di Jon. Spettro era allungato a sonnecchiare per terra, sotto la tettoia di legno e paglia del granaio. Percepì l’arrivo di Jon e immediatamente si rizzò sulle zampe, la folta coda bianca eretta mentre trottava verso di lui.

Socchiudendo gli occhi, Sam guardò verso la Barriera, una gigantesca muraglia di ghiaccio alta settecento piedi, torreggiante, incombente. A volte, a Jon sembrava una creatura vivente, dotata di umori propri. Il colore del ghiaccio mutava a seconda della luce: ora era del blu profondo dei fiumi congelati, ora del bianco sporco della neve vecchia e, quando una nube scivolava a intercettare i raggi del sole, si oscurava assumendo la sfumatura grigio pallido del granito. La Barriera si allungava a perdita d’occhio verso est e verso ovest. Era una fuga prospettica talmente immane da fare apparire i fortini e le torri di guardia del Castello Nero strutture insignificanti.

La Barriera era la fine del mondo.

“E noi stiamo per andare al di là.”

Esili nubi grigie striavano il cielo del mattino ma, dietro di esse, s’intravedeva sempre la pallida linea rossa. I confratelli in nero avevano chiamato l’astro vagabondo la Torcia di Mormont, affermando, un po’ per scherzo e un po’ no, che gli dei l’avevano inviato per guidare il Vecchio orso nei meandri della foresta Stregata.

«La cometa è talmente luminosa da essere visibile anche di giorno, adesso» commentò Sam continuando a osservarla, usando i libri come una visiera sugli occhi.

«Lascia perdere la cometa. Sono le mappe che vuole il Vecchio orso.»

Spettro si mosse avanti a loro. Gli spazi aperti del Castello Nero sembravano deserti a quell’ora del mattino. La maggior parte dei ranger aveva passato la notte nei bordelli di Città della Talpa, il villaggio in parte sotterraneo poco a sud della Barriera, alla ricerca di piaceri carnali e di sbornie in cui dimenticare se stessi. Anche Grenn era andato con loro. Pyp, Halder e Toad si erano offerti di comprargli la sua prima donna per celebrare la sua prima spedizione. Volevano che andassero anche Jon e Sam, ma a Sam le puttane facevano quasi altrettanta paura quanta gliene faceva la foresta Stregata, e a Jon la cosa non interessava. «Voi fate quello che vi pare» aveva detto a Toad. «Io rispetto il mio giuramento.»

Nel superare il tempio, udì voci che cantavano in coro un inno. “Alla vigilia della battaglia, certi uomini desiderano le puttane, altri gli dei.” Jon si domandò chi si sarebbe sentito meglio, dopo. Il tempio non lo tentava più di quanto lo tentasse il bordello. I suoi dei avevano i loro templi in luoghi isolati e selvaggi, dove gli alberi-diga allungavano i loro rami, bianchi come ossa spolpate. “I Sette Dei non hanno alcun potere oltre la Barriera” si disse “ma i miei dei mi stanno aspettando.”

Fuori dell’armeria, ser Endrew Tarth stava addestrando alcune nuove reclute. Erano arrivate la notte prima insieme a Conwy, uno dei corvi neri erranti che, come il veterano Yoren, percorrevano senza fine i Sette Regni alla ricerca di uomini per la Barriera. Quest’ultimo branco consisteva di un individuo dalla barba grigia che si appoggiava a un bastone, due ragazzi biondi che, dall’aspetto, sembravano fratelli, un giovanotto belloccio addobbato di satin lercio, uno straccione zoppo e un fesso con un sogghigno stampato sul volto che doveva credersi un grande guerriero. In quel momento, era a lui che ser Endrew stava dimostrando quanto errata fosse quella sua idea. Come maestro d’armi, ser Endrew era più delicato dell’inflessibile ser Alliser Thorne, ma non per questo le sue lezioni lasciavano meno lividi. A ogni colpo, Sam chiudeva gli occhi, Jon Snow, invece, osservava l’addestramento con attenzione.

«Che te ne pare di questi, Snow?» Donai Noye, torace nudo sotto il grembiale di cuoio, il moncone del suo braccio sinistro mutilato per una volta lasciato in vista, era in piedi sulla soglia della sua forgia. Con il suo ventre prominente e il petto muscoloso grosso come una botte, il naso rotto e l’ispida barba nera, Noye non era esattamente una bellezza, ma per Jon era comunque un piacere vederlo: l’armaiolo si era rivelato un buon amico.

«Puzzano d’estate» fu il commento di Jon, osservando ser Endrew che caricava il finto guerriero e lo mandava a stramazzare nella neve. «Dov’è che li ha trovati Conwy?»

«Nella prigione di un qualche lord dalle partì di Città del Gabbiano» rispose Noye. «Un bandito, un barbiere, un mendicante, due orfani e un ragazzo di piacere. Ecco con chi difendiamo il reame degli uomini.»

«Andranno bene.» Jon rivolse a Sam un sorriso incoraggiante. «Anche noi siamo andati bene, no?»

L’armaiolo gli fece cenno di avvicinarsi. «Le hai udite le notizie su tuo fratello?»

«Ieri sera.»

Le notizie in questione avevano raggiunto il Nord insieme a Conwy e ai suoi coscritti, e nella sala comune non si era parlato d’altro. Jon non era del tutto certo dei sentimenti che provava. Robb… re? Quel fratello con cui lui aveva giocato, lottato, bevuto la prima coppa di vino? “Ma non il latte della stessa madre, questo no. Così adesso Robb sorseggerà il vino dell’estate da calici tempestati di gioielli… mentre io m’inginocchierò lungo un torrente senza nome, a bere con le mani l’acqua sciolta delle nevi.”