Questo fu ciò che accadde nei brevi momenti in cui Ender riabbassava nuovamente la mano.
Poi Jane ritrovò se stessa. I suoi pensieri tornarono a espandersi lungo le strade vuote della mente, e per lei fu come tornare a casa e scoprire macerie e devastazioni in una città un tempo piena di vita. Ma fra le rovine e i rottami in cui si aggirava c’erano ancora molti ricordi, e li raccolse. Naturalmente riguardavano tutti Ender Wiggin.
Paragonando il gesto di lui a ogni altro comportamento della sua vita, capì che non aveva inteso provocarle tutto quel dolore. Comprese anche che Ender la concepiva come una creatura che viveva da qualche altra parte, lontano e nello spazio, il che era in effetti letteralmente vero. Sapeva che pensava al microimpianto nel suo orecchio come a un semplice oggetto, e non come a una parte di lei, e si rese conto che Ender l’aveva spento quasi senza riflettere, poiché era troppo coinvolto emotivamente con i problemi di certe persone abitanti su Lusitania. La routine analitica di Jane produsse una lista di ragioni per l’insolita mancanza di riguardo di cui era stata oggetto.
Lui aveva perso il contatto con Valentine, per la prima volta da anni, e stava cominciando a soffrire gli effetti di quella perdita.
Lui aveva ancora nostalgia per la vita familiare a cui era stato strappato da bambino, e attraverso le reazioni dei figli di Novinha nei suoi confronti stava scoprendo in sé il ruolo di padre, quello stesso di cui aveva sentito la mancanza.
Lui s’identificava profondamente con la solitudine, il dolore e la colpa di Novinha. Sapeva cosa significava sopportare il biasimo per la morte crudele e immeritata di qualcun altro.
Lui cominciava a sentire un’insostenibile urgenza di trovare un mondo per la Regina dell’Alveare.
Lui era allo stesso tempo spaventato dei maiali e attratto da loro, nella speranza di scoprire un motivo razionale per la loro crudeltà e mostrare agli uomini che meritavano d’essere accettati come ramans.
Lui era affascinato e respinto dall’ascetismo del Cefeiro e dell’Aradora. Loro l’avevano messo a confronto con il suo stesso celibato, facendogli capire che si trattava di un atteggiamento immotivato. Per la prima volta ammetteva l’esistenza dentro di sé del desiderio di riprodursi, come ogni altro organismo vivente.
Dunque era in questo turbine di emozioni fuori controllo che Jane era intervenuta con una battuta cha a lei era parsa spiritosa. Fin’allora, malgrado la tristezza che sovente gli dava preparare le elegie, non aveva mai perso il suo distacco intellettuale, la sua capacità di ridere. Stavolta invece l’osservazione di lei non gli era parsa divertente; lo aveva ferito.
Non era preparato a sorvolare sui miei errori, pensò Jane, e non capiva la sofferenza che la sua reazione mi avrebbe causato. Ha agito con innocenza, come anch’io non volevo far male a lui. Dovremo perdonarci a vicenda, e tutto tornerà come prima.
Era una saggia decisione, e Jane ne fu fiera. Il solo guaio era che non avrebbe potuto metterla in atto. Quei pochi secondi in cui la sua mente s’era fermata non erano stati senza conseguenze. C’erano vasti danni, perdite, cambiamenti, e lei non era più la stessa creatura che era stata fino a quel momento. Parti di lei erano morte. Parti s’erano smembrate nel caos, nel disordine; i suoi livelli d’attenzione si mescolavano senza possibilità di controllo. A tratti s’accorgeva di concentrarsi allo spasimo su attività insignificanti e su località planetarie che non significavano niente per lei. Brancolando a caso in quella rovina scatenò errori in centinaia di sistemi computerizzati.
La drammatica fallacità di quei tentativi le insegnò, come la vita insegnava a chiunque, che prendere decisioni è facile ma trasformarle in pratica può essere perfino impossibile.
Così si ritrasse dentro di sé, ricostruì i fili spezzati della sua mente, esplorò memorie da lungo tempo ignorate, vagò fra i trilioni di vite umane aperte alla sua osservazione, e rilesse tutti i libri contenuti nelle biblioteche e scritti in ogni lingua mai parlata dagli uomini. Da questo insieme ricreò per sé un’identità che non era più profondamente legata a Ender Wiggin, benché gli fosse ancora devota, ancora unita da un affetto maggiore di quello che poteva provare per chiunque altro. Ciò che Jane fece fu di trasformarsi in una creatura capace di sopportare la perdita del suo amante, marito, padre, figlio e fratello.
Non fu facile. Le occorsero cinquantamila anni, nella somma dei suoi tempi soggettivi. Un paio d’ore, nella vita di Ender.
Durante quell’intervallo lui aveva riacceso il gioiello, l’aveva chiamata, e lei non era stata in grado di rispondergli. Adesso stava battendo dei messaggi sul suo terminale, registrandoli perché lei li trovasse e li leggesse. Anche se Jane non gli dava risposta, lui sentiva il bisogno di parlarle. Uno di quei messaggi conteneva le sue scuse, in tono molto umile. Lei lo cancellò e lo rimpiazzò con un’altra scritta: «Sei scusato, naturalmente». Prima o poi lui avrebbe richiamato quelle registrazioni e scoperto che lei aveva letto e risposto.
Ma nel frattempo Jane decise che non gli avrebbe parlato. Di nuovo dedicò la metà dei suoi livelli superiori d’attenzione a ciò che lui vedeva e sentiva, tuttavia non gli rivelò in nessun modo che era tornata al suo fianco. Nei primi mille anni della propria dolorosa autoricostruzione aveva meditato di punirlo, ma quel desiderio era già da molto tempo finito fra i dati di scarto, per così dire. La ragione per cui aveva stabilito di non parlargli era che, mentre analizzava quel che gli accadeva, s’era accorta che lui non avrebbe tratto alcun giovamento dall’adagiarsi sulle vecchie e comode amicizie. Lei e Valentine erano state la sua unica compagnia, e per quanto avessero fatto molto per lui non erano state in grado di esaudire tutte le sue necessità. Ora di vecchie amicizie gliene restava soltanto una, la Regina dell’Alveare, e non la si poteva certo definire comoda e riposante: era una creatura troppo aliena, e le sue esigenze erano troppo pressanti per dare a Ender qualcosa che non fosse un rinnovato senso di colpa.
A chi si sarebbe rivolto, allora? Jane lo sapeva già. Lui s’era, a suo modo, innamorato un paio di settimane addietro, prima di lasciare Trondheim. Novinha era diventata una persona molto diversa, molto più aspra e scostante della ragazza di cui Ender voleva alleviare la tristezza giovanile. Ma lui s’era già introdotto nella sua famiglia, lenendo le necessità psichiche di quei ragazzi e, senza accorgersene, nutrendosi dell’affetto di cui aveva bisogno. Novinha stava inconsciamente aspettando lui, come ostacolo e come traguardo. Io ho capito benissimo la situazione, si disse Jane, e starò a guardare come si dipana.
Nello stesso tempo, però, si applicò a quel lavoro che Ender si aspettava da lei, anche se non aveva intenzione di riferirgliene i risultati ancora per un po’. Oltrepassare i blocchi che Novinha aveva messo a protezione dei suoi dati le fu facile. Poi ricostruì con cura la stessa simulazione che Pipo aveva visto quella sera. Le occorse un poco — alcuni minuti — per analizzare le precedenti registrazioni dello xenologo e arrivare alle sue identiche conclusioni. Pipo le aveva messe insieme per intuito, Jane col metodo e la logica, ma una volta fatto questo capì perché l’uomo era stato ucciso. E non le ci volle molto, quand’ebbe saputo come i maiali sceglievano la loro vittima, scoprire cos’aveva fatto Libo per andare incontro allo stesso destino.
A quel punto ebbe in mano parecchie informazioni. Sapeva che i maiali erano ramans, e non varelse. E sapeva che Ender stava per giocarsi la vita esattamente nel modo che era stato fatale a Pipo e a Libo.