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— Come vede, questo è ancora un mistero per noi. Se lei intende davvero fare l’elegia per Marcos Ribeira, bisogna che abbia una risposta a questa domanda: perché lei lo sposò? Ma per dirimere l’interrogativo dovrà prima scoprire perché Pipo morì. E migliaia di studiosi, le menti più indagatrici dei Cento Mondi, da più di vent’anni se lo domandano invano.

— Però io ho un vantaggio su tutte queste menti indagatrici — disse Ender.

— E quale sarebbe? — chiese il Cefeiro.

— Ho l’aiuto della gente che ama Novinha.

— Non riusciamo neppure ad aiutare noi stessi — disse l’Aradora. — Comunque, non siamo stati capaci di aiutare Novinha.

— Forse possiamo aiutarci l’un l’altro — replicò Ender.

Il Cefeiro lo guardò e gli mise una mano su una spalla. — Se è così, Araldo Andrew, deve essere onesto con noi come lo siamo stati con lei. Ci dica qual è l’idea che le è passata per la testa dieci secondi fa.

Ender esitò qualche secondo, poi annuì gravemente. — Non credo che Novinha abbia evitato di sposare Libo per espiare una colpa. Sono convinto che lo abbia rifiutato solo per impedirgli l’accesso a quei dati nascosti.

— Perché mai? — si stupì il Cefeiro. — Per paura che scoprisse che lei aveva litigato con Pipo?

— Non penso che abbia litigato con Pipo — disse Ender. — Sospetto che lei e Pipo si fossero imbattuti in un’informazione, e che la conoscenza di questa cosa condusse Pipo alla morte. Ecco perché ha celato quei dati. In qualche modo, esserne informati è fatale.

Il Cefeiro scosse il capo. — No, Araldo Andrew. Lei non immagina a cosa possa condurre il senso di colpa. La gente non rovina la sua vita per qualche bit di informazioni… ma è capace di farlo per una quantità ancor più piccola di colpa. Vede, lei sposò Marcos Ribeira. E questa fu un’auto-punizione.

Ender non volle replicare. I due avevano ragione sul complesso di colpa; perché altrimenti Novinha avrebbe sopportato le percosse di Marcos senza lamentarsene? Lì c’era un’espiazione. Ma aveva avuto un altro motivo per sposare quell’uomo. Marcos era sterile e ne aveva vergogna: pur di nasconderlo alla comunità era disposto ad accettare un matrimonio fatto di tradimenti sistematici. Novinha aveva scelto di soffrire, ma non senza il corpo di Libo e i figli di Libo. No, se aveva rifiutato di sposarlo era stato per impedirgli di accedere a quei dati, a un segreto che avrebbe indotto i maiali ad ucciderlo.

Che macabra ironia c’era nel fatto che i maiali, alla fine, lo avevano ucciso lo stesso.

Una volta rientrato nel suo piccolo appartamento Ender sedette al terminale e chiamò Jane, più volte. Per tutta la strada fino a casa non era riuscito a farsi dire una parola da lei, anche se appena riacceso il gioiello s’era profuso in scuse e giustificazioni. Ma Jane rifiutò di rispondere e il terminale rimase silenzioso.

Soltanto in quel momento cominciò a intuire che quel microimpianto di collegamento poteva significare molto di più per lei che per lui. Spegnendolo l’aveva messa a tacere con la seccata indifferenza con cui si azzittisce un bambino noioso. Ma per lei quello era il costante contatto umano con l’unica creatura vivente che sapesse della sua esistenza. Già in ripetute occasioni era stato interrotto, dai viaggi spaziali, dalle ore di sonno; ma quella era la prima volta che lui l’aveva tagliata fuori. Era stato come se l’unica persona che la conosceva avesse rifiutato di ammettere che lei esisteva.

E adesso forse, come Quara, era andata a gettarsi in lacrime sul suo lettuccio, desiderando disperatamente che qualcuno venisse a stringerla fra le braccia, a rassicurarla. Ma lei non era una bambina di carne e ossa, non piangeva, nessuno poteva stringerla fra le braccia; e se aveva una stanzetta in cui andare a rifugiarsi, chissà dov’era. Lui non poteva andare a cercarla. Tutto ciò che gli restava era aspettare, e sperare che lei ritornasse.

Cosa ne sapeva, infine, di lei? Non aveva alcun modo di saggiare la reale consistenza delle sue emozioni. Teoricamente, esisteva perfino la remota possibilità che quel gioiello fosse lei stessa, e che spegnendolo lui l’avesse uccisa.

No, si disse. Lei è là, da qualche parte, nelle connessioni filotiche fra le migliaia di ansible sparsi fra le stelle dei Cento Mondi.

«Scusami» batté sulla tastiera del terminale. «Io ho bisogno di te.»

Ma il gioiello nel suo orecchio taceva. Il terminale restava freddo e silenzioso. Ender non s’era mai reso conto di quanto avesse cominciato a dipendere da quell’invisibile e costante presenza. S’era illuso di poter dare un valore alla propria solitudine. E ora che la sua solitudine si trasformava anche in silenzio, sentiva l’urgente bisogno di parlare con qualcuno, di ascoltare qualcuno, quasi che una semplice conversazione fosse la sola prova che lui esisteva veramente.

Quello stato d’animo lo indusse a tirare fuori il bozzolo della Regina dell’Alveare dal suo nascondiglio, anche se il modo in cui comunicavano poteva difficilmente definirsi una conversazione. Tuttavia si accorse che perfino questo era impossibile: i pensieri di lei gli giungevano sfocati, lontani, e senza quelle forme-parole che le costavano tanta fatica. Ricevette soltanto uno speranzoso interrogativo, e l’immagine del bozzolo deposto in un luogo fresco e oscuro come una grotta o l’interno di un albero cavo. ((Adesso?)) gli sembrò che lei chiedesse. No, dovette rispondere, non ancora, mi spiace… Ma lei non ascoltò le sue scuse; si limitò a scivolare via, tornando da quella cosa, qualunque fosse, con cui aveva scoperto di poter conversare a suo modo. E a Ender non rimase altro che infilarsi nel letto.

Ma più tardi, quella notte, tormentato anche in sogno da ciò che aveva fatto a Jane, si svegliò. Andò a sedersi al terminale e batté sulla tastiera: «Ritorna da me, Jane. Io ti amo.» Quindi trasmise il messaggio per ansible, là dove lei non avrebbe potuto ignorarlo. Qualcuno in municipio lo avrebbe letto, come venivano letti tutti i messaggi non codificati sulla rete insterstellare; e senza dubbio il mattino dopo esso sarebbe stato sulle scrivanie del sindaco, del vescovo e di Dom Cristão. Lasciamo pure che si chiedano chi è Jane, e perché l’Araldo la chiama attraverso gli anni luce in piena notte. A Ender non importava. Perché adesso aveva perso Valentine, e aveva perso Jane, e per la prima volta da vent’anni a quella parte era completamente solo.

CAPITOLO UNDICESIMO

JANE

L’autorità della Federazione Starways è stata in grado di mantenere la pace, non soltanto fra i mondi ma anche fra le nazioni di ogni singolo pianeta, e questa pace resiste ormai da quasi duemila anni.

Ciò che poca gente comprende è quanto sia delicata la struttura con cui manteniamo il potere. Esso non ci deriva dal possesso di eserciti o irresistibili flotte di astronavi. Si fonda invece sul controllo delle reti di ansible, che trasmettono istantaneamente informazioni di ogni genere fra una stella e l’altra.

Nessun pianeta oserebbe contrastarci, perché subito sarebbe tagliato fuori da tutto il progresso scientifico, tecnologico, artistico, letterario e dalla grande produzione d’immagini e programmi d’intrattenimento, restando in possesso soltanto della sua produzione locale.

È per questo motivo che, con illuminata saggezza, la Federazione Starways ha delegato ai computer il controllo delle reti di ansible, ed il controllo dei computer delle reti di ansible stesse. I nostri sistemi di comunicazione e di informatica sono ora così strettamente interconnessi che nessun intervento isolato, eccetto quello del Consiglio, potrebbe mai interrompere il flusso di quella linfa vitale. Non abbiamo bisogno di armi, poiché la più potente di esse, l’ansible, è sotto il nostro controllo.

Consigliere Jan Van Hoot, «L’informatica: fondamenta del potere» Political Trends, 22.2.1930