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Ma poi mi ha detto qualcosa di assolutamente pazzesco anche per i tuoi standard. Si è accostato a me e mi ha sussurrato (come se facesse una cosa disdicevole): — Tuo nonno Pipo conosceva il padre di Human. Il suo albero è vicino al vostro cancello.

Che stesse scherzando? Rooter è morto ventiquattro anni fa, no? D’accordo, può essere che sia un aspetto della loro religiosità, una cosa come «quest’albero è il mio padre spirituale» o dello stesso genere. Ma l’atteggiamento intimo e confidenziale di Mandachuva mi fa pensare che ci sia qualcosa di vero. È possibile che abbiano un periodo di gestazione superiore ai vent’anni? O forse a Human sono occorse due decadi per svilupparsi da un cuccioletto di 10 cm nell’esemplare adulto che oggi vediamo? Oppure lo sperma di Rooter è stato conservato in una giara o in qualche altro modo?

Altro fatto importante: questa è la prima volta in cui un maiale conosciuto dagli osservatori umani viene definito un «padre». E per di più si tratta di Rooter, quello che è stato ammazzato. In altre parole, il maschio di minore prestigio (un criminale giustiziato) è stato definito un padre. Questo significa che i maschi di questo gruppo non sono affatto dei giovani fuoricasta, senza contare che non pochi hanno conosciuto Pipo e dunque giovani non li si può chiamare. Sono padri potenziali.

E inoltre, se Human è così intelligente, perché sarebbe stato relegato in un gruppo di fuoricasta? Credo che finora ci siamo sbagliati. Questo non è un insieme di emarginati, bensì un gruppo di giovani e adulti altamente considerati e destinati a occupare posizioni di prestigio.

Così, quando oggi sei uscito con il tuo elenco di «Domande del Giorno» dicendo che ti rattristava lasciarmi inchiodata all’ansible a mettere insieme il solito rapporto ufficiale, altro non facevi che partire per gli Errori del Giorno. (Se rientri e mi trovi addormentata, svegliami con un bacio. OK? Oggi sei autorizzato.)

Nota di Ouanda Figueira Mucumbi a Miro Ribeira von Hesse, sequestrata per ordine della Federazione e addotta fra le prove nel processo in contumacia agli xenologi di Lusitania, accusati di Tradimento e Condotta Scorretta.

Su Lusitania non esisteva un’industria edile. Quando una coppia si sposava, a costruirle la casa ci pensavano i parenti e gli amici. E nella casa dei Ribeira si poteva leggere la loro storia. L’ingresso e le stanze principali erano fatti in materiale plastico inserito su fondamenta di calcestruzzo. Mentre la famiglia cresceva avevano aggiunto altre camere. Tutte al pianterreno, cosicché ora cinque strutture diverse fronteggiavano il versante della collina. L’ultima era in mattoni e con un tetto di tegole, ben costruita ma senza inutili orpelli. I Ribeira non avevano speso un soldo più dello stretto necessario.

Ender sapeva che questo non era un sintomo di povertà; in un’economia così pianificata la miseria non esisteva. La mancanza di qualsiasi decorazione, di individualità, rivelava invece lo scarso amore della famiglia per la sua casa. E ad Ender questo parlava di scarso amore per se stessi. Aveva notato che Olhado e Quara non mostravano affatto gli impercettibili cenni di rilassamento tipici di chi sta per entrare nella propria casa. Al contrario s’erano fatti più tesi, meno vivaci, come se l’edificio emanasse un’oscura forza di gravità che li rendeva più pesanti man mano che si avvicinavano.

Olhado e Quara entrarono senza voltarsi a guardarlo, e lui si fermò sulla soglia in attesa che qualcuno lo invitasse. Il ragazzo s’era limitato a lasciargli la porta aperta, proseguendo poi per un’altra stanza. Ender mise dentro la testa e vide che Quara era andata a sedersi sul letto in una piccola camera, appoggiandosi con le spalle a una parete spoglia. Tutti i muri erano privi di quadri, di infissi o di decorazioni; e di uno squallido bianco uniforme. Il volto di Quara rispecchiava la stessa inespressività delle pareti. Benché i suoi occhi fossero puntati verso Ender, sembrava ignorare del tutto la sua presenza; comunque in lei non c’era nulla che assomigliasse a un invito a farsi avanti.

Quella era una casa malata, insana. Ender cercò di capire cosa poteva esserci nel carattere di Novinha da condurla a vivere in un posto come quello. Possibile che la morte di Pipo, ormai lontana, avesse tarato la sua sensibilità così profondamente?

— Vostra madre è in casa? — domandò Ender.

Quara non rispose.

— Oh! — disse lui. — Scusi la mia dabbenaggine. M’era parso che lei fosse una bambina, ma ora posso vedere che è un robot. Giusto? E adesso, non me lo dica… sta ricaricando la batteria.

Lei non diede neppure segno di averlo udito. Il suo tentativo di strapparla a quell’incomprensibile mutismo era fallito.

Ci fu un rapido scalpiccio di passi in avvicinamento. Un bambinetto arrivò di corsa, si arrestò al centro dell’atrio e si girò a fissare Ender. Non doveva essere molto più giovane di Quara; sei, sette anni al massimo. Ma a differenza della ragazzina il volto di lui era molto espressivo. E contratto da un’ostilità decisamente rabbiosa.

— Tua madre è in casa? — lo interpellò Ender.

Il bambino si chinò e si tirò su la gamba destra dei pantaloni. Un lungo coltello da cucina era fissato con nastro adesivo a lato del polpaccio. Lo staccò senza fretta. Poi, tenendolo con entrambe le mani, tese le braccia avanti e si scaraventò dritto verso Ender. Lui notò che puntava la lama proprio contro il suo ventre, con tale fermezza da far supporre che avesse un conto mortale aperto con qualsiasi estraneo.

Un attimo dopo il bambino era imprigionato sotto un braccio di Ender, mentre il coltello volava dall’altra parte della stanza. Scalciava furiosamente e gridava, e lui fu costretto a usare tutte e due le mani per tenerlo fermo. Infine risolse di sollevarlo dal suolo, afferrandolo per i polsi e per le caviglie come un capretto.

Si volse a Quara. — Se non fili di corsa a chiamare chi comanda in casa vostra, porto questo animaletto in cucina e lo metto in pentola per la cena. Bada che dico sul serio.

Quara ci pensò su per un momento, poi si alzò e corse via verso il retro della casa.

Poco dopo una ragazza dall’aria stanca, con i capelli scarmigliati e gli occhi ancora gonfi di sonno entrò nell’atrio. — Desculpe, por favor — mormorò. — O menino não se restablence da morte do pai…

Ad un tratto sembrò svegliarsi del tutto. — O senhor è o Falante pelos Mortosi — ansimò.

— Sou — rispose Ender. Sono io.

— Não aqui — disse lei. — Oh, no, mi scusi, lei parla portoghese? Naturalmente sì, lo parla, visto che mi ha risposto. Ma per favore, non qui, non adesso. Vada via.

— Benissimo — annuì Ender. — Devo portarmi via il bambino oppure il coltello?

Le accennò verso il punto dov’era finito l’utensile, e lei seguì il suo sguardo. — Oh, no! Mi dispiace. Ieri l’ho cercato per tutto il giorno. Sapevamo che l’aveva preso, ma non dove lo nascondesse.

— Legato al polpaggio destro.

— Non ce l’ha messo ieri. Sappiamo già dove frugarlo, quando sparisce un coltello. Per favore, adesso lo lasci.

— Posso fidarmi? Mi sembra che si stia arrotando ì denti.

Lei si fece avanti. — Grego, quante volte ti ho detto che non devi usare i coltelli? Contro la gente, poi!

Grego la fissò dal basso in alto, ringhiando.

— Cerchi di capire… suo padre è morto.

— Erano così uniti?

Sul volto di lei passò la smorfia d’un sorriso. — Non direi. Lo ha sempre tenuto al guinzaglio con la forza, fin da quando Grego ha avuto l’età di camminare e girare attorno a far guai. Ma questa di assalire una persona con un coltello… non l’aveva mai fatto. La prego, lo metta giù.