Per rientrare occorse loro mezz’ora di cammino, e stava piovendo forte quando oltrepassarono il cancello e s’avviarono lungo il costone della collina verso la Stazione Zenador. Zenador? pensò Pipo, quando lo sguardo gli cadde sulla porta. Il battente recava una targa con la parola XENOLOGIA scritta in stark. E sui Cento Mondi io sono, o si suppone che sia, uno xenologo. Ma il titolo portoghese Zenador era tanto più facile da pronunciare che raramente su Lusitania la gente diceva Xenologo, anche quando parlava in stark. È così che le lingue cambiano, si disse Pipo. Se non fosse per l’ansible, che consente comunicazioni istantanee fra i Cento Mondi, non ci sarebbe possibile mantenere una lingua comune. I viaggi interstellari sono ancora troppo rari, e lenti. Lo stark si frammenterebbe in diecimila dialetti entro un secolo. Sarebbe interessante estrapolare con il computer una proiezione dei cambiamenti linguistici possibili su Lusitania, nel caso che lo stark degenerasse assorbendo il portoghese…
— Padre — disse Libo.
Soltanto allora Pipo s’accorse d’essersi fermato a una decina di metri dalla Stazione. Tangenti. Le parti migliori della mia vita intellettuale sono tangenziali, in zone al di là della mia esperienza. Suppongo che sia perché nella mia istruzione hanno inserito tante di quelle regole fisse da rendermi impossibile apprendere o capire veramente altre discipline. La scienza della xenologia si basa su più dogmi di quelli della Santa Chiesa.
La serratura della porta si aprì al contatto delle sue impronte digitali, e mentre attraversava la soglia Pipo lasciò che la routine da cui era atteso quella sera gli scivolasse addosso come un vecchio soprabito non troppo comodo. Entrambi avrebbero dovuto lavorare parecchie ore ai terminali per trasformare in un rapporto i risultati di quella giornata. Poi Pipo avrebbe riletto le note di Libo, il figlio avrebbe fatto lo stesso con le sue, e quando fossero stati soddisfatti lui avrebbe ristrutturato un sommario per affidarlo al computer, che si sarebbe occupato di registrarlo e di trasmetterlo, via ansible, a tutti gli xenologi nel resto dei Cento Mondi. Più di mille scienziati, la cui carriera è fondata sullo studio dell’unica razza extraterrestre a noi nota, e a parte ciò che i satelliti stanno riprendendo su queste specie arboricole, tutto quello che i miei colleghi hanno in mano è quanto io e Libo mandiamo loro. Questo è proprio ciò che si può chiamare un contatto ridotto al minimo.
Ma quando Pipo fu nell’interno della Stazione vide subito che quella non sarebbe stata una serata di intenso seppur piacevole lavoro. Ad attenderlo lì c’era Dona Cristã, impaludata nel suo abito monacale. Che uno dei suoi figli più giovani si fosse messo in qualche guaio, a scuola?
— No, no — fu la risposta di lei. — I suoi figli si comportano in modo encomiabile, a eccezione di questo, che a mio giudizio è troppo giovane per potersi permettere di trascurare la scuola e lavorare qui, anche nelle vesti di apprendista.
Libo tenne la bocca chiusa. Saggia decisione, pensò Pipo. Dona Cristã era una donna giovane, brillante e non priva di attrattive, forse perfino bella; ma prima di tutto e soprattutto era una monaca dell’ordine dei Filhos da Mente de Cristo, i Figli della Mente di Cristo, e perdeva molta della sua bellezza quando s’irrigidiva nell’ira contro gli ignoranti e gli stupidi. Ed era sorprendente il numero di persone intelligenti che s’erano sentite stupide e ignoranti mentre abbrustolivano al fuoco rovente del suo disprezzo. Il silenzio, Libo, è una politica in cui sei già esperto.
— Il motivo della mia visita non riguarda i suoi figli — disse Dona Cristã. — Sono qui per parlarle di Novinha.
La superiora non ebbe bisogno di dirne il cognome; tutti conoscevano Novinha. Soltanto otto anni erano trascorsi dalla fine della terribile Descolada, la pestilenza che era stata sul punto di spazzar via l’intera colonia prima che questa avesse l’opportunità di raggiungere una vera autosufficienza. La cura era stata scoperta dal padre e dalla madre di Novinha, Gusto e Cida. E per una sorta di tragica ironia i due avevano individuato la causa dell’epidemia e il suo trattamento troppo tardi per salvare se stessi. Il loro era stato l’ultimo funerale della Descolada.
Nella mente di Pipo tornò l’immagine nitida di Novinha, appena una bambinetta, che il sindaco Bosquinha teneva per mano nella navata della cattedrale mentre Peregrino, il vescovo, officiava personalmente il servizio funebre. No, non per mano al sindaco… l’immagine che aveva rievocato cambiò, e con essa riaffluì l’emozione di quel giorno. Cosa sta pensando di tutto questo? ricordava di essersi domandato. È al funerale dei suoi genitori, è la sola superstite della sua famiglia, e tuttavia intorno a sé può sentire soltanto l’immenso sollievo di questa colonia. Piccola com’è, sa davvero comprendere che la nostra gioia è il tributo più sincero a suo padre e a sua madre? Loro hanno lavorato e sofferto alla ricerca di una via di salvezza nei giorni disperati in cui la falce della morte sembrava inarrestabile, e oggi noi siamo qui per celebrare il grande dono che ci hanno fatto. Ma per te, Novinha, è la morte dei tuoi genitori, e subito dopo l’estremo saluto che hai dovuto dare anche a tre fratelli. Più di cinquecento morti. Oltre cento messe funebri dette in questa colonia negli ultimi sei mesi, e tutte tenute in una pesante atmosfera di luttuosa disperazione. Oggi, davanti alle bare dei tuoi cari, la paura e il lutto e la disperazione ti schiacciano più che mai… ma nessuno condivide il tuo dolore. Il sollievo è la sola emozione che riempie il cuore di chi ti sta intorno.
Fissando la bambina, cercando d’immaginare cosa doveva provare, aveva ottenuto soltanto di far sanguinare di nuovo la ferita che aveva aperto in lui la morte della sua piccola Maria, di appena sette anni, uccisa dal nero alito della peste che aveva ricoperto il suo corpo di escrescenze cancerose e orride fungosità, imputridendole la pelle, facendole spuntare dai fianchi nuovi pseudo-arti, né gambe né braccia, mentre la carne le si staccava dai piedi e dalla faccia lasciando a nudo le ossa. Quel dolce corpo snello distrutto davanti ai loro occhi allucinati, intanto che la mente così brillante di lei restava spietatamente lucida e in grado di vedere ciò che le stava accadendo, finché smarrita aveva gridato a Dio che la facesse morire. Pipo aveva ripensato alla messa di requiem detta sulla bara di lei e su altre cinque, allineate fra i drappi funebri. Aveva ricordato d’essersi sentito estremamente unito a tutti quelli che in ginocchio nella cattedrale avevano partecipato al lutto suo e di sua moglie e degli altri suoi figli. Sapeva che il loro dolore era il dolore di tutti, e che la perdita della figlia maggiore lo legava alla comunità con l’indissolubile catena fatta di sofferenze e di lutti, il che era pur sempre un conforto per lui, era qualcosa a cui aggrapparsi. Questo era ciò che la morte dei propri cari doveva essere. Un dolore condiviso, pubblico.
La piccola Novinha non aveva avuto niente di tutto questo. La sua angoscia era stata anzi peggiore di quella di Pipo: lui non era stato lasciato senza famiglia. Lui era un adulto, non un bambinetto terrorizzato dal vedersi crollare intorno ciò che aveva rappresentato la sua stessa vita. Il lutto di Novinha non era stato un elemento di maggiore unione con la comunità, ma semmai l’aveva esclusa da essa. Quel giorno tutti avevano gioito, salvo lei. Quel giorno tutti avevano onorato i suoi genitori; soltanto lei li aveva desiderati disperatamente. Soltanto lei forse preferiva che non avessero mai sacrificato se stessi, e che fossero rimasti in vita, piuttosto di finir contagiati durante il lavoro che li aveva portati a scoprire una cura per gli altri.