Questo esempio di narrazione bellica può non sembrare affatto singolare, finché, dopo averne uditi molti altri, si nota che tutti terminano con la morte dell’eroe. Evidentemente non sono attirati dall’avventura a lieto fine.
Non c’era molto di cui occuparsi durante un viaggio interstellare. Una volta che la rotta era stata programmata e l’astronave era entrata nell’effetto Park, tutto ciò che restava era sorvegliare gli indicatori per vedere quanto si fosse prossimi alla velocità della luce. Il computer di bordo la stabiliva con assoluta precisione, e determinava dopo quale intervallo, in tempo soggettivo, retrocedere dall’effetto Park tornando istantaneamente a una ridottissima velocità di manovra. Come il semplice scatto di un interruttore, pensava Ender: si accende, e si parte; si spegne, e la corsa è finita.
Jane non poteva mettere molto di sé nelle poco sofisticate apparecchiature dell’astronave, così lui trascorse gli otto giorni del viaggio praticamente in solitudine. Uno dei computer di bordo era tuttavia in grado d’insegnargli a tradurre dallo spagnolo al portoghese. Trovò la lingua abbastanza facile da pronunciarsi, ma erano tante le consonanti mute che capirla risultava più difficile.
Parlare in portoghese con un computer buono soltanto a tradurre non era però divertente. Non per più di un’ora o due al giorno. In tutti i suoi altri viaggi, con lui c’era stata Valentine. Non che avessero mai fatto un gran parlare; si conoscevano così a fondo che sui fatti essenziali non avevano quasi bisogno di esprimersi, e la loro conversazione era stata sempre fatta di chiacchiere spicciole. Ma senza la presenza di lei Ender trovava scarsa soddisfazione nei suoi pensieri, come se in mancanza di un raffronto stentassero a focalizzarsi.
Neppure la Regina dell’Alveare poteva essergli di compagnia. I pensieri di lei erano istantanei, legati non già alle sinapsi ma ai filoti, che restavano al di fuori degli effetti relativistici della velocità-luce. La creatura viveva sessanta ore soggettive per ogni minuto del tempo di Ender, il che impediva ogni genere di comunicazione con lei. Se non fosse stata ancora chiusa nel bozzolo avrebbe avuto migliaia di Scorpioni collegati a lei, ciascuno occupato nel suo lavoro, ciascuno simile a un terminale che trasferiva nell’immensa memoria di lei ogni sua esperienza. Ma da quando era entrata nel bozzolo non aveva che ricordi prenatali da rivangare, e in quegli otto giorni di silenzio Ender cominciò a capire la sua impazienza di venire alla luce e svilupparsi.
L’ottavo giorno i suoi sforzi linguistici lo avevano condotto al punto che riusciva a esprimersi direttamente in portoghese, invece di fare una traduzione mentale preliminare dallo spagnolo. Ma non ne poteva più di parlare rivolto a un microfono. Sarebbe stato perfino ansioso di mettersi a discutere di religione con un calvinista reazionario, pur di avere un ascoltatore meno ottuso di quel piccolo computer.
L’astronave rientrò nell’effetto Park, e in un’incommensurabile frazione di secondo la sua velocità tornò relativa rispetto al resto dell’universo. O piuttosto, se la teoria valeva qualcosa, era stato il resto dell’universo a cambiare velocità, mentre quella della nave rimaneva immutata: la velocità-zero. Nessuno aveva mai potuto verificarlo sperimentalmente, poiché non esisteva un punto esterno a velocità-zero da cui osservare il fenomeno. E nessuna teoria spiegava a fondo l’effetto filotico. L’ansible era stato scoperto casualmente, in seguito al Principio d’Istantaneità di Park, ambedue cose non ancora supportate da una teoria ma funzionanti.
Gli oblò a visione diretta e gli schermi s’erano immediatamente riempiti di stelle. Un giorno o l’altro uno scienziato avrebbe capito perché l’effetto Park non costava quasi nulla in termini di energia. Ma Ender era certo che da qualche parte qualcosa pagava un prezzo tremendo per ogni viaggio compiuto da un’astronave. Una notte aveva sognato che quando una nave entrava nell’effetto Park si spegneva una stella. Jane l’aveva definita una fantasia, eppure la maggior parte delle stelle dell’universo restavano invisibili all’indagine umana, e Ender s’era detto che miliardi di esse avrebbero potuto estinguersi senza che nessuno se ne accorgesse mai. Triliardi di stelle. E anche di quelle della nostra galassia, per migliaia d’anni continueremmo a vedere i fotoni da loro emessi dopo la loro scomparsa. Quando poi ci accorgessimo che la Via Lattea si sta spegnendo, sarebbe troppo tardi per passare ai ripari.
— Eccoti seduto lì, vittima di qualche tua fantasia paranoica, eh? — disse Jane.
— Pretendi di leggermi nella testa? — brontolò Ender.
— Ogni volta che esci da un volo interstellare precipiti nel malumore e nelle tue speculazioni sulla distruzione dell’universo. È mio dovere annotarti che si tratta di un atteggiamento insano.
— Hai informato le autorità di Lusitania del mio arrivo?
— È una colonia assai piccola. Non c’è nessun burocrate preposto all’arrivo di stranieri, perché nessuno ci va mai. Tutto quel che hanno è una navetta automatica per far scendere la gente nel loro astroporto… se così si può chiamare la zona dove pascolano il bestiame.
— Non c’è bisogno di un visto dal loro ufficio immigrazione?
— Tu sei un Araldo. Non possono mandarti via. D’altronde l’ufficio immigrazione è quello del governatore, il quale è anche sindaco, visto che la colonia consiste nell’unica città che hanno. Si chiama Faria Lima Maria do Bosque, detta Bosquinha, e mi ha incaricato di salutarti e di dirti che sei cortesemente pregato di andartene altrove, perché hanno già abbastanza difficoltà senza un fomentatore di eresie che vada in giro a corrompere dei bravi cattolici.
— Ha detto questo?
— Non esattamente. È farina del sacco del vescovo, Peregrino, e lei si adegua. Ma adeguarsi è il mestiere di ogni politicante. Se tu andassi a dirle che i cattolici sono degli idolatri, dei pazzoidi superstiziosi, probabilmente ti farebbe un sorrisetto e direbbe: certo, certo, comunque la consiglio di non pubblicizzare troppo opinioni di questo tipo.
— Non divagare — disse Ender. — Ti conosco. Cosa c’è di tanto spiacevole che esiti a dirmelo?
— Novinha ha annullato la sua richiesta per un Araldo. Cinque giorni dopo averla fatta.
Secondo il Codice Starways, una volta che un Araldo si fosse messo in viaggio per rispondere a una chiamata questa non poteva essere cancellata. Tuttavia ora la situazione assumeva un aspetto completamente diverso: invece d’aver atteso il suo arrivo con impazienza per ventidue anni, Novinha doveva averlo temuto, preoccupata per quella che avrebbe potuto essere la reazione di lui, irritata e contrariata dal vederlo arrivare malgrado il suo ripensamento. Ender era stato certo che la donna lo avrebbe ricevuto come un amico. Adesso gli sarebbe stata ancor più ostile del clero cattolico. — Mai nulla che faciliti il mio lavoro — mormorò.
— Be’, non va poi così male, Andrew. Vedi, in questi anni un paio di altre persone hanno chiesto la visita di un Araldo. E loro non hanno cambiato idea. Sono due richieste distinte.
— Chi sono?
— Per un’affascinante coincidenza, si tratta di due giovani, Miro e sua sorella Ela, entrambi figli di Novinha.
— Ma non possono aver conosciuto Pipo, lo xenologo Figueira. Perché mi avrebbero chiamato a fare l’elegia per lui?
— Oh, no, non si tratta dell’elegia per Pipo. Ela ha diramato la chiamata soltanto sei settimane fa, dopo la morte di suo padre, il marito di Novinha. Marcos Maria Ribeira, detto Marcão. La cosa è accaduta in un bar. Non per una zuffa… mi risulta che fosse malato. Il poverino ha avuto un collasso dopo una vita operosa dedicata alla famiglia.