D’improvviso Human fece una capriola all’indietro, atterrando a piè pari, volse loro le spalle e si allontanò svelto. Immediatamente gli altri maiali tornarono in vita e si accodarono a Human, che li condusse verso l’estremità più lontana della radura.
Ma presso la boscaglia si fermò di colpo. Uno dei maiali, invece di seguirlo, era corso davanti a lui e gli bloccava la strada. Era Mangia-Foglie. A causa della distanza Miro non poté capire se i due si stessero scambiando qualche parola; vide però che Mangia-Foglie toccava l’addome di Human. La sua mano restò a contatto della pelliccia dell’altro per alcuni secondi, poi il maiale girò su se stesso e corse via nel sottobosco, saltellando vivacemente.
Pochi momenti dopo tutti i maiali erano scomparsi fra i cespugli.
— Abbiamo assistito a una contesa — disse Miro. — Human e Mangia-Foglie fanno parte di due fazioni opposte.
— Che genere di contesa? — domandò Ouanda.
— Vorrei saperlo. Però posso immaginarlo. Se portiamo qui l’Araldo, Human vincerà. Se non lo facciamo, il vincitore sarà Mangia-Foglie.
— E cosa c’è da vincere? Se l’Araldo vedrà i maiali ci tradirà, e in questo caso avremmo perso tutti quanti.
— Non ci tradirà.
— Perché non dovrebbe? Tu hai appena tradito me!
La voce di lei era così tagliente che Miro incassò quelle parole con una smorfia di sofferenza. — Io, tradire te? — sussurrò. — Eu não. Jamais. — Non io. Mai.
— Papà diceva sempre: mostratevi uniti davanti ai maiali, non lasciategli mai capire che non siete d’accordo, e tu…
— Io! Non sono stato io a dir loro di sì. Sei tu quella che dice no, sei tu quella che prende posizione e mostra loro che fra noi c’è un contrasto!
— Allora, quando c’è un disaccordo, è tuo compito…
La ragazza tacque, rendendosi conto di quello che stava per dire: è tuo compito fare ciò che io dico. Come se lui fosse il suo apprendista. Miro strinse i denti. — Ero convinto che qui lavorassimo insieme! — sbottò, e si avviò nella boscaglia in direzione di Milagre.
— Miro! — lo raggiunse la voce di lei, un po’ più avanti. — Miro, non volevo dire che…
Il govane si fermò ad aspettarla, poi la afferrò per le braccia e sussurrò aspramente: — Smettila di gridare! O non t’importa che i maiali possano sentirci? La maestra zenador ha deciso di fargli sapere tutto, adesso, anche il modo in cui rimette in riga il suo apprendista?
— Io non sono la tua maestra, io…
— Proprio così, non lo sei. — Si girò e riprese a camminare.
— Ma Libo era mio padre, così è naturale che io sia…
— Zenador per diritto di sangue? — ringhiò lui. — Diritto di sangue, è vero? E così per diritto di sangue io cosa sono? Un cretino ubriacone che picchia la moglie? — La prese per le spalle, stringendo crudelmente. — È così che vuoi che ti tratti? Vuoi una copia del mio paizinho?
— Lasciami, mi fai male.
Miro la spinse via. — Il tuo apprendista pensa che oggi sei stata una stupida — disse. — Il tuo apprendista pensa che avresti dovuto fidarti del suo giudizio sull’Araldo. E il tuo apprendista pensa che dovevi prendere sul serio quello che ha detto sulla gravità di ciò che stavano facendo i maiali, perché eri grossolanamente in errore e la tua stupidità adesso potrebbe condurre Human alla morte.
Era un’accusa ingiusta, e lo era ancor più perché rifletteva un timore che entrambi sentivano oscuramente già da tempo, e cioè la possibilità che Human finisse per seguire il destino di Rooter e di altri, smembrato, con una pianticella che cresceva fra i suoi organi sparsi al suolo.
Miro era conscio d’aver parlato senza riflettere, e sapeva che la ragazza non avrebbe avuto tutti i torti se ora si fosse infuriata. Biasimare lei era assurdo, dal momento che lui stesso non aveva capito fino all’ultimo momento quale pericolo incombesse su Human.
Ma Ouanda non s’infuriò. Fece invece uno sforzo visibile per calmarsi i nervi, traendo lunghi respiri, finché il suo atteggiamento non placò anche Miro. — Quello che ora conta — disse la ragazza, — è di non far precipitare le cose. Le esecuzioni hanno sempre avuto luogo la sera tardi. Se vogliamo avere una speranza di salvare Human, dobbiamo portare qui l’Araldo oggi pomeriggio, prima del tramonto.
Miro annuì. — Sì — disse. — E… mi dispiace, scusami.
— Dispiace anche a me — mormorò lei.
— Visto che non sappiamo ciò che stiamo facendo, quando le cose vanno male la colpa non è di nessuno.
— Vorrei soltanto esser certa che una scelta giusta fosse almeno possìbile.
Ela sedeva su una roccia piatta e muoveva pigramente i piedi nell’acqua, in attesa dell’Araldo dei Defunti. A pochi metri di distanza il recinto oltrepassava il fiume, sostenuto da una griglia semisommersa che doveva impedire alla gente di uscire a nuoto. Come se qualcuno avesse avuto voglia di provarci. Quasi tutti gli abitanti di Milagre sembravano far finta che il recinto non esistesse neppure. Nessuno vi si avvicinava mai. Questo era il motivo per cui aveva dato appuntamento lì all’Araldo. Anche se la giornata era calda e le scuole erano chiuse, i ragazzi non venivano a nuotare lì a Vila Ultima, dove il recinto incrociava il fiume e la boscaglia esterna era tanto vicina. Anche gli operai del piccolo stabilimento dove si fabbricavano mattoni, ceramiche e vetro a quell’ora non passavano di lì. Avrebbe potuto dire quel che doveva dire, senza timore che altri sentissero o vedessero.
Non dovette aspettare molto. L’Araldo stava arrivando sul fiume in una piccola barca a remi, di quelle usate dai contadini nella zona in cui non c’erano ponti. La sua schiena era bianca in modo sorprendente. Anche i pochi Lusos, la cui pelle era così chiara da farli chiamare loiros, avevano un incarnato un tantino olivastro. Il suo pallore glielo fece vedere più snello e debole di quel che era; ma poi notò la velocità con cui la barca andava controcorrente, il movimento ampio e fluido dei remi, la potenza della spinta e il gioco della solida muscolatura sulle spalle di lui. Per un attimo sentì una fitta d’angoscia, e poi capì che questo le ricordava dolorosamente suo padre, a dispetto dell’odio che aveva avuto per lui. Fino a quel momento avrebbe giurato di non aver mai amato niente del genitore, e invece aveva nostalgia della forza che emanava dalla sua schiena e dalle sue spalle, del sudore che luccicava sulla sua pelle abbronzata come una pellicola vitrea sotto il sole.
No, disse in silenzio, non sto soffrendo per la tua morte, Cão. Se soffro è perché tu non assomigliavi a questo Araldo, quest’uomo che non ha nessun legame con noi ma che in tre giorni ci ha dato più cose buone di quante tu ce ne abbia dato in tutta la vita. E soffro perché il tuo corpo così virile era distrutto fino in fondo all’anima.
L’Araldo la vide e diresse la prua verso le rocce su cui lei sedeva. Ela si alzò e avanzò fra le canne, nel terreno molle, poi lo aiutò a tirare l’imbarcazione in secca.
— Mi spiace che tu abbia dovuto infangarti così — disse lui. — Ma da un paio di settimane non facevo un po’ di vero movimento, e il fiume oggi era troppo invitante.
— Lei rema molto bene — disse Ela.
— Il pianeta da cui sono partito, Trondheim, è un ammasso di ghiaccio e acqua. Le coste non offrono molto ai turisti, e su una barca come questa si rema più per non finire assiderati che per divertirsi.
— Lei non è nato su quel mondo?
— No. È l’ultimo posto dove ho fatto un’elegia. — Andò ad accovacciarsi sull’erba e lasciò vagare lo sguardo sul fiume.
Ela sedette al suo fianco. — Mamma è molto arrabbiata con lei.