Così devo ringraziare il cielo, pensò Miro. Con le mani che terminano con cinque bastoncini quasi inutili, con una voce che suona come un borbottio incomprensibile ai miei stessi orecchi, incapace di modulare come si deve un parola, devo ritenermi fortunato di essere un vecchio centenario e di vedere davanti a me ottant’anni di vita da centenario fin da ora.
Una volta capito che lui non aveva più bisogno di costante attenzione, la sua famiglia aveva ripreso le attività abituali. Quelli erano giorni troppo eccitanti perché loro stessero a casa a deprimersi guardando quant’era depressa la sua faccia. Li capiva perfettamente. E non voleva che i familiari restassero a casa con lui. Ma avrebbe voluto essere con loro. Il suo lavoro era tutto da compiere. Adesso il recinto e le norme sul contatto ridotto al minimo erano solo un ricordo. Adesso avrebbe potuto farsi chiarire dai maiali tutti gli interrogativi su cui per anni s’era lambiccato il cervello.
Dapprima aveva cercato di lavorare per mezzo di Ouanda. Lei passava ogni mattina e ogni sera, e faceva i suoi rapporti di lavoro usando il terminale nell’atrio di Casa Ribeira. Lui esaminava quelle registrazioni, le poneva domande, ascoltava i suoi racconti spiccioli sui fatti accaduti. E Ouanda si scriveva con grande serietà le domande che Miro le chiedeva di fare ai maiali. Dopo qualche giorno di quell’andazzo, tuttavia, lui aveva notato che sebbene alla sera Ouanda si presentasse con tutte le risposte da lui desiderate, non c’era più discussione, niente di quei confronti verbali e intellettuali con cui un tempo avevano messo alla prova le loro teorie. Tutta l’attenzione di lei era adesso rivolta al lavoro, al suo lavoro. E Miro aveva smesso di farle prender nota delle sue domande. Le aveva mentito, le aveva detto che era molto più interessato a quello che lei stava facendo, e che le vie su cui lei procedeva con i suoi studi erano le più solide e importanti.
La verità era che odiava vedere Ouanda. Per lui, la rivelazione che la ragazza era sua sorella era stata dolorosa e terribile. E ancor peggio quando pensava che, se la decisione fosse dipesa da lui, avrebbe ignorato il tabù dell’incesto per sposarla e vivere, se necessario, nella foresta con i maiali. Perché Ouanda, comunque, era credente, era religiosa. Non sarebbe mai riuscita a violare l’unica legge umana a carattere universale. Aveva sofferto nel sentirsi dire che Miro era suo fratello, ma subito aveva cominciato a staccarsi da lui: dimenticare i contatti, i baci, i sussurri, le promesse, i litigi, le risate… dimenticare, cancellare dal suo banco-dati quel programma.
E anche Miro avrebbe voluto dimenticare. Ma non poteva. Ogni volta che la vedeva, soffriva nell’accorgersi quanto lei fosse riservata, quanto educata, quanto gentile. Lui era suo fratello, un bravo amico, un invalido, certo. E lei sarebbe stata tanto comprensiva. Ma l’amore era finito.
Spietatamente Miro paragonava Ouanda a sua madre. Novinha aveva saputo amare il suo uomo senza curarsi delle barriere poste fra loro dalla società. Ma l’amante di Novinha era stato un uomo sano, fisicamente valido, non la carcassa che lui era diventato.
Così Miro stava a casa e studiava i rapporti di lavoro stesi da qualcun altro. Era una tortura sapere ciò che stavano facendo, quando non poteva prendervi parte; ma era sempre meglio che girare i pollici, o guardare qualche spettacolo registrato, o istupidirsi con gli inutili esercizi rieducativi assegnatigli da Navio. Poteva ancora usare la tastiera del terminale, mirando accuratamente a ogni tasto con il suo dito più rigido, l’indice della mano destra. Non aveva abbastanza destrezza da compiere le operazioni più complicate, né velocità sufficiente per scrivere, ma poteva contattare l’archivio pubblico e leggere ciò che gli altri stavano facendo. Riusciva, se non altro, a mantenere un legame con quei lavori importanti che erano improvvisamente fioriti su Lusitania con l’apertura del recinto.
Ouanda era impegnata a compilare un vocabolario Stark-Lingua dei Maschi-Lingua delle Mogli, completo di un sistema fonetico, cosicché i maiali potessero scrivere nelle tre lingue. Quim la stava aiutando, ma Miro sapeva che il fratello aveva i suoi scopi personali: intendeva fare il missionario presso altre tribù di maiali, per insegnare loro il catechismo prima che leggessero La Regina dell’Alveare e l’Egemone, e voleva tradurre per loro almeno una parte delle sacre scritture, e predicare nella loro lingua. Tutto questo lavoro linguistico e culturale era un’ottima cosa, preservava il passato dei maiali, preparava gli uomini a comunicare con altre tribù, ma Miro sapeva che avrebbe potuto esser fatto dai seguaci di Dom Cristão, che già si avventuravano nel loro abito monacale fra i maiali per interrogarli e per rispondere alle domande con istintiva esperienza e professionalità. Ouanda si stava avviando a divenire superflua, Miro ne era certo.
Il lavoro più concreto con i maiali, a suo avviso, era quello portato avanti da Ender e da alcuni tecnici del municipio messi a disposizione da Bosquinha. Stavano stendendo tubature, pompe e depuratori, per portare l’acqua dal torrente alla radura delle mogli. Inoltre avevano già messo in funzione una linea elettrica, e insegnavano ad alcuni maiali a manovrare un terminale installato laggiù. Nello stesso tempo li istruivano sui sistemi più primitivi di agricoltura, e tentavano di addomesticare i cabras come animali da traino e da aratro. Era irrazionale fornire ai maiali tecnologie di livello così diverso tutte in una volta, ma Ender era venuto a discuterne con Miro, spiegandogli che per motivi psicologici voleva mostrare loro anche qualcosa di spettacolare come conseguenza del trattato: l’acqua corrente, un terminale olografico con cui potevano leggere tutto il materiale della biblioteca, e luce elettrica la notte. Ma questo per loro era ancora magia, qualcosa che comunque dipendeva dalla colonia umana. Perciò Ender conduceva in parallelo un lavoro di base teso a renderli autosufficienti, inventivi, capaci di sviluppare le loro risorse. La meraviglia delle luci elettriche avrebbe generato miti che si sarebbero sparsi da tribù a tribù, sul resto del pianeta, ma ciò sarebbe stato soltanto una voce e una favola per molti anni ancora. Sarebbero stati gli aratri di legno, le falci, gli erpici e i semi di amaranto a portare i cambiamenti reali, a migliorare il livello di vita delle tribù in un cerchio sempre più largo. E quelle novità potevano essere trasmesse da un maiale che andasse in giro con un sacchetto in pelle di cabras pieno di semi e le nozioni basilari nella sua memoria.
Questo era il lavoro a cui Miro avrebbe agognato di prender parte. Ma a cosa sarebbero servite le sue mani rigide e i suoi piedi incespicanti in un campo di amaranto? A chi avrebbe giovato la sua presenza fra i telai che tessevano la lana di cabras? Non riusciva neppure a parlare abbastanza chiaro da fare l’insegnante.
Ela stava lavorando per modificare varietà di piante terrestri, e anche piccoli animali ed insetti, in modo che potessero resistere alla Descolada, o perfino neutralizzarla. Sua madre la aiutava con qualche consiglio, ma non molto, perché era all’opera sul più importante e segreto di tutti quei progetti. E ancora era stato Ender a rivelare a Miro ciò che soltanto la sua famiglia e Ouanda conoscevano, e cioè che la Regina dell’Alveare esisteva davvero, era viva nel suo stadio larvale, e sarebbe stata tolta dal bozzolo non appena Novinha avesse trovato il modo di renderla immune alla Descolada, lei e tutti gli Scorpioni che sarebbero nati da lei. Presto, molto presto, la Regina avrebbe ridato vita alla sua razza.
E Miro non sarebbe stato parte neppure di questo. Per la prima volta gli esseri umani e ben due razze extraterrestri avrebbero vissuto insieme sullo stesso mondo, e lui non poteva partecipare a nulla di tutto questo. Era perfino meno umano di un maiale. Non riusciva a parlare la sua stessa lingua altrettanto bene, non poteva usare le mani con la stessa destrezza. Aveva smesso di essere un animale parlante e fabbricatore di utensili. Era una specie di varelse, adesso. Agli altri poteva servire tutt’al più come animale da compagnia.