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— Aspetti prima di giudicare — disse il vescovo. — Penso che stanotte sia successo ben più di quel che ci vediamo davanti.

— Saggia osservazione, monsignore — disse sottovoce Ender.

— Vi riferiremo noi l’accaduto, se volete — disse Ouanda. — Ela e io siamo addestrate a osservare con distacco obiettivo.

— È stato come un sacramento — disse Olhado.

Bosquinha si volse a Novinha, perplessa. — Li hai lasciati guardare?

Olhado si indicò gli occhi. — Tutti i maiali vedranno quel che è successo, un giorno o l’altro, come l’ho visto io.

— Non è stata una morte — affermò Quim. — È stata una resurrezione.

Il vescovo si avvicinò ai resti del cadavere dilaniato e sfiorò con un dito la pianticella che cresceva dalla cavità toracica.

— Il suo nome è Human — disse l’Araldo.

— Riposi in pace — mormorò il vescovo, tracciando su quei resti il segno della croce. Si guardò attorno e tornò dai membri del suo piccolo gregge, riflettendo che avevano appena portato l’umanità un passo più avanti di dove fosse mai stata. E io ne sono il pastore, si chiese, o la più confusa e ignorante delle pecore? - Andiamo, ora. Venite tutti in chiesa con me. Fra poco le campane annunceranno la prima messa.

I ragazzi si spazzolarono i vestiti e si avviarono. Anche Novinha s’incamminò con loro. Poi si fermò e tornò accanto all’Araldo, guardandolo con un invito silenzioso negli occhi.

— Ti raggiungo — annuì lui. — Ancora un minuto.

Lei scese lungo il pendio e seguì gli altri all’interno del recinto, accompagnandoli per la strada che più oltre risaliva la collina fino alla cattedrale.

La messa era cominciata da qualche minuto quando Peregrino, dall’altare, vide l’Araldo entrare in chiesa. Notò, e non fu il solo a notarlo, che il giovane straniero intingeva le dita nell’acquasantiera con la naturalezza di chi da anni vi passava davanti, e si segnava. L’Araldo cercò con gli occhi Novinha e la sua famiglia, e in pochi passi andò a prender posto accanto a lei. Dove era solito sedersi Marcão, le rare volte che la famiglia si faceva vedere insieme.

Il servizio religioso tornò a richiedere la sua attenzione. Poco dopo, allorché Peregrino poté di nuovo voltarsi, vide che a fianco dell’Araldo s’era seduto Grego, insolitamente calmo. Il vescovo ripensò ai termini del trattato, come la ragazza glieli aveva spiegati. Sentì che c’era un significato profondo nella morte del maiale chiamato Human, e un altro, nuovo, in quelle di Pipo e di Libo. Tutte le cose diventavano chiare; tutte le cose si riunivano, si collegavano. Il giovane Miro che giaceva paralizzato in un letto, con sua sorella Ouanda che lo accudiva. Novinha, che era stata perduta, ora ritrovata. Il recinto, quell’ombra oscura che gravava nel subconscio di chi viveva entro i suoi confini, ora spento e innocuo, invisibile, insostanziale.

Era il miracolo dell’ostia, diventata carne del Figlio di Dio nelle sue mani. Com’è sorprendente, pensò, scoprire che in noi c’è un po’ del corpo del Signore, dopotutto, quando pensavamo d’essere fatti soltanto di polvere.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

LA REGINA DELL’ALVEARE

L’evoluzione non aveva dato a sua madre un canale corporeo per partorirlo, né un seno per nutrirlo. Perciò la piccola creatura che un giorno si sarebbe chiamata Human non ebbe via d’uscita dal ventre di lei, se non quella che la sua cieca fame e i suoi denti avrebbero aperto. Così lui e i suoi fratelli venivano alla luce, divorando il corpo delle loro madri. E poiché Human era più forte e vigoroso degli altri, mangiò di più e diventò ancor più forte.

Human si trovò però nella tenebra più completa. Quando sua madre non ci fu più, da mangiare restò soltanto il dolce liquido che colava sulla superficie del suo mondo. Lui non sapeva che quella parete verticale era l’interno di un enorme albero cavo, e che il liquido di cui si nutriva era linfa vegetale. Né sapeva che le creature vermiformi molto più grosse di lui erano maiali già un po’ più cresciuti, quasi pronti a lasciare la tenebra dell’albero. E neppure sapeva che le altre creature, quelle più piccole di lui, erano maiali più giovani, usciti più di recente dal corpo delle loro madri.

Tutto ciò che per lui contava era mangiare, muoversi, e vedere la luce. Perché di tanto in tanto, a intervalli che non comprendeva, un’improvvisa luce s’insinuava in quel buio. Essa cominciava sempre con un suono, proveniente da un luogo che Human non riusciva a concepire. Poi l’albero tremava leggermente, la linfa cessava di scorrere, e tutta l’energia della pianta si concentrava per cambiare la forma del tronco in un punto di esso, costruendo un’apertura da cui entrava il chiarore. Quando c’era la luce Human si muoveva subito da quella parte. Quando la luce andava via, lui smarriva il senso della direzione e vagava senza meta in cerca di liquido da bere.

Finché un giorno, quando tutte le altre creature che aveva attorno erano più piccole di lui, e nessuna era più grande di lui, venne la luce e lui fu abbastanza forte e svelto da raggiungere l’apertura prima che si chiudesse. Piegò il suo corpo intorno all’orlo di quell’uscita, e sentì il ruvido contatto della corteccia contro il suo tenero addome. Ma non avvertì neppure il dolore, perché la luce era d’un tratto tanta da abbagliarlo. Non proveniva da un solo posto, bensì da tutti i posti, e non era grigia ma d’un vivido verde, e gialla, e di molti altri colori. Il suo rapito sbalordimento durò molto minuti. Poi fu di nuovo affamato, e tuttavia lì, all’esterno dell’albero-madre, la linfa usciva solo da certe fessure della corteccia dov’era difficile da raggiungere, e invece di tutte quelle piccole creature che poteva spingere via facilmente, qui ce n’erano altre, più grosse di lui, che lo allontanavano dai posti dove era facile nutrirsi. Quella era una cosa nuova, un nuovo mondo, una nuova vita, e lui ne era spaventato.

In seguito, allorché imparò a parlare, avrebbe ricordato il viaggio dalle tenebre alla luce e capito che quello era stato il passaggio dalla prima vita alla seconda, dalla vita di tenebra a quella della mezza-luce.

Araldo dei Defunti, La Vita di Human, 1:1-5

Miro aveva deciso di andarsene da Lusitania. Forse l’unica soluzione era di prendere la nave dell’Araldo, dopotutto, e consegnarsi alle autorità di Trondheim. E forse, al processo, sarebbe riuscito a persuadere i Cento Mondi a non dichiarare guerra ai lusitani. Alla peggio sarebbe diventato un martire, avrebbe fatto presa sul cuore della gente, lo avrebbero ricordato e la sua vita non sarebbe stata inutile. Qualunque cosa era meglio che restare lì.

Nei primi giorni dopo l’incidente al recinto era migliorato rapidamente. Aveva ritrovato un certo controllo muscolare e parte della sensibilità alle braccia e alle gambe. Abbastanza da trascinarsi qua e là con passi incerti, come un vecchio rudere. Abbastanza da muovere le braccia e le mani. Abbastanza per metter fine all’umiliazione di dover farsi lavare e pulire da sua madre. Ma poi i suoi progressi erano rallentati fino a cessare. — Le cose stanno così — aveva detto Navio. — Hai raggiunto un livello di stabilità permanente del danno fisico. E devi ritenerti fortunato, Miro, perché riesci a camminare, a parlare, e sei un uomo completo con la possibilità di procreare. Non sei più limitato, diciamo così, di un centenario in buona salute. Mi piacerebbe poterti dire che il tuo corpo tornerà a essere com’era prima che ti arrampicassi su quel dannato recinto, con il vigore e i riflessi di un ventenne. Ma sono molto più contento di non doverti dire che trascorrerai la vita a letto, con dei cateteri infilati nel corpo per nutrirti e ripulirti, senza altro da fare che ascoltare musica e chiederti che fine farà il tuo corpo.