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Vi fu anche molta preoccupazione per il morale della gente trasferitasi su Lusitania. Alla colonia furono inviati, via ansible, programmi d’intrattenimento creati apposta per l’occasione e non poco costosi, per contribuire a distogliere la loro mente dal lutto che li aveva colpiti.

E infine, dopo aver fatto tutto ciò che pensavano di dover fare per i framlings di Lusitania — i quali, dopotutto, si trovavano ad anni-luce da loro — i cittadini dei Cento Mondi tornarono alle più familiari preoccupazioni di casa propria.

Al di fuori di Lusitania un solo uomo, fra i trilioni che vivevano nei Cento Mondi, sentì che la morte di João Figueira Alvarez, detto Pipo, avrebbe causato un grande cambiamento nella sua vita. Andrew Wiggin era l’Araldo dei Defunti nella città universitaria di Reykjavik, famosa come luogo di conservazione della cultura Nordica e incuneata sui versanti rocciosi di un fiordo, dritto come la lama di un coltello, che tagliava il granito e il ghiaccio in una zona equatoriale del gelido mondo di Trondheim. Era primavera, le nevi si stavano sciogliendo, e l’erba e i fragili fiori cominciavano a far capolino per assorbire forza dal sole. Andrew sedeva presso il bordo scosceso di un’altura soleggiata, con intorno a sé una dozzina di studenti che si stavano occupando della storia della colonizzazione interstellare. Era pensieroso, e ascoltava con un orecchio solo i ragazzi discutere, in tono acceso, sul fatto se la schiacciante vittoria ottenuta nelle Guerre contro gli Scorpioni fosse stata o meno il necessario preludio all’espansione umana. Le discussioni su quell’argomento finivano sempre col degenerare in attacchi verbali contro Ender, il mostro umano che aveva comandato la flotta interstellare responsabile dello Xenocidio degli Scorpioni. E in quei casi la mente di Andrew vagava altrove. Non che quel soggetto lo annoiasse; d’altro canto preferiva evitare di concentrare la sua attenzione su di esso.

Fu allora che il minuscolo computer impiantato come un gioiello nel suo orecchio destro lo informò della spiacevole fine toccata a Pipo, lo xenologo di Lusitania, e subito s’irrigidì in ascolto. Poi interruppe le chiacchiere dei suoi studenti.

— Cosa sapete voialtri dei maiali? — li interrogò.

— Sono la nostra unica speranza di redenzione — disse uno di loro, che doveva aver preso Calvino più sul serio di Lutero.

Andrew si volse a Plikt, una studentessa nota per la sua scarsa pazienza verso i misticismi di quel genere. — I maiali non esistono per l’adempimento degli scopi umani, di redenzione o d’altro genere — disse Plikt, con rovente disprezzo. — Sono autentici umanoidi, proprio come gli Scorpioni.

Andrew annuì, ma s’era accigliato. — Li definisci con un termine che pochi accetterebbero.

— Dovrebbero farlo tutti — disse Plikt. — Chiunque su Trondheim, e ogni nordico sui Cento Mondi, dovrebbe aver già letto a quest’ora la History of Wutan in Trondheim, di Demostene.

— Dovremmo, ma non l’abbiamo letta — sospirò uno studente.

— Le dica di non pavoneggiarsi tanto, Araldo — disse un altro. — Plikt è l’unica creatura che riesce a far la ruota anche col deretano poggiato in terra.

Plikt chiuse gli occhi. — La lingua nordica suddivide in quattro ordini gli individui di altra provenienza. Per il primo usa il termine estraneo, o utlänning, cioè lo sconosciuto che riconosciamo come umano e del nostro mondo ma giunto da un’altra città o nazione. Per il secondo c’è il termine framling, che Demostene adotta senza l’accentazione del nordico framling, vale a dire lo straniero che noi riconosciamo come umano ma di un altro mondo. Il terzo ordine è quello degli umanoidi, o raman, cioè lo straniero che riconosciamo come un umano di altra specie. E il quarto è il vero alieno, o varelse, categoria che include ogni creatura con cui non è possibile instaurare una comunicazione, animali compresi. Essi esistono, ma noi non possiamo neppure ipotizzare gli impulsi o le cause che li fanno agire. Potrebbero essere intelligenti, potrebbero avere un’autocoscienza, tuttavia noi non lo sappiamo.

Andrew notò che diversi studenti davano segni di noia. Schioccò le dita per richiamare la loro attenzione. — Voi state pensando che Plikt dia prova di un’arroganza seccante, eh? Ma non è così. Plikt non è arrogante, si limita ad essere precisa. È comprensibile che proviate un po’ di vergogna per non aver letto la storia che Demostene ha scritto della vostra gente, ma non è giusto che sublimiate questa vergogna in una reazione contro Plikt, la quale non ha colpa dei vostri peccati.

— Pensavo che gli Araldi non credessero nel peccato — saltò su a dire un ragazzo.

Andrew sorrise. — Tu credi nel peccato, Styrka, e agisci di conseguenza. Perciò il peccato è reale per te, e conoscendo te questo Araldo deve credere nel peccato.

Styrka rifiutò di gettare la spugna. — Cos’ha a che fare tutto questo parlare di utlannings e framlings e ramans e varelse con lo xenocidio di Ender?

Andrew guardò Plikt. La ragazza ci pensò su un momento. — Questo è attinente alla stupida discussione che stavamo facendo. Grazie alla classificazione che come ho detto esiste nella lingua nordica, possiamo vedere che Ender non ha compiuto un vero xenocidio distruggendo gli Scorpioni, poiché a quel tempo li conoscevamo come varelse, alieni. Fu soltanto negli anni successivi, quando il primo Araldo dei Defunti scrisse La Regina dell’Alveare e l’Egemone, che l’umanità seppe che gli Scorpioni non erano stati affatto alieni, bensì umanoidi. Fin’allora non c’era stata comunicazione fra gli Scorpioni e gli umani.

— Uno xenocidio è uno xenocidio — disse Styrka. — Solo perché Ender non sapeva che fossero umanoidi, questo non li rende meno morti.

La scarsa attitudine di Styrka al perdono fece sospirare Andrew. Fra i calvinisti di Reykjavik si tendeva a negare ogni importanza alle motivazioni umane, quando c’era da soppesare la bontà o la malvagità di un atto. Le azioni erano buone o malvage di per sé, dicevano essi, e poiché gli Araldi dei Defunti affermavano invece che il bene e il male esistevano soltanto nelle intenzioni umane, e non nelle conseguenti azioni, ciò rendeva studenti come Styrka abbastanza ostili ad Andrew. Per sua fortuna lui, consapevole dei motivi che stavano dietro la cosa, non se ne faceva un cruccio.

— Styrka, Plikt, lasciate che vi sottoponga un altro caso. Prendiamo i maiali, che hanno imparato a parlare lo stark e la cui lingua è conosciuta da qualche umano, e supponiamo di venire a sapere che essi, all’improvviso e senza alcuna provocazione, abbiano torturato e ucciso lo xenologo mandato ad osservarli.

Plikt balzò subito sulla domanda. — Come potremmo sapere che non c’è stata provocazione? Ciò che a noi sembra innocuo, per loro può essere insopportabile.

Andrew sorrise. — Vero. Ma lo xenologo non avrebbe fatto loro del male, né interagito con le loro attività, né chiesto loro niente. In base a ogni standard comportamentale teorizzabile, non sarebbe dunque meritevole di morte. Basterebbe, da solo, un tale incomprensibile omicidio a far definire i maiali alieni invece che umanoidi?

Ora fu Styrka a non avere esitazioni. — Un delitto è un delitto. Tutte queste chiacchiere di alieni e umanoidi sono controsensi. Se i maiali uccidono sono malvagi, com’erano malvagi gli Scorpioni. Se l’atto è perverso, è perverso chi lo compie.

Andrew annuì. — Ecco qui il nostro problema, allora, un dilemma. È stato malvagio questo omicidio, se dal punto di vista dei maiali si fosse trattato di una buona azione? E i maiali sono ancora da considerare umanoidi oppure alieni? Per un momento, Styrka, tieni a freno la lingua. Conosco già tutte le argomentazioni di voi calvinisti, ma perfino Giovanni Calvino riterrebbe stupido il vostro modo di pensare.