— Perché vuole andarci?
— Io faccio un sacco di domande alla gente, e cerco di scoprire delle storie vere.
— A casa Ribeira nessuno conosce storie vere.
— Mi accontenterò di quelle inventate.
— Andiamo, allora. — S’incamminò sull’erba appena falciata della strada centrale, verso l’uscita del parco. La ragazzina gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Lui si fermò e si volse a Ender, che lo stava tallonando dappresso.
— Quara è curiosa di saperlo. Qual è il suo nome?
— Andrew. Andrew Wiggin.
— Lei è Quara.
— E tu?
— Tutti mi chiamano Olhado. Per via dei miei occhi. — Sollevò la ragazzina e se la mise a cavalcioni sulle spalle. — Ma il mio vero nome è Lauro. Lauro Suleimão Ribeira. — Sogghignò, poi si rimise in cammino.
Ender gli andò dietro. Ribeira. Naturalmente.
Jane non s’era persa una parola, e gli parlò dal gioiello nel suo orecchio. — Lauro Suleimão Ribeira è il quarto figlio di Novinha. Ha perso gli occhi in un incidente con un laser. Ha dodici anni. Ah… ho scoperto una delle differenze fra la famiglia Ribeira e il resto della città: i ragazzi Ribeira sono inclini a sfidare il vescovo e a condurti dove vuoi andare.
Anch’io ho notato una cosetta, Jane, rispose in silenzio lui. Questo ragazzino si diverte a raggirarmi, e poi si diverte ancor di più a lasciarmi capire come mi ha raggirato. Spero solo che tu non prenda lezioni da lui.
Miro sedeva presso la cima della collina. L’ombra degli alberi lo celava a chiunque stesse guardando in quella direzione da Milagre, ma lui aveva dispiegata davanti quasi tutta l’estensione della colonia. Poteva vedere per intero la cattedrale e il monastero, sulla collinetta più alta, e l’osservatorio su quella a nord. E quasi sotto l’osservatorio, in una depressione fra le due alture, la casa dove abitava, non lontana dal recinto.
— Miro — sussurrò Mangia-Foglie. — Sei un albero?
Era la traduzione di una frase dei pequeninos. A volte si mettevano a meditare e restavano immobili per ore. Definivano la cosa «essere un albero».
— Uno stelo d’erba, piuttosto — rispose Miro.
Mangia-Foglie rise nel tono acuto e sibilante che gli era solito. La risata apparve falsa, oltreché strana; i pequeninos avevano imparato a ridere per imitazione, come se mandassero a memoria un’altra parola in stark. E non ridevano in segno di divertimento, o almeno così pensava Miro.
— Sta cominciando a piovere? — chiese il giovane. Per un maiale questo significava: mi hai interrotto per salvarmi da qualcosa?
— Ha piovuto fuoco, oggi — disse Mangia-Foglie. — Sulla pianura.
— Sì. Abbiamo un visitatore, giunto da un altro mondo.
— È l’Araldo?
Miro non rispose.
— Devi portarlo a conoscerci.
Miro continuò a tacere.
— Io strofino la faccia in terra davanti a te, Miro. Le mie braccia e le mie gambe sono legname per la tua capanna.
Miro detestava sentirli pregare per qualcosa. Era come se vedessero in lui un essere particolarmente saggio o potente, a cui si doveva leccare le scarpe per avere un favore. Be’, se la vedevano a questo modo la colpa era sua. Sua e di Libo. Giocare al Piccolo Dio qui fra i maiali.
— Te l’ho promesso, Mangia-Foglie, no?
— Quando quando quando?
— Ci vorrà tempo. Devo sapere se ci si può fidare di lui.
Mangia-Foglie ne restò confuso. Miro aveva spiegalo ai maiali che non tutti gli umani si conoscevano l’un l’altro, e che qualcuno non era affatto simpatico, ma sembravano continuare a non capire il concetto.
— D’accordo. Appena mi sarà possibile — sospirò.
D’improvviso Mangia-Foglie cominciò a ondeggiare a destra e a sinistra, facendo smorfie come se fosse seduto su dei sassi acuminati. Libo una volta aveva fatto l’ipotesi che questo fosse l’equivalente di una risata. — Parlami in patta-gheis! — vagì il maiale. Mangia-Foglie era sempre parso molto divertito dal fatto che Miro e gli altri zenador parlavano due lingue intercambiabili. Questo malgrado che quattro diversi linguaggi dei maiali fossero stati registrati (non completamente) e tutti fossero parlati dalla stessa tribù di maiali.
Ma se voleva il portoghese, lui gli avrebbe dato il portoghese: — Vai comer folhas. — Vai a mangiar foglie.
Il maiale lo fissò, perplesso. — Perché, è una buona cosa?
— Perché è il tuo nome. Come-Folhas.
Mangia-Foglie si estrasse un grosso insetto da una narice e lo gettò via, sbuffando. — Non essere offensivo — disse. Si alzò e andò via.
Lui lo seguì con lo sguardo. Mangia-Foglie era sempre difficile a trattarsi. Alla sua compagnia preferiva quella del maiale chiamato Human. Questi era più intelligente, il che costringeva Miro a una maggiore cautela, ma se non altro non ricadeva mai in modi così improvvisamente ostili come Mangia-Foglie.
Quando il maiale fu scomparso fra gli alberi, Miro tornò a voltarsi verso la città. C’era qualcuno che scendeva lungo la collina, sulla stradicciola che portava a casa sua. Quello davanti sembrava piuttosto alto… no, era Olhado con Quara sulle spalle. La ragazzina era già troppo cresciuta perché la si dovesse portare così a cavalluccio. Ma a preoccupare Miro era la sua incapacità di riprendersi dallo shock che per lei era stato la morte del padre. Il giovane fece una smorfia amara. E pensare che Ela s’era illusa di poter seppellire insieme a lui tutti i loro problemi!
Si alzò in piedi e cercò di capire chi fosse l’uomo dietro Olhado e Quara. Nessuno che avesse mai visto. L’Araldo, dunque. Incredibile! Non era trascorsa un’ora dal suo arrivo in città, e già l’uomo stava andando a casa loro! Così sono a posto, pensò. Ci manca solo che mamma venga a sapere che sono stato io a chiamarlo qui. Eppure ero convinto che un Araldo dei Defunti sarebbe stato discreto sulla faccenda, invece di andare dritto a casa per lasciar capire a tutti… ma che sciocco sono stato. Non bastava che arrivasse qui anni e anni prima di quello che mi sarei mai aspettato! E Quim correrà dal vescovo a spiattellargli tutto, se pure non ci sta già pensando qualcun altro. Adesso dovrò vedermela con Mamma, e poi, probabilmente, con tutta quanta la città.
Miro tornò fra gli alberi e scese di corsa lungo il sentiero che serpeggiava fuori dalla boscaglia verso il cancello del recinto.
CAPITOLO SETTIMO
CASA RIBEIRA
Miro, stavolta avrei proprio voluto che fossi venuto anche tu, perché se è vero che ho una memoria migliore della tua per le conversazioni, certo io non so cosa significa quello che è stato detto ieri. Avrai visto anche tu il maiale nuovo, quello che chiamano Human… sì, mi sembra di averti visto parlare brevemente con lui, prima che tu andassi da Mangia-Foglie con il tuo elenco di «Domande del Giorno». Mandachuva mi ha detto che l’avevano chiamato Human perché da bambino era molto intelligente. Va bene, è gratificante pensare che «intelligente» e «umano» siano sinonimi per loro, o forse dovremmo vergognarci nel vederli credere che cose simili possano compiacerci, ma non è questo che conta.
Mandachuva, dunque, mi ha detto: — Lui sapeva già parlare quando ha cominciato a camminare da solo. — E ha abbassato una mano all’altezza di circa dieci centimetri dal suolo. A me è parso che mi indicasse quanto era alto Human allorché imparò a parlare e a camminare. Dieci centimetri! Ma potrei aver frainteso tutto. Avresti dovuto esserci anche tu, per farti un’opinione.
Se ho ragione, e se Mandachuva intendeva dire questo, è la prima volta che abbiamo un dato sull’infanzia dei maiali. Se davvero cominciano a camminare quando sono alti dieci centimetri (e a parlare, nientemeno!) allora la loro gestazione dev’essere molto breve paragonata alla nostra, e la maggior parte del loro sviluppo fetale (voglio dire quello che per noi è lo sviluppo del feto) deve avvenire dopo la nascita.