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— Allora, chissà che presto non sentiate il vescovo tuonare contro i peccatori che vendono l’acqua di fuoco ai maiali — osservò Ender.

Il sorriso di Miro rischiarò la stanza come un raggio di sole attraverso la crepa di una caverna. Ender poté sentire l’atmosfera rilassarsi. Quara faceva dondolare i piedi avanti e indietro come una bambina normale; Olhado aveva sul volto un’espressione stupidamente felice, e con gli occhi socchiusi il luccichio delle sue iridi non era più tale da sconcertare. Ela sorrideva con più sollievo di quanto poteva esser giustificato dal buon umore di Miro. Perfino Grego aveva smesso di lottare contro la presa di Ender.

Ma era un’illusione, perché all’improvviso un fiotto di calore su una coscia lo informò che il bambino era lontanissimo dall’essersi arreso. Ender s’era allenato a non reagire d’istinto all’azione di un avversario, a meno che non avesse già stabilito di lasciar fare agli istinti, così l’arrivo dell’orina di Grego non gli strappò neppure un fremito. Sapeva quel che il bambino voleva ottenere: un grido di rabbia, e poi l’adulto che balzava in piedi allontanandolo da sé con disgusto. E poi Grego sarebbe stato libero, e trionfante. Ender gli negò quella vittoria.

Ma Ela, evidentemente, sapeva leggere l’espressione del bambino come un libro aperto. La ragazza sbarrò gli occhi, poi fece un passo avanti col volto rigido di rabbia. — Grego! Tu, piccolo ripugnante…

Ma Ender le strizzò l’occhio e sorrise, fermandola dove stava. — Grego mi ha fatto un piccolo regalo. È la sola cosa che mi ha dato di cuore, e l’ha fatta da sé. Lo apprezzo molto. Anzi, penso che lo terrò tutta la sera sulle ginocchia.

Grego ringhiò e ricominciò a divincolarsi furiosamente.

— Perché gliela lascia correre? — si stupì Ela.

— L’Araldo si aspetta che Grego agisca come un essere umano — disse Miro. — Ma andava fatto. Nessuno ha mai cercato davvero di civilizzarlo.

— Io ci ho provato — disse la ragazza.

Olhado indicò la casa intorno a loro. — Ela è l’unica, qui, che cerca di mantenerci fra le persone civili.

Da un’altra stanza la voce di Quim abbaiò: — Piantatela di lavare i nostri panni sporchi davanti a quel bastardo!

Ender annuì gravemente, come se Quim avesse offerto un importante argomento di riflessione. Miro ridacchiò. Ela alzò gli occhi al cielo e andò a sedersi su uno sgabello accanto a Quara.

— La nostra non è quella che si chiama una casa felice — disse Miro.

— Capisco. — Ender annuì. — Con la morte di vostro padre ancora così recente.

Miro ebbe un sorriso sardonico. Olhado scosse il capo. — Con la sua vita ancora così recente, vorrà dire.

Ela e Miro apparvero nettamente d’accordo con quell’osservazione, ma Quim gridò ancora: — Tenete la bocca chiusa, voialtri!

— Vi ha fatto del male? — domandò sottovoce Ender. Non s’era mosso, benché l’orina di Grego fosse ora fredda e maleodorante.

— Non ci picchiava — disse Ela, — se è questo che vuol sapere.

Ma per Miro quell’intimità era già troppa. — Quim ha ragione — disse. — Sono affari soltanto nostri.

— No — replicò Elsa. — È anche affar suo.

— Affar suo in che senso? — chiese Miro.

— Perché è venuto a fare l’elegia per la morte di papà — disse la ragazza.

— La morte di papà! — eclamò Olhado. — Chupa pedras! Papà è morto appena tre settimane fa!

— Ero già in viaggio per parlare di un’altra persona deceduta — disse Ender. — Ma qualcuno ha chiamato un Araldo per vostro padre, e perciò parlerò per lui.

— Contro di lui — lo corresse Ela.

— Per lui — ripeté Ender.

— Io l’ho chiamata qui per dire la verità — disse seccamente lei. — E tutta la verità su papà è contro di lui.

Il silenzio che si addensò nell’aria parve farsi sempre più denso, paralizzante, finché Quim non entrò dalla porta. Il ragazzo aveva gli occhi fissi su Ela. — Sei stata tu a chiamarlo — ansimò. — Tu!

— Per dire la verità! — replicò lei, scossa dall’accusa contenuta in quelle parole. Quim non aveva bisogno di essere più chiaro: aveva chiamato un estraneo, un infedele, per render pubblico ciò che per tanto tempo loro avevano tenuto nascosto, tradendo allo stesso tempo la famiglia e la Chiesa. — A Milagre tutti sono così gentili, così comprensivi! — continuò Ela. — Gli insegnanti fanno finta d’ignorare le mascalzonate di Grego, e il silenzio di Quara. Poco importa che a scuola lei non abbia ancora detto una sola parola, mai! Tutti fanno finta di considerarci ragazzi normali… i nipoti degli Os Venerados, e così brillanti, non è vero? Con uno degli zenador e le due biologistas in famiglia. Davvero prestigioso, eh? Così tutti guardavano dall’altra parte quando papà si ubriacava come una bestia, e poi tornava a casa e picchiava mamma fino a lasciarla svenuta in terra!

— Tappati la bocca! — ringhiò Quim.

— Ela… — disse Miro.

— E tu, Miro, che tacevi quando papà ti urlava insulti spaventosi e osceni, finché dovevi scappare di casa. Scappare! Correre via nel buio come un cieco, inciampando in…

— Non hai nessuno diritto di dire questo a un estraneo! — gridò Quim.

Olhado balzò in piedi nel mezzo della stanza, fissandoli tutti con i suoi occhi inumani. — Perché volete ancora nasconderlo? — disse a bassa voce.

— Lui cos’è per te? — chiese Quim. — Non ha mai fatto niente per te. Spegni i tuoi dannati occhi e vattene al tuo terminale a sentire Bach o qualche altra cosa, che è meglio.

— Spegnere i miei occhi? — disse Olhado. — Io non ho mai spento i miei occhi.

Girò su se stesso e andò al terminale dell’atrio, nell’angolo di fronte alla porta d’ingresso. Con un solo gesto rapido lo accese, poi estrasse un cavetto dalla consolle e se lo collegò a una minuscola presa nell’occhio destro. Non era altro che l’allacciamento di un computer, ma l’atto riportò a Ender lo spiacevole ricordo dell’occhio del Gigante, squarciato e grondante umore mentre lui vi penetrava, sfondandolo, facendo cadere morto l’avversario sulla piana. Rabbrividì un istante, prima di rammentare a se stesso che si trattava di un ricordo non reale, di una partita simulata che aveva giocato con il computer della Scuola di Guerra. Tremila anni addietro, ma per lui appena venticinque, non abbastanza perché i ricordi perdessero il loro potere d’impatto. Erano stati i sogni tormentosi sulla morte del Gigante che gli Scorpioni avevano preso dalla sua mente, trasformandoli nel messaggio che gli era stato lasciato, la pista che l’aveva condotto al bozzolo della Regina dell’Alveare.

Fu la voce di Jane a riportarlo al presente. Un sussurro nel suo orecchio: — Se per te è lo stesso, mentre lui è collegato io darò un’occhiata a tutto ciò che ha registrato in quel minicomputer.

Una scena comparve nell’aria sopra il terminale. Non si trattava di un ologramma, bensì di una ripresa bidimensionale simile alla registrazione di un comune filmato. Rappresentava quella stessa stanza, vista dal punto in cui Olhado era stato fino a pochi secondi prima; evidentemente quello era un posto dove usava sedersi spesso. Al centro dell’atrio stava in piedi un uomo alto, robustissimo e d’aspetto brutale, che agitava le braccia e sbraitava improperi rivolto a Miro. Il giovane ascoltava in silenzio, mordendosi un labbro, ma sosteneva lo sguardo del padre senza dare segni di collera. Non c’era il sonoro; la registrazione era soltanto visiva. — Avete già dimenticato? — mormorò Olhado. — Avete dimenticato cosa succedeva ogni giorno?

La scena sul terminale proseguiva. Alla fine Miro si girò e corse fuori, mentre Marcão lo seguiva alla porta continuando a gridare. Poi l’uomo tornò indietro, ansando come un animale esausto e rabbioso. Grego andò ad aggrapparsi con una mano ai pantaloni del padre e rivolto alla porta urlò anch’egli qualcosa, che a giudicare dalla sua faccia doveva essere una ripetizione delle male parole appena rivolte a Miro. Marcão si staccò il bambino di dosso, guardò cupamente verso una porta interna e si diresse da quella parte con aria decisa.