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L’Araldo piegò le labbra in un sorrisetto. — Non me l’ha nascosto.

D’istinto Ela cominciò subito a difendere la madre. — Lei ha cercato di leggere le sue registrazioni.

— Ho letto le sue registrazioni. Quasi tutte. Ma non quelle che m’interessavano.

— Lo so. Quim me l’ha detto. — S’accorse di provare un fremito d’orgoglio al pensiero che i sistemi protettivi di sua madre lo avessero sconfitto. Poi ricordò a se stessa che in quella faccenda non stava dalla parte di lei, e che per anni aveva cercato di convincerla a lasciarle vedere quei dati. Ma altre emozioni la trascinavano, facendole dire cose che avrebbe preferito tenersi in bocca. — Ho lasciato Olhado seduto in casa, con gli occhi chiusi, ad ascoltare musica in cuffia. Era sconvolto.

— Sì, pensa che io lo abbia tradito.

— E non è così? — Anche questo era qualcosa che non voleva dire.

— Io sono un Araldo dei Defunti. Ho la brutta abitudine di dire la verità quando parlo, e di indagare nei segreti degli altri.

— Lo so. È per questo che ho chiamato un Araldo. Voi non avete rispetto per nessuno.

Lui parve seccato. — Perché mi hai chiamato qui? — chiese.

Così stava rovinando tutto. Gli stava parlando come se fosse contro di lui, come se non gli fosse grata per ciò che aveva già fatto alla sua famiglia. Gli stava parlando come a un nemico. Quim mi ha influenzata al punto da farmi dire il contrario di quello che vorrei?

— Tu mi hai invitato qui sul fiume. I tuoi familiari non è che mi parlino molto, ma ecco che mi arriva un messaggio da te. Per lamentarti sul fatto che indago dove non dovrei? Per dirmi che non rispetto nessuno?

— No — mormorò lei, a disagio. — Non è questo che intendevo fare.

— Non hai mai pensato che difficilmente avrei scelto d’essere un Araldo se non avessi rispetto per il prossimo?

Nella frustrazione la voce le divenne rauca: — Vorrei che lei avesse letto tutto il suo archivio! Vorrei che lei le tirasse fuori tutti i suoi segreti e li spargesse ai quattro venti sui Cento Mondi! — Sentì che i suoi occhi si riempivano di lacrime, senza saperne il perché.

— Capisco. Vorresti che lei si fidasse almeno di te.

— Sou aprendiz dela, não sou? E porque choro, diga-me! O senhor tem o jeito!

— No, non sono molto portato a far piangere gli altri, Ela — rispose dolcemente lui. La sua voce era una carezza. No, qualcosa di più saldo: era una mano che afferrava la sua, che la teneva ferma, che le dava forza. — È dire la verità che ti fa piangere.

— Sou ingrata, sou mà filha…

— Sì, sei ingrata, e sei una figlia terribile — disse lui, e rise divertito. — In tutti questi anni di caos e di abbandono tu hai tenuto unita la famiglia senza il minimo aiuto da parte di tua madre, e quando l’hai seguita nella sua stessa professione lei non ha voluto condividere con te i suoi segreti. Tu non le chiedevi altro che amore e fiducia, e lei ha risposto chiudendoti fuori dalla sua vita a casa e sul lavoro. E poi, alla fine, hai detto a qualcuno che questo ti angoscia. Oh, certo, sei proprio la persona peggiore che io abbia mai conosciuto!

Lei si trovò a ridere, fra le lacrime, per il modo in cui s’era accusata. Ma subito, come una bambina, il fatto che si ridesse di lei la irritò. — Non stia a lisciarmi il pelo, adesso — replicò, cercando di mettere disprezzo e rabbia nella voce.

Lui lo notò. I suoi occhi si fecero distanti e freddi. — Non sputare sulla mia amicizia — disse.

Ela non voleva che lui si ritraesse a quel modo; ma non poté fare a meno di replicare con la stessa freddezza: — Lei non è mio amico.

Per un istante la ragazza ebbe paura che lui le credesse. Poi sul volto dell’Araldo comparve un sorriso. — Tu non sapresti riconoscere un amico, se ne vedessi uno.

Sì che lo riconoscerei, pensò lei. Ne vedo uno proprio adesso. Gli restituì il sorriso.

— Ela — disse lui, — tu sei una brava xenobiologa?

— Sì.

— Hai diciotto anni. Avresti potuto dare gli esami, a sedici. Ma non lo hai fatto.

— Mia madre non ha voluto. Diceva che non ero pronta.

— Dopo i sedici anni non hai bisogno del permesso di tua madre.

— Un apprendista deve avere il permesso dell’insegnante.

— Ma ora hai diciotto anni, e non hai bisogno neppure di questo.

— Lei è la xenobiologa di Lusitania, e quello è il suo laboratorio. Che succederebbe se passassi l’esame, ma lei non mi lasciasse mai più mettere piede in laboratorio?

— Ti ha minacciato di questo?

— Mi ha detto chiaro e tondo che non darò l’esame.

— Perché appena tu non sarai più un’apprendista, se ti ammettesse alla Stazione come collega, tu avresti pieno accesso a…

— A tutte le registrazioni di lavoro. A quelle che lei ha nascosto.

— Così, ha impedito a sua figlia di seguire le sue orme; e ha messo nel tuo fascicolo una nota con cui, come esaminatrice, dichiara che non sarai pronta per i test di xenobiologia neppure a diciott’anni. E tutto per tenerti lontana dall’archivio.

— Sì.

— Tu come la vedi?

— Mia madre è pazza.

— No. Qualunque cosa Novinha sia, non è pazza.

— Ela è boba mesma, senhor Falante.

Lui rise e si distese sull’erba. — Dimmi perché è boba, allora.

— Posso fargliene l’elenco. Tanto per cominciare, non permette nessuna indagine sulla Descolada. Trentaquattro anni fa la Descolada per poco non sterminò la colonia. I miei nonni, Os Venerados, Deus os abençoe, riuscirono a bloccare l’epidemia. È indubbio che l’agente infettivo, lo «scollatore» del DNA, sia sempre presente nell’ambiente, tant’è vero che qui dobbiamo aggiungere all’acqua e al cibo un prodotto che impedisce a questo agente di tornare attivo. Questo le è stato detto, no? Prima di atterrare lei è stato informato che una volta venuto a contatto con il nostro ambiente dovrà continuare a prendere l’antidoto per tutta la vita, anche dopo che sarà partito da qui.

— Sì, sono al corrente.

— Lei rifiuta di lasciarmi fare qualunque tipo di studio sull’agente della Descolada. O comunque, questi sono dati che ha chiuso con qualche codice. Ha nascosto tutte le scoperte di Gusto e Cida sull’argomento. Non c’è modo di ottenere quelle note.

L’Araldo strinse le palpebre. — D’accordo. E poi?

— Ma non capisce? Qualunque cosa sia questo agente, microbo o virus, è stato capace di adattarsi al nostro organismo e di divenire un parassita delle cellule umane dieci anni dopo la fondazione della colonia. Dieci anni! Se ha potuto mutare una volta, potrà mutare e adattarsi ancora.

— Forse lei non la pensa così.

— Forse io dovrei avere il diritto di controllarlo con i miei occhi.

Lui le poggiò una mano su un ginocchio, per placarla. — Sono d’accordo con te. Ma prosegui. La seconda ragione per cui è boba.

— Non permette nessuna ricerca teorica. Niente tassonomia. Nessun modello evoluzionario. Se vede che provo a farne, dice che evidentemente non ho abbastanza lavoro di cui occuparmi e mi assegna dei compiti interminabili finché non pensa che io abbia rinunciato.

— Tu non hai rinunciato, a quanto pare.

— È per questo che esiste la xenobiologia. Oh, sì, è splendido che lei possa creare patate capaci di sfruttare al massimo questi terreni. È stata grande nell’ottenere un buon pane di amaranto, dando alla colonia la possibilità di avere tutte le proteine che le servono con dieci soli acri sotto coltura. Ma questi sono soltanto giochetti molecolari.

— Questa è sopravvivenza.

— Ma noi non sappiamo niente. È come nuotare alla superficie dell’oceano: puoi muoverti qua e là, puoi far finta di godertela, però non sai se da qualche parte sotto di te c’è uno squalo. Noi potremmo essere circondati da squali, e lei rifiuta di immergersi per guardare.