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— Non c’è il sonoro, adesso — sussurrò Olhado. — Ma voi potete sentire… non è così?

Ender s’accorse che Grego, sulle sue ginocchia, stava tremando.

— Ecco, ora un colpo soffocato, un altro tonfo… è lei che sta cadendo in terra. Non lo sentite nella vostra carne il modo in cui il suo corpo va a sbattere sul pavimento?

— Taci, Olhado — disse Miro.

Quirn stava piangendo, e non faceva nessun tentativo di nasconderlo. — Io l’ho ucciso — disse. — L’ho ucciso, l’ho ucciso, l’ho ucciso.

— Di cosa stai parlando? — esclamò Miro, esasperato. — Aveva un brutto male. Una malattia congenita.

— Io ho piegato perché morisse! — gridò Quim. La sua faccia era contorta dall’emozione; muco, lacrime e saliva gli colavano attorno alla bocca. — Ho pregato la Vergine, ho pregato Gesù, ho pregato il nonno e la nonna, ho detto che sarei andato all’inferno purché lo facessero morire, e loro l’hanno fatto, e adesso andrò all’inferno e non me ne importa niente! Dio mi perdoni, ma ne sono contento! — Singhiozzando vacillò fuori dalla camera. Poco dopo una porta sbatté, in distanza.

— Bene, ecco un’altro disposto a certificare un miracolo degli Os Venerados — disse Miro. — La loro santità è assicurata.

— Piantala — disse Olhado.

— E lui è proprio quello che ci secca l’anima ripetendo che Cristo vuole che l’uomo sappia perdonare — borbottò Miro.

In grembo a Ender, Grego tremava ora così violentemente che lui cominciò a preoccuparsi. Sentì che il bambino stava sussurrando una parola. Anche Ela s’accorse della disperazione di Grego e venne a inginocchiarsi accanto a lui.

— Piange! Non l’ho mai visto piangere così…

— Papà, papà, papà — ansimò Grego. I suoi tremiti lasciarono il posto a scatti convulsi, quasi da epilettico.

— Ha paura di papà? — chiese Olhado, in tono ansioso. Con sollievo di Ender anche i volti degli altri mostravano una viva apprensione per Grego. Dunque c’era amore in quella famiglia, e non soltanto la solidarietà di chi vive insieme per anni sotto lo stesso tiranno.

— Papà se n’è andato, adesso — lo confortò Miro. — Non devi più aver paura.

Ender scosse il capo. — Miro — disse. — Non hai visto niente nella registrazione di Olhado? I bambini piccoli non giudicano i loro padri. Grego cerca solo, con tutte le sue forze, d’essere come lui. Per tutti voi esserne liberi sarà forse un sollievo, ma per Grego è stata la fine del mondo.

Nessuno di loro sembrava averlo capito. Ender s’accorse che dovevano fare uno sforzo per immaginare che il bambino potesse provare un simile sentimento. E tuttavia sapevano che era così. Ora che lui l’aveva messo in parole, risultava ovvio.

— Deus nos perdoa — mormorò Ela. Dio, perdonaci.

— Le cose che abbiamo detto — aggiunse Miro sottovoce.

Ela allungò le braccia verso Grego, ma lui rifiutò di corrisponderla. Fece invece quello che Ender si aspettava, quello a cui era preparato: appena lui rilassò la presa, il bambino si girò verso il suo petto, gli gettò le braccia al collo e scoppiò in singhiozzi secchi, isterici.

Ender girò lo sguardo sugli altri, che assistevano ammutoliti. — Come avrebbe potuto mostrare il suo dolore a voi, quando in voi non vedeva che sollievo per la morte di suo padre?

— Non vedeva neppure sorrisi — precisò Olhado.

— Sì, ma non è un pezzo di legno — disse Miro. — Sapevo che soffriva molto più di noi, ma non ho mai pensato che…

— Non biasimate voi stessi — disse Ender. — È il genere di cosa che solo un estraneo può intuire.

Nell’orecchio udì il sussurro di Jane: — Il modo in cui trasformi le persone in masse di protoplasma non cessa mai di stupirmi, Andrew.

Anche se avesse potuto risponderle, lei non gli avrebbe creduto. Inutile dirle che non aveva programmato niente, che aveva suonato a orecchio. Come avrebbe potuto prevedere che Olhado registrava gli atteggiamenti di Marcão verso i familiari? Il suo contatto più rivelatore era stato quello con Grego, esplicito abbastanza da lasciargli capire che il bambino desiderava disperatamente qualcuno che avesse autorità su di lui, qualcuno che agisse esattamente come suo padre. E se il padre era stato un uomo crudele, per Grego la crudeltà avrebbe simboleggiato forza e capacità protettiva. Adesso le sue lacrime bagnavano il collo di Ender calde come il liquido che poco prima gli aveva inzuppato i calzoni.

Aveva previsto la reazione di Grego, ma quel che fece Quara lo colse del tutto di sorpresa. Mentre tutti fissavano in silenzio il fratellino in lacrime, lei scese dal letto e andò a passi decisi di fronte a Ender. I suoi occhi mandavano lampi di rabbia. — Tu… tu puzzi! — disse con fermezza. Poi si volse e uscì dalla stanza, verso il retro della casa.

Miro stentò a nascondere una risatina incredula, ed Ela sorrise. Dalla sua poltroncina davanti al terminale il ragazzo dagli occhi di metallo disse sottovoce: — L’ha spuntata anche con lei. È più di quanto abbia mai detto a chiunque non sia della famiglia, da mesi.

Ma non puoi dire che io non sono della famiglia, pensò Ender. Non te ne sei accorto? Io sono entrato in questa famiglia, adesso. Che a voi piaccia o no. Che a me piaccia o no.

Dopo un po’ gli ansiti di Grego tacquero. S’era addormentato. Ender lo portò a letto; dall’altra parte della piccola camera anche Quara era già immersa nel sonno. Ela rimboccò le coperte al bambino, con mani leggere e gentili, poi prese uno straccio e cercò di asciugare i pantaloni di Ender, senza ottenere un gran risultato.

Di ritorno nell’atrio, Miro lo scrutò clinicamente. — Be’, Araldo, credo che lei abbia poca scelta. I miei pantaloni le andrebbero stretti, e anche po’ corti, ma quelli di papà riuscirà certo a metterseli.

Mentre lui ci pensava sopra, Ela si fece avanti. — Mamma non sarà a casa fin fra un’ora. Mi dia i suoi pantaloni, c’è tutto il tempo di lavarli e asciugarli. Intanto si cambi.

— Vada per quelli di Miro, allora — disse Ender. — Se mi staranno corti, porterò pazienza.

CAPITOLO OTTAVO

DONA IVANOVA

Significa una vita di continui sotterfugi. Andate a osservare e vi accade di scoprire qualcosa, magari qualcosa d’importante, e una volta tornati alla Stazione buttate giù il vostro rapporto; ma un rapporto per noi innocuo, dove non appaia niente che riveli la «contaminazione culturale» che ci ha consentito di apprendere quel che abbiamo appreso.

Voi siete troppo giovani per capire quale tortura sia. Mio padre e io abbiamo cominciato a farlo perché non sopportavamo più di dover negare informazioni ai maiali. E voi scoprirete, com’è accaduto a me, che non è meno penoso il celare dati ai vostri colleghi scienziati. Quando li vedrete arrovellarsi su una domanda, sapendo che voi potreste facilmente risolvere i loro dilemmi; quando li vedrete arrivare vicini alla verità e poi, non sapendo ciò che voi sapete, allontanarsi dalla conclusione corretta e tornare a quella erronea… non sareste esseri umani se questo non vi angustiasse molto.

Sarete costretti a dirvi, ogni giorno: è la loro legge, è una loro scelta. Loro hanno costruito un muro fra se stessi e la verità, e saranno duri nel punirci se capiranno quanto facilmente e fino a che punto noi abbiamo varcato questo muro. E per ogni scienziato framling a cui interessa solo la verità, scoprirete che esistono dieci descabeçados (teste vuote) che disprezzano la ricerca sul campo, che hanno paura di mettere alla prova le loro ipotesi, il cui solo lavoro è di spulciare gli scritti dei veri studiosi allo scopo di scovare piccoli errori, o contraddizioni, o falle nella loro metodologia. Questi pidocchi analizzeranno ogni rapporto da voi spedito, e alla prima imprudenza da voi commessa vi manderanno al rogo.