— Ebbene, perché?
— Perché ho scoperto che Andrew Wiggin, Araldo dei Defunti, è Ender Wiggin lo Xenocida.
Anche se suo fratello era partito da quattro anni, ne distava ancora diciotto dalla sua destinazione. Valentine provò un fremito di paura al pensiero di quel che gli sarebbe successo, se al suo arrivo su Lusitania fosse stato accolto come il più spietato distruttore di alieni della storia umana.
— Lei non ha motivo di temere, professoressa Wiggin. Se avessi voluto rivelarlo, l’avrei già fatto da tempo. Ma quando l’ho scoperto ho capito anche quanto ne fosse pentito. E che meravigliosa espiazione è stata la sua! Fu il primo Araldo dei Defunti a condannare Ender e il suo terribile crimine, e perciò lui pure volle diventare un Araldo, come centinaia di altri, per svolgere il ruolo di accusatore di se stesso su più di venti mondi. Quanta poesia e sofferenza c’è in questo!
— Plikt, tu hai scoperto molto e non hai capito niente.
— L’ho capito a fondo, invece! Legga quello che ho scritto, e vedrà!
Valentine era rigida, e si disse che se la giovane assistente aveva scavato così a fondo tanto valeva che sapesse anche il resto. Ma fu la rabbia, non la ragione, a spingerla a confidarle ciò che non aveva mai detto neppure a suo marito. — Plikt, mio fratello non ha imitato il primo Araldo dei Defunti… ha scritto lui La Regina dell’Alveare e l’Egemone!
Quando Plikt comprese il senso delle parole di Valentine, ne fu così sopraffatta che si sbiancò in viso e cominciò a tremare. Per tutti questi anni aveva considerato Andrew Wiggin come il soggetto del suo studio, e il primo Araldo dei Defunti come il suo ispiratore. Scoprire che erano la stessa persona la annientò al punto che per mezz’ora dovette restare seduta su un divano, con le gambe molli.
Poi le due giovani donne parlarono, scoprirono di riuscire ad aprirsi molto l’una con l’altra e con sorpresa di entrambe divennero amiche. Valentine chiese a Plikt di essere la tutrice dei suoi figli, e la volle come assistente sia all’università che nella sua attività di saggista. Jakt le mise a disposizione una delle lussuose camere per gli ospiti, e in breve quella divenne la sua dimora permanente. Ma qualche tempo dopo Valentine decise di rivelare anche a lui quei segreti che Plikt era stata quasi costretta a cercare e a scoprire. La cosa finì per diventare una specie di leggenda di famiglia, ed i bambini crebbero sentendosi raccontare la meravigliosa storia del loro ormai perduto Zio Ender, che sui Cento Mondi era da tremila anni ricordato come un mostro, ma che in realtà era un grande saggio, o un profeta, o almeno un martire.
Gli anni trascorsero, la famiglia prosperava, il dolore di Valentine per la perdita di Ender lasciò il posto all’orgoglio per lui e infine a un forte senso di attesa. Era impaziente che il fratello arrivasse su Lusitania, per risolvere il dilemma dei maiali e tener fede al suo destino di apostolo dei ramans. Fu Plikt che, da buona luterana, riuscì a persuadere Valentine a vedere la vita di Ender in termini religiosi; e gli affetti che davano forza e solidità alla sua famiglia insieme a quei piccoli miracoli che per lei erano i cinque figli contribuirono a istillarle emozioni e sentimenti molto simili alla fede.
Questo influì profondamente anche sui bambini. La storia dello Zio Ender, che potevano raccontarsi soltanto fra di loro e in segreto, assunse sfumature soprannaturali. Syfte, la primogenita, ne era particolarmente appassionata, al punto che quando compì vent’anni e malgrado il suo raziocinio avesse debellato la primitiva e fanciullesca adorazione per lo Zio Ender, era ancora più che mai ossessionata da lui. Per la ragazza si trattava di un personaggio avvolto nella leggenda e tuttavia vivo e reale, e su di un pianeta tutt’altro che irraggiungibile.
Non disse nulla a sua madre e a suo padre, però un giorno si confidò con la sua tutrice. — Prima o poi, Plikt, io lo ritroverò. Andrò a cercarlo e lo aiuterò nel suo lavoro.
— Cosa ti fa pensare che abbia bisogno di aiuto? Il tuo aiuto, poi! — Plikt era un’esperta nell’esibire scetticismo, almeno finché i suoi studenti non dimostravano concretamente le loro affermazioni.
— Non lo svolgeva da solo quando cominciò. Non è così? — dichiarò Syfte, e i suoi sogni tornarono a volare lontano, via dal freddo mondo di Trondheim e verso quel pianeta su cui Ender non aveva ancora messo piede. Gente di Lusitania, voi non immaginate neppure quale grande essere umano calcherà la terra su cui vivete e si addosserà il vostro fardello! Ed io lo raggiungerò, a tempo debito, anche se ciò avverrà con una generazione di ritardo… preparati ad accogliere anche me, Lusitania!
A bordo della sua astronave, Ender Wiggin non era consapevole del carico di sogni altrui che stava portando con sé. Soltanto sei giorni erano trascorsi da quando aveva lasciato Valentine in lacrime sul molo. Per lui Syfte non aveva nome, era una creatura contenuta nel ventre di sua sorella, e nulla di più. Cominciava solo allora a sentire nostalgia per Valentine… un sordo dolore che in lei era sfumato da anni. E i suoi pensieri erano lontani dagli sconosciuti nipoti, maschi e femmine, che vivevano su quel pianeta di ghiacci eterni.
Era a una ragazza solitaria e tormentata di nome Novinha che pensava, domandandosi cos’avrebbero portato per lei quei ventidue anni e che persona sarebbe stata quando lui l’avrebbe finalmente incontrata. Perché sentiva di amarla, così come si può amare soltanto qualcuno in cui si è vista riflessa la propria immagine quale la si conosce nei momenti di angoscia più profonda.
CAPITOLO SESTO
OLHADO
I loro soli rapporti con le altre tribù sembrano di stampo bellico. Quando si raccontano storie e avventure (solitamente nei giorni di pioggia) quasi sempre esse trattano di combattimenti e di eroi. Ma inevitabilmente si concludono con la morte, sia degli eroi che dei codardi. Se questi racconti sono rivelatori, c’è da supporre che i maiali non si aspettino di vivere vere vicende guerresche. E in esse non si legge mai il minimo cenno d’interesse per le femmine del nemico, vuoi per farle schiave, vuoi per massacrarle, tradizionale comportamento umano verso gli sconfitti.
Questo significa che non ci sono scambi genetici fra le tribù? Non del tutto. Si può ipotizzare che gli scambi genetici siano condotti dalle femmine, che potrebbero avere un loro sistema per ottenere i favori altrui. Dato l’evidente completo asservimento dei maschi alle femmine nella società dei maiali, la cosa potrebbe avvenire all’insaputa dei maschi stessi; o forse causa in loro una tale vergogna che semplicemente non osano ammetterla con noi.
Ciò che ci narrano più volentieri sono gli eventi bellici. Ecco una loro tipica esposizione, tratta dalle note di mia figlia Ouanda del 21.2 dell’anno scorso, durante una di queste sedute dentro la casa di tronchi: MAIALE (parlando stark) — Egli uccise tre dei fratelli senza riportare una sola ferita. Non avevo mai visto un guerriero così forte e coraggioso. Le sue braccia erano lorde di sangue, e il suo bastone era sporco delle cervella spaccate dei miei fratelli. Sapeva d’essersi fatto onore, anche se per il resto la battaglia s’era volta a sfavore della sua imbelle tribù. Dei honra! Eu lhe dei! (Gli resi onore! Glielo dovevo!)
(Gli altri maiali fanno schioccare la lingua e squittiscono.)
MAIALE — Lo inchiodai al suolo. Lui continuò a dibattersi con vigore finché non gli mostrai l’erba che avevo in mano. Allora aprì la bocca e mugolò strane canzoni della sua terra lontana. Nunca serà madeira na mão da gente! (Lui non sarà mai un bastone nelle nostre mani!)
(A questo punto tutti intonano in coro una canzone nella Lingua delle Mogli, uno dei più lunghi passaggi da me mai uditi.)
(Si noti che questo è un tipico schema del loro comportamento. Cominciano sempre una narrazione in stark, e poi, al momento culminante o conclusivo, passano al portoghese. Riflettendoci, ci siamo resi conto che anche noi facciamo lo stesso, passando alla nostra lingua natale nei momenti di maggiore emozione.)