— E allora non ti lamentare — disse l’Araldo. — Se vuoi vedere come ho fatto, guarda la registrazione. Così la prossima volta saprai cosa aspettarti.
— Credevo che voialtri Araldi foste solo dei preti o qualcosa del genere. Dove hai imparato tattiche così micidiali?
L’Araldo si volse a Novinha con un sorriso, nel rispondere. — A volte riuscire a farsi dire la verità dalla gente è un po’ come una piccola battaglia tattica.
Olhado s’appoggiò al muro con le spalle e abbassò le palpebre sugli occhi di metallo, riguardandosi ciò che aveva visto della partita.
— Lei ha compiuto un’effrazione — disse Novinha. — E non è riuscito neppure a farla pulita. Sono queste le «tattiche» a cui vi dedicate voi Araldi?
— È questo che l’ha condotta qui, vero? — sorrise lui.
— Cosa stava cercando nel mio archivio?
— Sono venuto qui per parlare della vita e della morte di Pipo.
— Non l’ho ucciso io. I dati che ho in archivio non la riguardano.
— È stata lei a chiamarmi.
— E poi ho cambiato idea. Mi spiace. Tuttavia questo non le dà il diritto di…
Lui si accovacciò sui talloni al suo fianco, molto vicino, e quando la interruppe fu in un sussurro: — Pipo apprese qualcosa da lei, e i maiali lo uccisero a causa di ciò che sapeva. Perciò lei nascose quella registrazione dove nessuno potesse mai trovarla. Rifiutò perfino di sposare Libo, soltanto per impedirgli l’accesso a ciò che Pipo aveva visto. Lei ha distorto la sua vita, e la vita di tutti quelli che ama, allo scopo di tenere prima Libo e ora Miro lontani da quel segreto e dalla morte.
Novinha si sentì d’un tratto agghiacciare, e un tremito le corse in tutte le membra. Quell’uomo era lì da tre giorni, e già aveva intuito e saputo più di chiunque altro, a parte Libo stesso. — Queste sono bugie — disse, rigida.
— Mi ascolti, Dona Ivanova. È tutto inutile. Libo è morto ugualmente, non è così? Qualunque sia il suo segreto, mantenerlo non gli ha salvato la vita. E non salverà neppure quella di Miro. L’ignoranza e i segreti non aiutano nessuno. Ciò che li salva è conoscere.
— Mai! — sussurrò lei.
— Posso capire perché nasconde questa cosa a Miro, ma io cosa sono per lei? Nessuno. Dunque cosa le importa se anch’io vengo a conoscenza di un segreto capace di uccidermi?
— Dalla sua vita o dalla sua morte non me ne viene in tasca nulla — disse Novinha. — Ma io non darò mai accesso a nessuno a quei dati.
— Lei sembra non capire che non ha il diritto di tappare gli occhi degli altri. Suo figlio, e sua sorella, escono ogni giorno per mescolarsi ai maiali, ed è grazie a lei che non sanno se la loro prossima parola o il loro prossimo gesto li condannerà a morte. Domani io andrò con loro, dato che non posso parlare della morte di Pipo senza aver almeno conosciuto i maiali e…
— Io non voglio che lei faccia l’elegia di Pipo.
— Non m’interessa ciò che lei vuole. Io non lo sto facendo per lei. Ma la scongiuro di dirmi quello che Pipo sapeva.
— Lei non potrà mai conoscere queste cose, perché Pipo era una persona buona e gentile e amabile che…
— Che prese con sé una ragazzina solitaria e spaventata, e curò le ferite che aveva nel cuore. — E mentre lo diceva, una mano di lui si poggiò su una spalla di Quara.
Era più di quel che Novinha potesse sopportare. — Non osi paragonarsi a lui! Quara non è un’orfana, mi ha capito? Lei ha una madre, ha me, e non ha bisogno di lei. Nessuno di noi ha bisogno di lei, nessuno di noi! — E d’un tratto, senza saperne il motivo, scoppiò in lacrime. Non voleva piangere davanti a lui. Non voleva essere lì. Quell’uomo sconvolgeva tutto e tutti. Corse alla porta e uscì, sbattendola dietro di sé. Quim aveva ragione. Era un demonio. Sapeva troppo, domandava troppo, dava troppo, e già troppo era il bisogno che ognuno di essi aveva di lui. Come poteva aver acquistato tanto potere su di loro in così poco tempo?
Poi in lei balenò un pensiero che all’istante le asciugò le lacrime e la riempì di terrore. L’Araldo aveva detto che Miro e sua sorella andavano ogni giorno dai maiali. Lui sapeva. Lui conosceva tutti i segreti.
Tutti, eccetto quello che non era noto neppure a lei stessa: quello che Pipo aveva letto nella sua simulazione. Quando se ne fosse impadronito, avrebbe avuto nelle sue mani ogni atto e ogni pensiero che lei aveva tenuto nascosto in quegli anni. Quando aveva fatto la chiamata per un Araldo dei Defunti, desiderava che questi scoprisse la verità su Pipo; invece lui era venuto e aveva scoperto la verità su di lei.
Mentre i passi di Novinha si allontanavano, Ender si lasciò cadere sullo sgabello dov’era stata seduta e appoggiò la fronte sulle mani. Sentì Olhado tossicchiare e attraversare lentamente la stanza verso di lui.
— Hai cercato di entrare nell’archivio di mia madre — disse il ragazzo con calma.
— Sì — mormorò Ender.
— Hai voluto che t’insegnassi a fare una ricerca soltanto per poter spiare mia madre. Hai fatto di me un traditore.
In quel momento Ender non aveva una risposta capace di soddisfare Olhado, e non cercò d’inventarla. Restò in silenzio mentre il ragazzo andava alla porta e usciva anch’egli.
Il tumulto dei suoi pensieri non era tuttavia un silenzio per la Regina dell’Alveare. Sentì il contatto della mente di lei, allarmata dalla sua angoscia. No, le disse senza parole, non c’è niente che tu possa fare, niente che io ti possa spiegare. Cose umane, tutto qui, strani e alieni problemi umani che sono al di là di ogni comprensione.
((Ah!)) gli giunse la sua risposta, e insieme la sensazione della brezza fra le chiome degli alberi, la forza e il vigore del legno, la ferma presa delle radici nelle terra, la gentile carezza del sole sulle foglie verdi di vita. ((Guarda cos’ho imparato da lui, Ender, la pace che lui trova.)) Quelle impressioni telepatiche svanirono mentre la Regina si ritraeva da lui. Ma gli restò qualcosa della forza dell’albero, e la quiete del silenzio si sostituì al silenzio della tensione.
Era stato soltanto un attimo; lo scatto della porta che si chiudeva dietro Olhado vibrava ancora nell’aria. Quara balzò in piedi, corse al letto di lui e vi saltò sopra; poi cominciò a rimbalzare sue giù, facendone cigolare la struttura.
— Non durerai più di due o tre giorni — esclamò allegramente la bambina. — Adesso tutti ti odiano.
Ender ebbe una risata amara e si volse a guardarla. — Anche tu?
— Oh, sì — annuì lei. — Io sono stata la prima a odiarti, a parte forse Quim. — Balzò giù dal letto e andò di fronte al terminale. Poi premette con attenzione diversi pulsanti, e nel campo olografico si materializzò una serie di equazioni, lunghe ma piuttosto semplici. — Questo è il mio compito a casa. Vuoi guardare mentre lo faccio?
Ender si alzò e la raggiunse. — Sicuro — disse. — Ehi, queste sembrano cosette piuttosto difficili.
— Non per me — si vantò la bambina. — Io le risolvo sempre più svelta di tutti.
CAPITOLO TREDICESIMO
ELA
MIRO: — I maiali si autodefiniscono maschi, ma su questo abbiamo solo la loro parola.
OUANDA: — Perché dovrebbero mentirci?
MIRO: — Che sei giovane e ingenua lo sapevo. Ma basta guardarli per capire che non hanno l’equipaggiamento necessario.
OUANDA: — Conosco anch’io la favola delle api e dei fiori. Ma chi ti dice che loro lo facciano nel nostro stesso modo?
MIRO: — Nel nostro modo non lo auguro a nessuno. Comunque loro non ne parlano. Forse sono riuscito a capire quali sono i loro organi genitali: quel gonfiore che hanno sull’addome, dove la peluria è più fine e rada.