— Contorti e perversi sono i sentieri dell’animo umano — declamò Jane. — Pinocchio è stato un bell’idiota a voler diventare un bambino. Era molto più saggio quando aveva la testa di legno.
Miro si apriva lentamente la strada nel folto sottobosco della foresta. Di quando in quando riconosceva uno degli alberi, o così gli sembrava. Nessun uomo poteva avere la sensitività dei maiali nel riconoscere per nome ogni singolo albero della boscaglia. Del resto, agli uomini non era mai accaduto di adorare gli alberi come totem dei loro antenati.
Miro aveva deliberatamente scelto la strada più lunga per arrivare alla casa di tronchi dei maiali. Sin dal giorno in cui Libo aveva preso Miro a lavorare con sé, affiancandolo come apprendista a sua figlia Ouanda, gli aveva insegnato a non creare mai un sentiero troppo diretto fra Milagre e la radura dei pequeninos. Un giorno o l’altro, li aveva avvisati Libo, avrebbero potuto nascere dei guai fra gli umani e i maiali, e un sentiero poteva guidare il pogrom verso il suo obiettivo. Così Miro spesso seguiva il corso tortuoso del torrente, camminando lungo la sponda scoscesa.
Come si aspettava, da lì a poco scorse un maiale che lo spiava da una certa distanza. Anni addietro Libo aveva ipotizzato che le loro femmine vivessero da qualche parte in quella direzione, e che essi piazzavano una vedetta con lo scopo di fermare gli zenador allorché s’avvicinavano troppo. E, come Libo aveva raccomandato, Miro non fece alcun tentativo di proseguire nella direzione proibita. La sua curiosità svaniva ogni volta che gli tornava in mente lo spettacolo raccapricciante offerto dal corpo di Libo quando lui e Ouanda lo avevano trovato. L’uomo non era ancora morto; i suoi occhi erano aperti, e si muovevano. La vita l’aveva abbandonato soltanto quando Miro e Ouanda gli si erano inginocchiati accanto, stringendogli le mani lorde di sangue. Ah, Libo, come ruscellava lento dalle vene tranciate mentre il tuo cuore ancora pulsava, messo a nudo nel petto spalancato. Se soltanto avessi potuto parlarci! Una parola, per dirci perché ti avevano ucciso!
Le rive terrose si fecero più basse, e Miro attraversò il torrente saltando con agilità sulle pietre coperte di muschio. Pochi minuti dopo arrivò a destinazione, entrando nella piccola radura da est.
Ouanda era già là, occupata a insegnare loro come manovrare la zangola per ottenere una specie di burro dalla crema di latte di cabras. Aveva speso settimane in tentativi ed esperimenti prima di scoprire il metodo migliore. Sarebbe stato più facile se lui avesse chiesto il consiglio di sua madre, o anche di Ela, dato che loro ne sapevano molto di più sulle caratteristiche del latte di cabras, ma collaborare con una biologista era fuori questione. Trent’anni addietro gli Os Venerados avevano scoperto che il latte di cabras non aveva proprietà nutritive per gli esseri umani. Di conseguenza ogni studio su come processarlo e conservarlo poteva andare solo a beneficio dei maiali. Miro e Ouanda non potevano rischiare nulla da cui fosse intuibile che stavano infrangendo la legge ed intervenivano attivamente nel sistema di vita dei maiali.
I pequeninos più giovani prendevano con gran divertimento la sbattitura del latte, entro vesciche di cabras, e ne avevano fatto una danza. Adesso stavano cantando; una canzone priva di senso in cui lo stark e il portoghese si mescolavano a due delle lingue dei maiali in una babele incomprensibile ma molto allegra. Miro cercò di identificare le parole. Riconobbe la Lingua dei Maschi, ovviamente, e alcuni frammenti della Lingua Padre, quella che usavano per parlare ai loro alberi totem. Quest’ultima era identificabile soltanto dal suono; neppure Libo era mai stato capace di tradurne una parola. Tutti i termini separabili a orecchio suonavano come ms o bs o gs, senza vocali chiaramente percettibili.
Il maiale che nella boscaglia aveva sorvegliato le mosse di Miro emerse dalla vegetazione e si annunciò agli altri con un grido acuto e ululante. Le danze continuarono, ma i canti cessarono immediatamente. Mandachuva lasciò il gruppo riunito intorno a Ouanda e andò a incontrare Miro al bordo della radura.
— Benvenuto, lo-Ti-Guardo-Con-Desiderio — lo salutò, chiamandolo con la sua stravagante traduzione del nome di Miro in stark. Mandachuva amava tradurre nomi dal portoghese in stark e viceversa, anche se Miro e Ouanda gli avevano spiegato che i loro nomi propri non significavano realmente qualcosa ed era solo una coincidenza che assomigliassero a parole. Ma a Mandachuva, e a molti altri maiali, i giochi di parole piacevano, e così Miro pazientemente rispondeva al nome Io-Ti-Guardo-Con-Desiderio, come Ouanda consentiva di lasciarsi chiamare Vaga, la versione portoghese di «Wander» (vagabonda) che in stark aveva la stessa pronuncia di «Ouanda».
Mandachuva rappresentava un caso insondabile. Era il più anziano dei maiali. Pipo lo aveva conosciuto, scrivendo di lui come se lo ritenesse il pequenino di maggior prestigio. Anche Libo, probabilmente, aveva pensato che fosse un capo. Il suo nome non era forse la versione portoghese del termine gergale «boss»? E tuttavia Miro e Ouanda avevano l’impressione che Mandachuva fosse il meno influente di tutti i maiali. Nessuno sembrava mai consultarlo su niente, ed era l’unico ad avere sempre del tempo libero per conversare con gli zenador, dato che non lo si vedeva quasi mai occupato in qualche compito rilevante.
Comunque, era il maiale che forniva agli zenador il maggior numero d’informazioni. Miro non riusciva ancora a capire se avesse perso prestigio a causa di questo continuo scambio d’informazioni, eppure se cercava il colloquio con gli umani per risollevarsi dallo stato di bassa considerazione di cui godeva fra i compagni. Ma aveva rinunciato a domandarselo; l’importante era che Mandachuva gli piaceva. In quel vecchio pequenino Miro vedeva un amico.
— La mia collega ti ha già costretto ad assaggiare quella poltiglia dall’odore disgustoso? — domandò Miro.
— Ottima spazzatura, la chiama. Anche i cuccioli di cabras piangono quando devono succhiare una mammella. — Mandachuva ridacchiò.
— Se la lasciaste in dono alle vostre signore, non vi rivolgerebbero più la parola.
— Però dovremo farlo. Dovremo — sospirò Mandachuva. — Devono vedere proprio tutto, quelle macios ficcanaso!
Di nuovo quello strano disprezzo per le femmine. Talvolta i maiali parlavano di loro con sincero, elaborato rispetto, quasi con sacro timore, come fossero delle dee. Poi un pequenino saltava fuori con un termine crudo come «macios», i vermi che allignavano sulla corteccia degli alberi. Ed era inutile che gli zenador facessero domande in merito: i maiali non rispondevano a nulla che riguardasse le femmine. C’era stato anzi un tempo — ormai lontano — in cui non menzionavano neppure la loro esistenza. Libo aveva spesso accennato, senza approfondire la questione, che il cambiamento aveva qualcosa a che fare con la morte di Pipo. Prima d’allora parlare delle femmine era tabù, salvo che in rari momenti di euforia e sempre con rispetto; dopo il fatto, i maiali avevano lasciato emergere spesso quei loro umori così contraddittori verso le «mogli». Ma gli zenador non erano mai riusciti a ottenere risposte sull’argomento. I maiali gli avevano reso chiaro il concetto che le femmine non erano fatti loro.
Dal gruppo che attorniava Ouanda provenne un fischio. Subito Mandachuva spinse Miro verso di loro. — Freccia ti vuole parlare.
Miro andò a sedersi a fianco di Ouanda. La ragazza prestò attenzione a non guardarlo: già da tempo avevano appreso che i maiali provavano un enorme disagio quando vedevano un maschio e una femmina umani in conversazione diretta, e perfino allorché si guardavano a vicenda. Erano disposti a parlare con Ouanda se era sola, ma nel caso in cui Miro fosse presente la ignoravano del tutto e non sopportavano che lei rivolgesse loro la parola. A volte, il fatto che la ragazza non potesse nemmeno strizzargli l’occhio di fronte ai maiali faceva quasi saltare i nervi a Miro. Standole accanto poteva sentire la vicinanza del suo corpo come una bussola avverte l’attrazione di un campo magnetico.